Riflessioni dal gelo

Alessandro Magno non sciolse il “nodo” che si trovava sul carro di Gordio,  ma decise di tagliarlo con un colpo di spada. Io credo che la scienza in molti casi non sia riuscita a sciogliere i “nodi” che riguardano il senso del mondo e della Natura, ma li abbia semplicemente tagliati. L’uomo aggira i problemi […]

Alessandro Magno non sciolse il “nodo” che si trovava sul carro di Gordio,  ma decise di tagliarlo con un colpo di spada.

Io credo che la scienza in molti casi non sia riuscita a sciogliere i “nodi” che riguardano il senso del mondo e della Natura, ma li abbia semplicemente tagliati.

L’uomo aggira i problemi scientifici irrisolti semplicemente cambiando modi e strumenti di ricerca.

Se il “limite” interno a una disciplina persiste o si mostra invalicabile, si sposta il problema scientifico, lo si modifica, oppure si ridefinisce la disciplina in oggetto. Da questo punto di vista la scienza ha sempre mostrato una infantile componente aggressiva.

Trentasette anni fa Spielberg, con “Lo squalo”, ci fece prendere coscienza che la natura può, in ogni momento, superare l’uomo e sconvolgerne tranquillità e sicurezze.

Poco meno di tre anni fa, il terremoto de L’Aquila, ci ha “marchiato” in questa convinzione.

Ed anche adesso, il gelo che ha colpito tutta l’Europa (ed inopinatamente una parte dell’Africa), ci dice che l’uomo è impotente di fronte alla natura, anche quanto questa annuncia le sue manifestazioni.

Il gelo che viene dal Nord, sospinto da robusti venti siberiani e che  ha paralizzato con solo l’Italia, ma l’Europa dell’Est  e l’Inghilterra, ci dice non solo che siamo impreparati, ma anche che la natura va guardata con maggiore rispetto.

Davanti allo spettacolo terribile del terremoto di Lisbona, che il 1° novembre 1755 uccise dalle sessantamila alle novantamila persone, almeno un quarto degli abitanti di quella città, l’illuminista Voltaire arrivò a mettere in dubbio la provvidenza divina e il filosofo Immanuel Kant, il padre del razionalismo moderno, mise in guardia contro i peccati di orgoglio.

Ora, di fronte a Nazioni in cui il freddo polare e le abbondanti nevicate da un cielo basso ed inclemente hanno paralizzato tutto, dovremmo riflettere non solo sui mezzi da mettere a disposizione della Protezione Civile e dei Comuni (rinunciando magari a carri armati ed aeri supermoderni), ma anche sul nostro orgoglio di uomini illusi che tutto può essere previsto, modellato e piegato.

Va preso atto, come ha scritto già due anni fa Nicola Cabibbo, che viviamo in un mondo che può dare sorprese a tutti i livelli: dai fenomeni singolari come quello partito dall’Islanda, davanti al quale la scienza può  ben poco, agli eventi come frane, terremoti e nevicate, che ci colgono quasi sempre impreparati.

“Viviamo in mezzo a lei, e le siamo stranieri; agiamo continuamente su di lei e non abbiamo su di lei nessun potere; costruisce sempre e sempre distrugge; come fa oggi potrà fare sempre”. In questo modo J.W.Goethe rifletteva sulla natura due secoli fa.

Nulla è cambiato: e l’immensa forza della natura; infinita,eterna imprevedibile sovrana che tutto crea e violentemente abbatte in pochi istanti, distrugge gli uomini, sue creature e sudditi infedeli.

Da sempre l’uomo canta e loda la sua immensa bellezza, l’incontro tra armonia e perfezione assoluta; i nostri occhi brillano davanti ai suoi meravigliosi colori e le sue molteplici forme affascinano noi esseri umani avidi di conoscenza.

La osserviamo nei minimi dettagli, la studiamo, la sfruttiamo ma alla fine siamo tutti dannati che insieme ad Ulisse scontiamo la nostra pena nell’inferno dantesco.

Colpevoli di un’inesauribile sete di conoscenza e di potere.

Scrivono i sociologi che l’uomo è per natura  ribelle, va contro tutto ciò che limita l’esplicazione di se stesso, e il desiderio di fuggire il consueto e la norma; di andare sempre oltre, di raggiungere l’assoluto pur sapendo che ciò è impossibile e lo porta ad un’impennarsi titanico contro forze a lui molto superiori.

