Quaresima e Santa Pasqua al centro del Cristianesimo. Ecco le App del Cristiano

«Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (Eb10,24).La Quaresima e la Santa Pasqua AD 2012 sono al centro del Cristianesimo e della vita dei fedeli di tutto il mondo, dei Cristiani perseguitati a causa del Vangelo, ma anche dei meno impegnati e pur sempre in mezzo […]

«Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (Eb10,24).La Quaresima e la Santa Pasqua AD 2012 sono al centro del Cristianesimo e della vita dei fedeli di tutto il mondo, dei Cristiani perseguitati a causa del Vangelo, ma anche dei meno impegnati e pur sempre in mezzo ai lupi famelici del mondo. Se tutti sono assetati e desiderano abbeverarsi alla Fonte della vera Acqua fresca che zampilla e disseta per sempre, come comportarsi se non come agnelli furbi e veraci? Il Santo Padre Benedetto XVI nel suo Messaggio per la Quaresima AD 2012 ci offre ancora una volta l’opportunità di riflettere sul cuore della vita cristiana: la carità, l’App principale gratis per tutti. “Questo è un tempo propizio affinché, con l’aiuto della Parola di Dio e dei Sacramenti, rinnoviamo il nostro cammino di fede, sia personale che comunitario. È un percorso segnato dalla preghiera e dalla condivisione, dal silenzio e dal digiuno, in attesa di vivere la gioia pasquale”. Quest’anno il Papa desidera proporre alcuni pensieri alla luce di un breve testo biblico tratto dalla Lettera agli Ebrei:«Prestiamo attenzione gli uni agli altri per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (10,24). “È una frase inserita in una pericope dove lo scrittore sacro esorta a confidare in Gesù Cristo come sommo sacerdote, che ci ha ottenuto il perdono e l’accesso a Dio”. Il frutto dell’accoglienza di Gesù Cristo, in pratica, è una vita dispiegata secondo le tre virtù teologali. “Si tratta di accostarsi al Signore «con cuore sincero nella pienezza della fede» (v. 22), di mantenere salda «la professione della nostra speranza» (v. 23) nellattenzione costante ad esercitare insieme ai fratelli «la carità e le opere buone» (v. 24). Il Pontefice esorta a sostenere questa condotta evangelica:“è importante partecipare agli incontri liturgici e di preghiera della comunità, guardando alla meta escatologica: la comunione piena in Dio (v. 25). Il Papa si sofferma sul versetto 24che offre un insegnamento prezioso e sempre attuale su tre aspetti della vita cristiana: lattenzione allaltro, la reciprocità e la santità personale.La prima App del Cristiano comporta, in primis, il “prestare attenzione” come nostra responsabilità diretta verso il fratello e la sorella nella fede. “Il primo elemento è l’invito a «fare attenzione»: il verbo greco usato è katanoein, che significa osservare bene, essere attenti, guardare con consapevolezza, accorgersi di una realtà. Lo troviamo nel Vangelo, quando Gesù invita i discepoli a «osservare» gli uccelli del cielo, che pur senza affannarsi sono oggetto della sollecita e premurosa Provvidenza divina (cfr Lc 12,24), e a «rendersi conto» della trave che c’è nel proprio occhio prima di guardare alla pagliuzza nell’occhio del fratello (cfr Lc 6,41). Lo troviamo anche in un altro passo della stessa Lettera agli Ebrei, come invito a «prestare attenzione a Gesù» (3,1), l’apostolo e sommo sacerdote della nostra fede. Quindi, il verbo che apre la nostra esortazione invita a fissare lo sguardo sull’altro, prima di tutto su Gesù, e ad essere attenti gli uni verso gli altri, a non mostrarsi estranei, indifferenti alla sorte dei fratelli”. Nella vita quotidiana prevale l’atteggiamento contrario: l’indifferenza, il disinteresse, che nascono dall’egoismo, mascherato da una parvenza di rispetto per la «sfera privata». “Anche oggi risuona con forza la voce del Signore che chiama ognuno di noi a prendersi cura dell’altro. Anche oggi Dio ci chiede di essere «custodi» dei nostri fratelli (cfr Gen 4,9)”. Cioè di instaurare relazioni pure caratterizzate da premura reciproca, da attenzione al bene dell’altro e a tutto il suo bene. “Il grande comandamento dell’amore del prossimo esige e sollecita la consapevolezza di avere una responsabilità verso chi, come me, è creatura e figlio di Dio: l’essere fratelli in umanità e, in molti casi, anche nella fede, deve