Padova, 120 detenuti lavorano all’interno del carcere

Assemblaggio di valigie, costruzione di biciclette, call center per importanti realtà padovane e nazionali, chiavi per la firma digitale, cucina e la famosa pasticceria: sono questi i campi in cui si muove da anni la cooperativa Giotto all’interno del carcere Due Palazzi di Padova. Una realtà in continuo movimento e sempre in espansione, con un […]

Assemblaggio di valigie, costruzione di biciclette, call center per importanti realtà padovane e nazionali, chiavi per la firma digitale, cucina e la famosa pasticceria: sono questi i campi in cui si muove da anni la cooperativa Giotto all’interno del carcere Due Palazzi di Padova. Una realtà in continuo movimento e sempre in espansione, con un unico obiettivo: dare un’opportunità di riscatto ai detenuti, dimostrare l’importanza del lavoro in carcere, far uscire un giorno persone capaci di reinserirsi e costruirsi un futuro. Oggi la cooperativa dà lavoro a 120 ristretti: tanti, soprattutto se si pensa che in tutt’Italia a lavorare all’interno del carcere – fatta eccezione per i dipendenti dell’amministrazione pubblica come gli “scopini” e gli “spesini” – sono 866.

La storia della Giotto nasce da lontano, da una cooperativa agricola che ha scoperto “per caso” il mondo del carcere. Ne è nata una sinergia che contribuisce a rendere il Due Palazzi un istituto di pena “modello”, come definito da molti. Importanti firme (Roncato  per le valigie, ad esempio) hanno deciso di investire nell’esperienza, consapevoli di avere in cambio un prodotto di qualità. Ma c’è anche l’azienda Ulss di Padova e aziende come Fastweb che affidano ai detenuti la gestione del call center. La presentazione di Taste 2012 (vedi lancio precedente) ha offerto l’occasione di accendere i riflettori sull’esperienza padovana, anche grazie alle testimonianze di alcuni detenuti. Davor, 46 anni, è in carcere dal 2001 e dal 2005 si trova a Padova: “Ringrazio per questa opportunità – ha detto – perchè ho potuto interrompere l’ozio completo dei primi anni di detenzione, riuscendo finalmente a provvedere a me e alla mia famiglia. Il lavoro ci fa sentire uomini e spero che altre aziende possano decidere di entrare in carcere”. E sulla situazione carceraria ha aggiunto: “E’ al tracollo, non solo per il sovraffollamento ma anche perchè manca tutto, perfino la carta igienica”. Francesco ha invece sottolineato che “sta a ognuno di noi decidere cosa fare della propria vita. Il lavoro, oltre a inorgoglirmi, è per me l’unica fonte di sostentamento. Questo mi fa sentire degno di rispetto”. E infine Thomas, 32 anni: “Quando sei qui tutto riparte da zero. Per me è un’opportunità per ripartire e ritrovare la strada persa”.

Boscoletto, presidente della cooperativa Giotto, sottolinea: “A noi non preme tanto insegnare un mestiere, ma insegnare ai detenuti un metodo di lavoro, in modo da prepararli per quando usciranno da qui”. Boscoletto ha sottolineato l’importanza del dibattito che si aprirà lunedì in Parlamento in materia di lavoro in carcere: “Potrebbe essere una svolta storica”.

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