Con toni altezzosi e di superbia affermiamo di conoscere la Natura in tutte le sue forme, poi con sgomento e incredulità guardiamo la sua immensa furia scatenarsi su di noi.

Duemila anni fa Pompei e Ercolano scomparvero sotto le ceneri del Vesuvio. Plinio racconta:”era una giornata come tante altre, improvvisamente il cielo si oscurò e una pioggia di cenere ardente si abbatté sulla città. La gente urlava, scappava mentre i loro volti venivano sfregiati dalla cenere ardente” Dopo secoli di silenzio i loro corpi sono riemersi dalla stessa terra che quel giorno li aveva traditi: i loro volti sofferenti e i loro sguardi bloccati a quell’istante rievocano l’impotenza dell’uomo su un evento cosi grande e maestoso.

Il comportamento umano ha sempre mostrato una forte preponderanza verso l’idea che il caso non esista e che gli eventi siano la conseguenza di una serie di cause.

Tuttalpiù ci si è messi a discutere sulla natura di queste cause,  se avesse senso o meno effettuare una danza della pioggia e quanto senso avesse rispetto a calcolare la probabilità che domani piova in base ad una serie di altri fattori, che siano le condizioni climatiche registrate in quel giorno negli anni precedenti, o lo stato climatico del pianeta nel suo insieme oggi.

In linea di massima siamo tutti convinti che conoscendo in maniera sufficientemente precisa un dato sistema saremmo in grado di prevederne lo sviluppo (il futuro) con altrettanta – e quindi sufficiente – precisione.
In effetti questo concetto non è mai stato negato.

Semmai viene negata, o messa fortemente in dubbio, la possibilità di conoscere con sufficiente precisione un determinato sistema e quindi, alla fin fine, la possibilità di fare previsioni se non accurate, almeno sensate o utili ai propri fini.

Ma la natura, continuamente, scombussola con la sua imprevedibilità la funzione lineare di causa ed effetto, togliendo all’uomo ogni sicumera certezza.

’idea metafisica di una concatenazione rigorosa di principi che possano spiegare il passaggio dall’Uno (principio della realtà secondo Plotino, e prima ancora nel Parmenide di Platone) alla molteplicità del mondo dell’esperienza era stata sviluppata nella filosofia tardo-antica da Proclo, che nei suoi Elementi di teologia aveva distinto quattro ordini di realtà, ciascuno dei quali è fondante per il successivo: l’Uno, l’Intelletto, l’Anima e la Natura corporea, la cui concatenazione è definita dal termine di ‘emanazione’. La filosofia procliana, i cui echi si avvertono nella concezione dello pseudo-Dionigi riguardo al rapporto fra energie divine e mondo delle creature, era stata, nella civiltà bizantina, il fondamento dell’interpretazione neoplatonica di Aristotele e aveva consentito l’innesto di influssi orientali nel pensiero di autori come Michele Psello e Isacco Sebastocratore (XII sec.); fra i primi filosofi islamici, nel circolo raccolto attorno ad al-Kindi, sui testi procliani e plotiniani si era ampiamente lavorato ricavandone, attraverso compendi e compilazioni, testi fondamentali per l’insegnamento filosofico, che vennero in seguito tradotti in latino con l’attribuzione ad Aristotele.

Ed oggi, dopo tanti secoli, tanta storia e tanta scienza, siamo, come nel Liber de causis e la Theologia Aristotelis, a procedere solo per aforismi e frasi fatte, continuamente smentite dagli eventi.

Insomma, io credo che, la concezione della scienza come sapere sperimentale-matematico, intersoggettivamente valido, avente come scopo la conoscenza progressiva del mondo ed il dominio su di esso da parte dell’uomo, trovi il suo più acuto fallimento, in tutti i disastri naturali, improvvisi o annunciati.

In verità come dice Kuhn, “la scienza non produce verità definitive e non c’è progresso verso qualcosa, bensì a partire da qualcosa e, nello specifico, a partire da un maggio rispetto della natura e dei suoi “furenti” messaggi.

I rapporti dell’uomo occidentale con la natura , se e quando ancora esistono , sono pervasi dall’ideologia del “macchinismo” .  Se la natura non è ancora completamente una macchina , essa è comunque a disposizione dell’uomo , è il serbatoio illimitato che contiene tutto il carburante necessario all’alimentazione del motore umano .

E allora ecco che sullo scenario della storia occidentale pretesa universale e valida per tutti da Occidente ad Oriente si profila e si staglia , giganteggiando e monopolizzando la piazza , un uomo che , credutosi onnipotente , si rivela poi del tutto impotente a capire e a fronteggiare le repentine e impreviste catastrofi , rivelandosi più fragile e spaurito di un topolino .

Allora la Storia dell’occidentale si accorge che qualcosa nel suo schema non funziona , che qualcosa nella sua macchina si è inceppato , che la storia non è un “semplice prodotto” dell’uomo , che l’uomo deve fare i conti con un oste imprevedibile , la Natura , che non si piega facilmente alle richieste “disumane” dell’essere umano , anzi reagisce , rimescola le carte sul tavolo della storia e rilancia all’infinito i dadi della sorte .

Non so se questa è la lezione del terzo Millennio che la storia e la scuola degli occidentali deve far propria . Ma se non si prende atto che ad Oriente sta nascendo qualcosa di nuovo che ci costringe a rivedere tutta la nostra visione del mondo , rischiamo un giorno non tanto lontano di risvegliarci in un mondo estraneo,  senza nemmeno la possibilità di comprenderlo .

Come ha detto il filosofo della scienza Giulio Goriello, ogni essere vivente cerca di modificare il proprio ambiente. I castori, per esempio, modificano il corso dei fiumi.

Ma l’uomo esprime una volontà di conquista della natura molto più ambiziosa di qualunque altro animale, estendendo il proprio intervento fin dove può.

Si pensi all’intera storia delle conquiste spaziali. È difficile spiegarne le ragioni. Si può solo dire che quest’ambizione é per l’uomo una condanna e al contempo un privilegio.

Il privilegio gli é stato dato da Dio, come è scritto nel Libro della Genesi dell’Antico Testamento in cui il Signore incarica Adamo di “nominare tutti gli animali e tutte le piante”. L’esegesi biblica e una esatta traduzione dall’ebraico indicano che Adamo, e pertanto l’uomo, sia considerato il “custode” della natura e non il suo “dominatore”.

Di conseguenza l’uomo deve considerarsi il responsabile di tutte le creature che abitano la terra, l’acqua e l’aria, e di tutto l’ambiente che lo circonda. L’uomo quindi é anche responsabile di ciò che fa all’ambiente. Nel suo rapporto con la natura l’uomo non può e non deve essere un prevaricatore. In caso contrario la natura “si vendica”.

In definitiva, non credo che si debba diventare “agnostici”, perché certamente la natura possiede già in sé i caratteri più adatti alla sopravvivenza delle specie e i criteri di “selezione naturale” a somiglianza di quella artificiale prodotta dall’uomo.

La “grande forza della natura” ha prodotto quella teoria delle “variazioni fortuite” secondo la quale i caratteri della specie variano a seconda dell’insorgere “casuale” di differenze negli individui, differenze che soggiacciono al verdetto dell’ambiente, e per “caso” intendendo non il “disordine”, ma l’azione meccanica delle circostanze e del tempo.

Questa é in linea di massima la teoria “evoluzionistica”, che nega la fondatezza di ogni concezione finalistica e soprannaturale dei fenomeni biologici, tanto che per essa il suo enunciatore Charles Darwin vide più volte sé stesso nei panni di un “cappellano del diavolo”. Attualmente l’uomo riesce a controllare i meccanismi di riproduzione del vivente.

ll vivente pertanto é diventato tecnicamente riproducibile.

Ancora oggi molti chimici e fisici sostengono che, proprio perché la scienza e la tecnica progrediscono a passi di gigante, l’uomo deve continuare a credere in un Dio che dia un senso alla ricerca umana della verità.

Certamente l’apporto della tecnica é essenziale a cambiare le nostre vite, seppure modesto apparentemente, e comunque “artificiale”.

Ma altrettanto certamente va ricordato Cartesio che nelle “Meditazioni Metafisiche” annota: “Le dimostrazioni della verità intrinseca delle proposizioni matematiche, della distinzione reale tra l’anima e il corpo, e, finalmente, dell’esistenza reale delle cose materiali al di fuori di noi, sono tutte fondate sull’unico argomento che, in caso contrario, Dio c’ingannerebbe”.

Carlo Di Stanislao

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