portarci a vedere nell’altro un vero alter ego, amato in modo infinito dal Signore. Se coltiviamo questo sguardo di fraternità, la solidarietà, la giustizia, così come la misericordia e la compassione, scaturiranno naturalmente dal nostro cuore”. Papa Benedetto XVI ricorda il Servo di Dio Paolo VI, il quale affermava che “il mondo soffre oggi soprattutto di una mancanza di fraternità:«Il mondo è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli» (Lett. enc. Populorum progressio [26 marzo 1967], n. 66)”. Come possiamo considerare il nostro prossimo come fratelli e sorelle? “L’attenzione all’altro comporta desiderare per lui o per lei il bene, sotto tutti gli aspetti: fisico, morale e spirituale. La cultura contemporanea sembra aver smarrito il senso del bene e del male, mentre occorre ribadire con forza che il bene esiste e vince, perché Dio è «buono e fa il bene» (Sal 119,68)”. Che significa fare il bene di Dio? “Il bene è ciò che suscita, protegge e promuove la vita, la fraternità e la comunione. La responsabilità verso il prossimo significa allora volere e fare il bene dell’altro, desiderando che anch’egli si apra alla logica del bene; interessarsi al fratello vuol dire aprire gli occhi sulle sue necessità. La Sacra Scrittura mette in guardia dal pericolo di avere il cuore indurito da una sorta di «anestesia spirituale» che rende ciechi alle sofferenze altrui”. Il Santo Padre sollecita la lettura dell’evangelista Luca che riporta due parabole di Gesù in cui vengono indicati due esempi di questa situazione che può crearsi nel cuore dell’uomo. “In quella del buon Samaritano, il sacerdote e il levita «passano oltre», con indifferenza, davanti all’uomo derubato e percosso dai briganti (cfr Lc 10,30-32), e in quella del ricco epulone, quest’uomo sazio di beni non si avvede della condizione del povero Lazzaro che muore di fame davanti alla sua porta (cfr Lc 16,19). In entrambi i casi abbiamo a che fare con il contrario del «prestare attenzione», del guardare con amore e compassione”. Che cosa impedisce oggi questo sguardo umano e amorevole verso il fratello? “Sono spesso la ricchezza materiale e la sazietà, ma è anche l’anteporre a tutto i propri interessi e le proprie preoccupazioni. Mai dobbiamo essere incapaci di «avere misericordia» verso chi soffre; mai il nostro cuore deve essere talmente assorbito dalle nostre cose e dai nostri problemi da risultare sordo al grido del povero. Invece proprio l’umiltà di cuore e l’esperienza personale della sofferenza possono rivelarsi fonte di risveglio interiore alla compassione e all’empatia:«Il giusto riconosce il diritto dei miseri, il malvagio invece non intende ragione» (Pr 29,7). Si comprende così la beatitudine di «coloro che sono nel pianto» (Mt 5,4), cioè di quanti sono in grado di uscire da se stessi per commuoversi del dolore altrui”. Dunque l’incontro con l’altro e l’aprire il cuore al suo bisogno – ci ricorda il Papa – sono occasione di salvezza e di beatitudine. Il «prestare attenzione» al fratello comprende altresì la premura per il suo bene spirituale. Il Santo Padre richiama un aspetto della vita cristiana che pare caduto in oblio: la correzione fraterna in vista della salvezza eterna. “Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli. Non così nella Chiesa dei primi tempi e nelle comunità veramente mature nella fede, in cui ci si prende a cuore non solo la salute corporale del fratello, ma anche quella della sua anima per il suo destino ultimo”. Nella Sacra Scrittura leggiamo: «Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere»(Pr 9,8s). “Cristo stesso comanda di riprendere il fratello che sta commettendo un peccato (cfr Mt 18,15). Il verbo usato per definire la correzione fraterna – elenchein – è il medesimo che indica la missione profetica di denuncia propria dei cristiani verso una generazione che indulge al male (cfr Ef 5,11)”. Infatti la tradizione della Chiesa ha annoverato tra le opere di misericordia spirituale quella di «ammonire i peccatori», ossia i nostri fratelli e le nostre sorelle. E, poiché nei diversi gradi di gravità lo siamo tutti agli occhi di Dio, l’ammonimento deve essere necessariamente reciproco. Ma come attuarlo? “È importante recuperare questa dimensione della carità cristiana. Non bisogna tacere di fronte al male. Penso qui all’atteggiamento di quei cristiani che, per rispetto umano o per semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto che mettere in guardia i propri fratelli dai modi di pensare e di agire che contraddicono la verità e non seguono la via del bene. Il rimprovero cristiano, però, non è mai animato da spirito di condanna o recriminazione; è mosso sempre dall’amore e dalla misericordia e sgorga da vera sollecitudine per il bene del fratello”. Il Santo Padre ricorda l’atteggiamento dell’apostolo Paolo che afferma:«Se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu»(Gal 6,1). “Nel nostro mondo impregnato di individualismo, è necessario riscoprire l’importanza della correzione fraterna, per camminare insieme verso la santità. Persino «il giusto cade sette volte»(Pr 24,16), dice la Scrittura, e noi tutti siamo deboli e manchevoli (cfr 1 Gv 1,8). È un grande servizio quindi aiutare e lasciarsi aiutare a leggere con verità se stessi, per migliorare la propria vita e camminare più rettamente nella via del Signore”. Infatti “c’è sempre bisogno di uno sguardo che ama e corregge, che conosce e riconosce, che discerne e perdona (cfr Lc 22,61), come ha fatto e fa Dio con ciascuno di noi”. Tra le App del Cristiano non può certo mancare il dono della reciprocità. “Tale «custodia» verso gli altri contrasta con una mentalità che, riducendo la vita alla sola dimensione terrena, non la considera in prospettiva escatologica e accetta qualsiasi scelta morale in nome della libertà individuale. Una società come quella attuale può diventare sorda sia alle sofferenze fisiche, sia alle esigenze spirituali e morali della vita. Non così deve essere nella comunità cristiana! L’apostolo Paolo invita a cercare ciò che porta «alla pace e alla edificazione vicendevole» (Rm 14,19), giovando al «prossimo nel bene, per edificarlo» (ibid. 15,2), senza cercare l’utile proprio «ma quello di molti, perché giungano alla salvezza» (1 Cor 10,33)”. Il Santo Padre ci invita a riscoprire questa reciproca correzione ed esortazione, in spirito di umiltà e di carità, quale parte della vita della comunità cristiana.I discepoli del Signore, uniti a Cristo mediante l’Eucaristia, vivono in una comunione che li lega gli uni agli altri come membra di un solo corpo. Ciò significa che l’altro mi appartiene, la sua vita, la sua salvezza riguardano la mia vita e la mia salvezza. È una rivoluzione totale che può avvenire solo in Cristo, altrimenti risulta impossibile attuarla. “Tocchiamo qui un elemento molto profondo della comunione:la nostra esistenza è correlata con quella degli altri, sia nel bene che nel male; sia il peccato, sia le opere di amore hanno anche una dimensione sociale. Nella Chiesa, corpo mistico di Cristo, si verifica tale reciprocità: la comunità non cessa di fare penitenza e di invocare perdono per i peccati dei suoi figli, ma si rallegra anche di continuo e con giubilo per le testimonianze di virtù e di carità che in essa si dispiegano”. «Le varie membra abbiano cura le une delle altre» (1 Cor 12,25) afferma San Paolo, perché siamo uno stesso corpo. Ciò significa che non dobbiamo, non possiamo, non vogliamo che il bene del nostro prossimo, soprattutto di chi ci ha fatto del male. La carità verso i fratelli, di cui è un’espressione lelemosina– tipica pratica quaresimale insieme con la preghiera e il digiuno – si radica in questa comune appartenenza. Anche nella preoccupazione concreta verso i più poveri ogni cristiano può esprimere la sua partecipazione all’unico corpo che è la Chiesa. Attenzione agli altri nella reciprocità è anche riconoscere il bene che il Signore compie in essi e ringraziare con loro per i prodigi di grazia che il Dio buono e onnipotente continua a operare nei suoi figli. Quando un cristiano scorge nell’altro l’azione dello Spirito Santo, non può che gioirne e dare gloria al Padre celeste (cfr Mt 5,16).La terza App fondamentale del Cristiano è quella di “stimolarsi a vicenda nella carità e nelle opere buone”, cioè camminare insieme nella santità. Questa espressione della Lettera agli Ebrei (10,24) ci spinge a considerare la chiamata universale alla santità, il cammino costante nella vita spirituale, ad aspirare ai carismi più grandi e a una carità sempre più alta e più feconda (cfr 1 Cor 12,31-13,13). L’attenzione reciproca ha come scopo il mutuo spronarsi ad un amore effettivo sempre maggiore, «come la luce dellalba, che aumenta lo splendore fino al meriggio» (Pr 4,18), in attesa di vivere il giorno senza tramonto in Dio. Il tempo che ci è dato nella nostra vita è prezioso per scoprire e compiere le opere di bene, nell’amore di Dio”. Così la Chiesa di Cristo (tutti i Cristiani) cresce e si sviluppa nella Fraternità (l’affare urgente) per giungere alla piena maturità di Cristo (cfr Ef 4,13). In tale prospettiva dinamica di crescita si situa la nostra esortazione a stimolarci reciprocamente per giungere alla pienezza dellamore e delle buone opera”. Come possiamo vincere la costante tentazione della tiepidezza, del soffocare lo Spirito, del rifiuto di «trafficare i talenti» che ci sono donati per il bene nostro e altrui (cfr Mt 25,25s)?Tutti abbiamo ricevuto ricchezze spirituali o materiali utili per il compimento del piano divino, per il bene della Chiesa e per la salvezza personale (cfr Lc 12,21b; 1 Tm 6,18). I maestri spirituali ricordano che nella vita di fede chi non avanza retrocede. Cari fratelli e sorelle, accogliamo l’invito sempre attuale a tendere alla «misura alta della vita cristiana» (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte [6 gennaio 2001], n. 31). La sapienza della Chiesa nel riconoscere e proclamare la beatitudine e la santità di taluni cristiani esemplari, ha come scopo anche di suscitare il desiderio di imitarne le virtù. San Paolo esorta:«gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10)”. San Filippo Neri invita a scappare dalle occasioni, dalle tentazioni e dalle seduzioni del male: di fronte ad un mondo che esige dai Cristiani una testimonianza rinnovata di amore e di fedeltà al Signore, che cosa possiamo fare? “Tutti sentano l’urgenza di adoperarsi per gareggiare nella carità, nel servizio e nelle opere buone (cfr Eb 6,10). Questo richiamo è particolarmente forte nel tempo santo di preparazione alla Pasqua. Con l’augurio di una santa e feconda Quaresima, vi affido all’intercessione della Beata Vergine Maria e di cuore imparto a tutti la Benedizione Apostolica.In occasione del Convegno internazionale «Gesù, nostro contemporaneo»(Roma, 9-11 febbraio 2012) su iniziativa del Comitato per il Progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana, Papa Benedetto XVI, “lieto e grato per la scelta di dedicare alla Persona di Gesù alcune giornate di approfondimento interdisciplinare e di proposta culturale, destinate ad avere risonanza nella comunità ecclesiale e sociale italiana”, sottolinea quanto forti siano i molti segnali che “rivelano come il nome e il messaggio di Gesù di Nazareth, pur in tempi così distratti e confusi, trovino frequentemente interesse ed esercitino una forte attrattiva, anche in coloro che non giungono ad aderire alla sua parola di salvezza”. I due volumi scritti dal Santo Padre sulla Persona di Gesù di Nazareth, ci invitano alla riflessione per “una comprensione sempre più profonda e compiuta della figura reale di Gesù Cristo, quale può scaturire solo dall’ermeneutica della fede posta in fecondo rapporto con la ragione storica”. A questo fine il Santo Padre ha scritto i suoi due libri dedicati a Gesù di Nazareth, che la cinematografia mondiale è invitata a considerare con molta attenzione, magari per la produzione del primo grande kolossal in 3D fedele alla realtà completa dei fatti. “È molto significativo che, all’interno dell’opera di elaborazione culturale della comunità cristiana, venga messo a tema ciò che non può considerarsi oggetto esclusivo delle discipline sacre, come ben mostra la vastità delle competenze e la pluralità delle voci chiamate a raccolta nel Convegno. L’evangelizzazione della cultura, a cui tende il Progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana, si fonda sulla convinzione che la vita della persona e di un popolo può essere animata e trasformata in tutte le sue dimensioni dal Vangelo, per raggiungere in pienezza il suo fine e la sua verità”. Nel corso del suo Pontificato, Benedetto XVI ha più volte richiamato la priorità costituita dall’aprire a Dio una strada nel cuore e nella vita degli