Afghanistan, poca fiducia verso le forze internazionali

Condizioni di sicurezza molto precarie, forze locali ancora impreparate ad affrontare la situazione, sfiducia verso le forze internazionali impegnate nel paese ma grande preoccupazione per il vuoto che un loro ritiro comporterebbe, con le potenze regionali – dall’Iran al Pakistan – pronte ad occuparlo. Tanto che la popolazione locale chiede alla coalizione di rimanere anche […]

Condizioni di sicurezza molto precarie, forze locali ancora impreparate ad affrontare la situazione, sfiducia verso le forze internazionali impegnate nel paese ma grande preoccupazione per il vuoto che un loro ritiro comporterebbe, con le potenze regionali – dall’Iran al Pakistan – pronte ad occuparlo. Tanto che la popolazione locale chiede alla coalizione di rimanere anche dopo il 2014. Ed ancora: troppa confusione tra attività civili e militari, nonché critiche all’Italia per la gestione della ricostruzione di Herat.
Sono alcune delle percezioni della popolazione afghana sulla situazione del loro paese illustrate nella ricerca “Le truppe straniere agli occhi degli afghani”, promossa dalla ong Intersos e realizzata dal giornalista e ricercatore freelance Giuliano Battiston. Le interviste, realizzate in tre province afgane (Herat, Farah, Badghis) nel mese di agosto 2011, danno un quadro della percezione della società civile: le voci di giornalisti, docenti universitari, procuratori, maestri, sindacalisti, commercianti, politici, medici, infermieri e altri ruoli chiave mostrano una realtà assai diversa da quella presentata dalle cancellerie occidentali. Lungi dall’avere “stabilizzato il paese”, le forze Isaf-Nato e statunitensi avrebbero “fallito nel garantire la sicurezza alla popolazione”, non raggiungendo affatto i risultati sperati o, laddove qualche risultato positivo si è intravisto, non andando oltre una “sicurezza fragile e temporanea, troppo volatile ed effimera per eliminare i timori della popolazione”.

La ricerca mostra come l’incapacità di arginare l’avanzata dei talebani e di garantire l’incolumità della popolazione locale abbia prodotto un “sentimento molto diffuso di sfiducia verso le forze internazionali” anche fra quanti avevano dato credito alla loro azione. Una sfiducia che in alcune voci sfocia nella disillusione, nel risentimento e nel sospetto che le forze internazionali non abbiano non solo raggiunto il risultato della sicurezza della popolazione locale, ma neppure dimostrato di essere in Afghanistan per raggiungerlo. E’ diffusa la convinzione che “le attività militari sarebbero state negativamente condizionate dalla pluralità di orientamenti, di tattiche, agende e obiettivi perseguiti dai singoli contingenti”, oltre che dello “scarso coinvolgimento, soprattutto nei primi anni, delle controparti afghane nell’elaborazione della strategia di pacificazione, stabilizzazione e ricostruzione”.

Secondo la ricerca, alle forze internazionali viene imputata una “scarsa considerazione delle conseguenze che le loro operazioni possono avere sulla popolazione civile, l’incapacità di distinguere in modo appropriato i civili innocenti dai ribelli, l’uso indiscriminato dei bombardamenti aerei e dei raid notturni, la violazione degli spazi domestici”. Tra le lamentele più diffuse e sentite vi è poi l’idea che “le truppe straniere agiscano al di fuori di ogni quadro giuridico certo, rispondendo soltanto ai propri codici di condotta”: ecco perché tutti gli intervistati chiedono l’identificazione di strumenti certi, trasparenti e accessibili per ottenere giustizia, laddove sentano di aver subito un’ingiustizia da parte delle truppe straniere”. Questa mancanza di meccanismi di accertamento di eventuali colpe dei soldati stranieri, insieme al percepito deterioramento delle condizioni di sicurezza e al rafforzamento dei movimenti antigovernativi sono alla base del crescere della sfiducia e della diffidenza verso le truppe straniere, con il conseguente avanzamento dell’idea che esse siano presenti in Afghanistan per promuovere o difendere i propri obiettivi strategici piuttosto che per garantire il benessere della popolazione. E per i promotori dell’indagine, “al di là delle differenti valutazioni sulle cause a cui attribuire l’instabilità dell’attuale situazione in Afghanistan, ogni ipotesi futura è destinata a rimanere molto fragile se si continuerà a non tenere conto dei giudizi e delle percezioni degli afgani stessi, che finora sono stati relegati ai margini del dibattito politico”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *