L’orrore de l’Afganistan sa di Vietnam

La follia è l’unica spiegazione possibile per il gesto del soldato americano che, domenica, ha massacrato a colpi di mitra due intere famiglie di afgani: 17 persone, fra cui 3 donne e 9 bambini. Un comunicato militare Usa si era limitato ad affermare che il soldato è stato arrestato e nel pomeriggio di ieri la […]

La follia è l’unica spiegazione possibile per il gesto del soldato americano che, domenica, ha massacrato a colpi di mitra due intere famiglie di afgani: 17 persone, fra cui 3 donne e 9 bambini.
Un comunicato militare Usa si era limitato ad affermare che il soldato è stato arrestato e nel pomeriggio di ieri la Casa Bianca si era detta “profondamente preoccupata”. Il generale John Allen, comandante delle forze americane e della Nato in Afghanistan ha detto che chiamerà il presidente Karzai, il quale, intanto, aveva parlato di crimine “intenzionale e imperdonabili” e ha chiesto alla Nato di fornire spiegazioni.
Ma spiegazioni non ve ne sono, a parte la pazzia che è sempre in agguato fra chi opera in scenari di guerra.
“Questo incidente è tragico e scioccante, e non rappresenta l’eccezionale carattere del nostro esercito e del rispetto che gli Usa hanno nei confronti del popolo afghano”, ha scritto Barack Obama nel suo primo commento alla tragedia avvenuta a Kandahar, aggiungendo che ora occorre “Accertare i fatti e assicurare, nel tempo più breve possibile, i responsabili alla giustizia”.
Ma sappiamo che il primo responsabile è la guerra stessa con le conseguenze di disequilibrio anche mentale che essa produce.
Ciò che sin’ora è stato possibile ricostruire è che il militare, arrestato ha agito da solo, preso da un raptus di follia e, dopo avere lasciato la sua base, ha iniziato a sparare intorno alle 3 di notte locali (le 6.30 italiane), colpendo civili in due villaggi del distretto di Panjwai, uno dei campi di battaglia più duri della guerra in Afghanistan dove è nato il movimento dei Talebani.
Oggi, in un comunicato diramato da tutte le agenzie, i talebani hanno giurato di vendicare il massacro promettendo di intensificare i loro attacchi contro “i selvaggi americani malati mentali”.
E, sempre oggi, la cancelliera tedesca Angela Merkel è arrivata in Afghanistan per una visita a sorpresa alle truppe tedesche a Mazar-i-Sharif. La Merkel si sarebbe dovuta recare a Konduz, ma ha dovuto cambiare destinazione a causa delle forti nevicate. L’ultima visita della cancelliera tedesca in Afghanistan risaliva a dicembre 2010, per incontrare i soldati tedeschi alla vigilia del Natale.
La sua presenza dimostra quanto delicata e seria sia ritenuta da più parti la situazione.
La cosa più inquietante, scrive La Stampa, è che, col passare delle ore, la strage di ieri appare sempre più il risultato di un’operazione a cui hanno partecipato molti soldati e qualsiasi sia la ricostruzione, ci troviamo di fronte ad un episodio che renderà ancora più difficile la situazione in Afghanistan. La tensione è infatti già molto alta: troppo spesso ormai la follia si sta impadronendo dei soldati nel Paese e dall’inizio dell’anno si n’è verificato un episodio al mese.
A febbraio un ufficiale americano in servizio presso la base militare di Bagram ha dato ordine di distruggere col fuoco materiale religioso islamico, fra cui alcune copie del Corano.
La popolazione musulmana ha considerato il gesto un sacrilegio anche se i militari si sono giustificati spiegando che i volumi erano stati sequestrati ai prigionieri della base e servivano a far passare messaggi. La protesta ha contagiato anche il vicino Pakistan, e alla fine sono morti una trentina di afghani oltre a sei soldati statunitensi dopo giorni e giorni di violenze. A nulla è servita la lettera di scuse inviata dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama alle autorità di Kabul promettendo un’inchiesta: le milizie talebane hanno usato la vicenda invitando la popolazione a “non fermarsi alle proteste” ma di colpire le basi e il personale militare dell’Isaf.
Come scrive Flavia Ambale, sempre più l’Afganistan sta assumendo per gli USA i contorni di un novello Vietman, una guerra devastante in cui, secondo alcune fonti, il numero di suicidi dei soldati rientrati dal fronte ha superato il numero dei morti al fronte: 58mila morti in battaglia contro 60mila suicidi.
A Gennaio, il video di quattro marine in tuta mimetica che orinavano e ridevano attorno ai cadaveri ha fatto il giro del mondo.
Pochi giorni prima, era esploso lo scandalo dei soldati inglesi arrestati dalla Royal military police con l’accusa infamante di pedofilia.
Nel Paese, 10 anni di guerra hanno aggiunto solo disperazione alla disperazione e creato un coacervo di degrado e violenza che, in qualsiasi momento, fa precipitare l’Afghanistan nel buco nero del caos.
Il bilancio di una settimana di scontri, culminati il 24 febbraio con i cortei del venerdì di preghiera, è stato di 20 morti e almeno 70 feriti.
E le scuse di Obama non bastano, anche perché, a parte il rogo del corano e la follia omicida di uno o più militari, si sa ormai che dal 2001 a oggi, i prigionieri seviziati a Parwan sono aumentati e da alcune centinaia sono passati a oltre 3 mila. Sin dai primi anni di guerra, gli ex detenuti hanno raccontato delle brutali perquisizioni che avevano portato alla loro cattura. E delle umiliazioni subite, spesso per mano delle soldatesse americane. Nel silenzio della notte, gli elicotteri Usa erano soliti accerchiare le case degli sperduti villaggi afghani.
Poi i soldati assaltavano le abitazioni, sparando raffiche di mitra e granate.
Una follia che ricorda “Apocalypse Now” e, appunto, il Vietnam: cuore di tenebra di una nazione che crede di avere sempre ragione e di poter impirre le sue ragioni al mondo, con la forza, la guerra e la tortura.
In “Cuore di tenebra” Conrad ci ricorda che le più feroci tempeste, quelle che incutono timore anche ai più esperti, non interessano che pochi metri di profondità, rimanendo gli abissi indifferenti ai venti. Sono le tempeste interiori, quelle che producono le alchimie più oscure e feroci nel cuore degli uomini. E, continua, il grande Conrad con “Linea d’ombra”, nella vita di molti non c’è che inferno, senza purgatorio o paradiso, soprattutto per chi crede di essere vate e depositario unico del bene e delle verità.
Conrad rappresenta il lato oscuro e la sua mancanza di giudizio morale costituisce uno degli aspetti della sua modernità, il distacco da altri grandi autori di tragedie umane su cui spesso aleggia qualche specie di Giudizio Universale.
Ed è anche, io credo, l’autore da consigliare agli USA degli apparati che contano, per tornare verso una etica condizione di risveglio che li faccia urlare: “Quale orrore! Quale orrore!”.
Nel passato millenario dell’Afghanistan, che agli albori della civiltà veniva chiamato Bactriana, ci sono stati molti famosi conquistatori che l’hanno più volte invaso. I più noti Ciro il Grande, Imperatore Persiano, Alexandro Magno, Gengis Khan, l’Impero Britannico, i Sovietici …Oggi gli USA con le forze di pace. Nessuno dei predecessori ha potuto dominare davvero la Bactriana e, alla fine di inutili e costose invasioni hanno dovuto abbandonarlo. Nonostante l’importanza strategica che da sempre ha avuto, sulla via della seta e di altri ricchi commerci tra oriente e occidente, non ultimo le droghe, di cui le tribù degli altopiani dell’Indukhush sono buoni produttori.
Nel 1809, Lord Mountstuart Elphinstone, Scozzese e Governatore di Bombay, in India, incontrò, per incarico di sua Maestà Britannica i capi tribù Afghani a Kabul. L’Inghilterra dominava già da tempo il continente Indiano, e il diplomatico Scozzese aveva avuto l’incarico di convincere le tribù Afghane dei vantaggi che avrebbero avuto ad accettare un governo centralizzato, protetto dall’Inghilterra che avrebbe avuto, in quel caso, il ruolo di protettrice, anziché quello di potenza coloniale, garantendo la pace tra le tribù e la protezione del loro territorio da altre mire coloniali. Ad essere maggiormente interessata a questo accordo era la compagnia delle Indie che in questo modo si assicurava un facile e sicuro passaggio alle sue merci d’oriente, via terra verso l’Europa ed il mediterraneo …ma non avevano ancora conosciuto gli Afghani che risposero: “Siamo contenti nella discordia, siamo contenti nel prendere le armi, siamo contenti nel sangue. Ma non saremo mai contenti nell’avere un padrone”.
Sono passati duecento anni da allora, ma niente è cambiato in Afghanistan. La propaganda fa passare il conflitto, come se si trattasse di una guerra di religione, Talebani Islamici, contro occidentali Cristiani, ma non è così …quello è solo un pretesto. Se non ci fosse quello, ce ne sarebbero altri.
Nessuno, neanche gli Inglesi che hanno vinto sempre, è mai riuscito a conquistare l’Afganistan: una terra impervia ed un assembramento di aree tribali che hanno sempre rifiutato un autorità centrale, anche quelle organizzate da loro stessi.
Hanno combattuto l’Armata rossa perché imponeva norme e leggi contrari ai loro usi e costumi, anche fuori da Kabul ed in tutto il resto dell’Afghanistan tribale.
E, col tempo, hanno peggiorato il loro senso di libertà. Per esempio la parità tra uomo e donna, vietava il Burka, le donne potevano lavorare, mentre lo spaccio di droga era stato vietato.
Oggi le tribù portano a Kabul i pani di haschish e i fiaschi di olio di Afghano e Karzai abbraccia le idee integraliste sulle donne.
Con le nostre invasioni lo abbiamo peggiorato e mai conquistato, quel lontano Paese, ricco di petrolio e con altre “strategiche” risorse.
Sua maestà Britannica si arrese completamente alle tribù Afghane, abbandonando definitivamente le poche zone che controllava, nel 1919, lasciando un reggimento di cavalleria Indiana a controllare il Khyber pass a protezione del confine col Pakistan dalle incursioni dei cavalieri Afghani in cerca di bottino.
La strategia Afghana era sempre la stessa. Si lasciavano invadere, per poi procedere con agguati e attacchi improvvisi e rapidi, tesi a demoralizzare gli “invasori” che lasciavano sul campo anche le armi necessarie e continuare a combattere.
E così fanno anche ora nei confronti dell’Isaf a comando USA, con una spesa di 50 mila miliardi di dollari per mantenere l’apparato d’intelligence alla Casa Bianca, che però non ha portato proprio a nulla se non morte, distruzione e follia omicida. Già nel 2001, prima ancora dell’inizio della guerra “enduring freedom”, nel libro L’Ultima Missione e in diversi articoli, Marco Gregoretti Stefano Vaccara, cercavano di mettere in guardia Usa e alleati circa la trappola in cui stavano cadendo. Ma non servì allora, come non serve adesso, dopo gli eccidi orribili degli ultimi giorni, coperti dal coro degli “esperti” copre qualsiasi voce solista dotata ancora di una logica minima.

Carlo Di Stanislao

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