uomini. «Con Lui o senza di Lui tutto cambia», affermava incisivamente il titolo del precedente Convegno del Comitato per il Progetto culturale. “Non a un indefinito ente superiore o a una forza cosmica possiamo affidare le nostre vite, ma al Dio il cui volto di Padre ci è stato reso familiare dal Figlio, «pieno di grazia e di verità» (Gv 1, 14). È Gesù la chiave che ci apre la porta della sapienza e dell’amore, che spezza la nostra solitudine e tiene accesa la speranza davanti al mistero del male e della morte. La vicenda di Gesù di Nazaret, nel cui nome ancora oggi molti credenti, in diversi Paesi del mondo, affrontano sofferenze e persecuzioni, non può dunque restare confinata in un lontano passato, ma è decisiva per la nostra fede oggi”. Cosa significa affermare che Gesù di Nazaret, vissuto tra la Galilea e la Giudea duemila anni fa, è «contemporaneo» di ciascun uomo e donna che vive oggi e in ogni tempo? “Ce lo spiega Romano Guardini con parole che rimangono attuali come quando furono scritte:«La sua vita terrena è entrata nell’eternità e in tal modo è correlata ad ogni ora del tempo terreno redento dal suo sacrificio… Nel credente si compie un mistero ineffabile: Cristo che è “lassù”, “assiso alla destra del Padre” (Col 3, 1), è anche “in” quest’uomo, con la pienezza della sua redenzione; poiché in ogni cristiano si compie di nuovo la vita di Cristo, la sua crescita, la sua maturità, la sua passione, morte e resurrezione, che ne costituisce la vera vita» (Il testamento di Gesù, Milano 1993, p. 141)”. Il Santo Padre ci ricorda che “Gesù è entrato per sempre nella storia umana e vi continua a vivere, con la sua bellezza e potenza, in quel corpo fragile e sempre bisognoso di purificazione, ma anche infinitamente ricolmo dell’amore divino, che è la Chiesa. A Lui essa si rivolge nella Liturgia, per lodarlo e ricevere la vita autentica. La contemporaneità di Gesù si rivela in modo speciale nell’Eucaristia, in cui Egli è presente con la sua passione, morte e risurrezione. È questo il motivo che rende la Chiesa contemporanea di ogni uomo, capace di abbracciare tutti gli uomini e tutte le epoche perché guidata dallo Spirito Santo al fine di continuare l’opera di Gesù nella storia”. In occasione della XLIX Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che sarà celebrata il 29 aprile 2012, quarta domenica di Pasqua, il Papa ci invita a riflettere sul tema: Le vocazioni dono della Carità di Dio. “La fonte di ogni dono perfetto è Dio Amore – Deus caritas est -: «chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1 Gv 4,16). La Sacra Scrittura narra la storia di questo legame originario tra Dio e l’umanità, che precede la stessa creazione”. San Paolo scrive ai Cristiani della città di Efeso, elevando un inno di gratitudine e lode al Padre, il quale con infinita benevolenza dispone lungo i secoli l’attuarsi del suo universale disegno di salvezza, che è disegno d’amore. “Nel Figlio Gesù – afferma l’Apostolo – Egli «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef 1,4). Noi siamo amati da Dio “prima” ancora di venire all’esistenza!Mosso esclusivamente dal suo amore incondizionato, Egli ci ha “creati dal nulla” (cfr 2Mac 7,28) per condurci alla piena comunione con Sé. Preso da grande stupore davanti all’opera della provvidenza di Dio, il Salmista esclama:“Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?” (Sal 8,4-5). La verità profonda della nostra esistenza è, dunque, racchiusa in questo sorprendente mistero: ogni creatura, in particolare ogni persona umana, è frutto di un pensiero e di un atto di amore di Dio, amore immenso, fedele, eterno (cfr Ger 31,3)”. In che modo la scoperta di questa realtà è ciò che cambia veramente la nostra vita nel profondo? “In una celebre pagina delle Confessioni, sant’Agostino esprime con grande intensità la sua scoperta di Dio somma bellezza e sommo amore, un Dio che gli era stato sempre vicino, ma al quale finalmente apriva la mente e il cuore per essere trasformato:“Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace”(X, 27.38)”. Con queste immagini – ci ricorda il Papa – il Santo di Ippona cerca di descrivere il mistero ineffabile dell’incontro con Dio, con il Suo amore che trasforma tutta l’esistenza. “Si tratta di un amore senza riserve che ci precede, ci sostiene e ci chiama lungo il cammino della vita e ha la sua radice nell’assoluta gratuità di Dio. Riferendosi in particolare al ministero sacerdotale, il mio predecessore, il Beato Giovanni Paolo II, affermava che «ogni gesto ministeriale, mentre conduce ad amare e a servire la Chiesa, spinge a maturare sempre più nell’amore e nel servizio a Gesù Cristo Capo, Pastore e Sposo della Chiesa, un amore che si configura sempre come risposta a quello preveniente, libero e gratuito di Dio in Cristo»(Esort. ap. Pastores dabo vobis, 25)”. Dunque, “ogni specifica vocazione nasce dall’iniziativa di Dio, è dono della Carità di Dio! È Lui a compiere il “primo passo” e non a motivo di una particolare bontà riscontrata in noi, bensì in virtù della presenza del suo stesso amore «riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo» (Rm 5,5)”. Che significa? “In ogni tempo, alla sorgente della chiamata divina c’è l’iniziativa dell’amore infinito di Dio, che si manifesta pienamente in Gesù Cristo. Come ho scritto nella mia prima Enciclica Deus caritas est, «di fatto esiste una molteplice visibilità di Dio. Nella storia d’amore che la Bibbia ci racconta, Egli ci viene incontro, cerca di conquistarci – fino all’Ultima Cena, fino al Cuore trafitto sulla croce, fino alle apparizioni del Risorto e alle grandi opere mediante le quali Egli, attraverso l’azione degli Apostoli, ha guidato il cammino della Chiesa nascente. Anche nella successiva storia della Chiesa il Signore non è rimasto assente: sempre di nuovo ci viene incontro – attraverso uomini nei quali Egli traspare; attraverso la sua Parola, nei Sacramenti, specialmente nell’Eucaristia»(n. 17)”. L’amore di Dio rimane per sempre, è fedele a se stesso, alla «parola data per mille generazioni» (Sal 105,8). “Occorre, pertanto, riannunciare, specialmente alle nuove generazioni, la bellezza invitante di questo amore divino, che precede e accompagna: esso è la molla segreta, è la motivazione che non viene meno, anche nelle circostanze più difficili”. Questa è la Fede, oggi più preziosa del più raro dei diamanti. “Cari fratelli e sorelle, è a questo amore che dobbiamo aprire la nostra vita, ed è alla perfezione dell’amore del Padre (cfr Mt 5,48) che ci chiama Gesù Cristo ogni giorno! La misura alta della vita cristiana consiste infatti nell’amare “come” Dio; si tratta di un amore che si manifesta nel dono totale di sé fedele e fecondo. Alla priora del monastero di Segovia, in pena per la drammatica situazione di sospensione in cui egli si trovava in quegli anni, San Giovanni della Croce risponde invitandola ad agire secondo Dio:«Non pensi ad altro se non che tutto è disposto da Dio; e dove non c’è amore, metta amore e raccoglierà amore»(Epistolario, 26)”. Papa Benedetto XVI ci esorta a considerare “questo terreno oblativo, nell’apertura all’amore di Dio e come frutto di questo amore”, il luogo privilegiato e fecondo dove “nascono e crescono tutte le vocazioni. Ed è attingendo a questa sorgente nella preghiera, con l’assidua frequentazione della Parola e dei Sacramenti, in particolar modo dell’Eucaristia, che è possibile vivere l’amore verso il prossimo nel quale si impara a scorgere il volto di Cristo Signore (cfr Mt 25,31-46). Per esprimere il legame inscindibile che intercorre tra questi “due amori” – l’amore verso Dio e quello verso il prossimo – scaturiti dalla medesima sorgente divina e ad essa orientati, il Papa San Gregorio Magno usa l’esempio della pianticella:«Nel terreno del nostro cuore [Dio] ha piantato prima la radice dell’amore verso di Lui e poi si è sviluppato, come chioma, l’amore fraterno» (Moralium Libri, sive expositio in Librum B. Job, Lib. VII, cap. 24, 28; PL 75, 780D). Queste due espressioni dell’unico amore divino, devono essere vissute con particolare intensità e purezza di cuore da coloro che hanno deciso di intraprendere un cammino di discernimento vocazionale verso il ministero sacerdotale e la vita consacrata; ne costituiscono l’elemento qualificante. Infatti, l’amore per Dio, di cui i presbiteri e i religiosi diventano immagini visibili – seppure sempre imperfette – è la motivazione della risposta alla chiamata di speciale consacrazione al Signore attraverso l’Ordinazione presbiterale o la professione dei consigli evangelici. Il vigore della risposta di san Pietro al divino Maestro:«Tu lo sai che ti voglio bene» (Gv 21,15), è il segreto di una esistenza donata e vissuta in pienezza, e per questo ricolma di profonda gioia”. Dunque, l’altra espressione concreta dell’amore, quello verso il prossimo, soprattutto verso i più bisognosi e sofferenti – ricorda il Santo Padre – è la spinta decisiva che fa del sacerdote e della persona consacrata un suscitatore di comunione tra la gente e un seminatore di speranza. “Il rapporto dei consacrati, specialmente del sacerdote, con la comunità cristiana è vitale e diventa anche parte fondamentale del loro orizzonte affettivo. Al riguardo, il Santo Curato d’Ars amava ripetere:«Il prete non è prete per sé; lo è per voi» (Le curé d’Ars. Sa pensée – Son cœur, Foi Vivante, 1966, p. 100)”. Benedetto XVI esorta con viva sollecitudine i cari Fratelli nell’episcopato, i cari presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, catechisti, operatori pastorali e voi tutti impegnati nel campo dell’educazione delle nuove generazioni, a porsi “in attento ascolto di quanti all’interno delle comunità parrocchiali, delle associazioni e dei movimenti avvertono il manifestarsi dei segni di una chiamata al sacerdozio o ad una speciale consacrazione. È importante che nella Chiesa si creino le condizioni favorevoli affinché possano sbocciare tanti “sì”, quali generose risposte alla chiamata di amore di Dio. Sarà compito della pastorale vocazionale offrire i punti di orientamento per un fruttuoso percorso”. Come sentire la chiamata divina in mezzo a tante voci che riempiono la vita quotidiana? “Elemento centrale sarà l’amore alla Parola di Dio, coltivando una familiarità crescente con la Sacra Scrittura e una preghiera personale e comunitaria attenta e costante, per essere capaci di sentire la chiamata divina in mezzo a tante voci che riempiono la vita quotidiana. Ma soprattutto l’Eucaristia sia il “centro vitale” di ogni cammino vocazionale: è qui che l’amore di Dio ci tocca nel sacrificio di Cristo, espressione perfetta di amore, ed è qui che impariamo sempre di nuovo a vivere la “misura alta” dell’amore di Dio. Parola, preghiera ed Eucaristia sono il tesoro prezioso per comprendere la bellezza di una vita totalmente spesa per il Regno”. Il Papa auspica “che le Chiese locali, nelle loro varie componenti, si facciano “luogo” di attento discernimento e di profonda verifica vocazionale, offrendo ai giovani e alle giovani un saggio e vigoroso accompagnamento spirituale. In questo modo la comunità cristiana diventa essa stessa manifestazione della Carità di Dio che custodisce in sé ogni chiamata. Tale dinamica, che risponde alle istanze del comandamento nuovo di Gesù, può trovare eloquente e singolare attuazione nelle famiglie cristiane, il cui amore è espressione dell’amore di Cristo che ha dato se stesso per la sua Chiesa (cfr Ef 5,32). Nelle famiglie, «comunità di vita e di amore» (Gaudium et spes, 48), le nuove generazioni possono fare mirabile esperienza di questo amore oblativo. Esse, infatti, non solo sono il luogo privilegiato della formazione umana e cristiana, ma possono rappresentare «il primo e il miglior seminario della vocazione alla vita di consacrazione al Regno di Dio» (Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 53), facendo riscoprire, proprio all’interno della famiglia, la bellezza e l’importanza del sacerdozio e della vita consacrata”. I Parroci, quindi, non abbandonino mai le loro famiglie cristiane magari lontane dalla vita parrocchiale. “I Pastori e tutti i fedeli laici sappiano sempre collaborare affinché nella Chiesa si moltiplichino queste «case e scuole di comunione» sul modello della Santa Famiglia di Nazareth, riflesso armonico sulla terra della vita della Santissima Trinità. Con questi auspici, imparto di cuore la Benedizione Apostolica a voi, Venerati Fratelli nell’episcopato, ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi, alle religiose e a tutti i fedeli laici, in particolare ai giovani e alle giovani che con cuore docile si pongono in ascolto della voce di Dio, pronti ad accoglierla con adesione generosa e fedele”. 

Nicola Facciolini

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