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George Clooney platealmente arrestato e liberato dopo poche ore e Obama, con Petreus, al centro del mirino di Bin Laden secondo le rivelazioni (utilissime in campagna elettorale) sul Washington Post del giornalista e scrittore David Ignatius, specialista di terrorismo islamico, basando le rivelazioni su documenti di cui è venuto in possesso, presi nel covo pachistano […]

George Clooney platealmente arrestato e liberato dopo poche ore e Obama, con Petreus, al centro del mirino di Bin Laden secondo le rivelazioni (utilissime in campagna elettorale) sul Washington Post del giornalista e scrittore David Ignatius, specialista di terrorismo islamico, basando le rivelazioni su documenti di cui è venuto in possesso, presi nel covo pachistano dello sceicco del terrore, la notte del 2 maggio scorso, quando venne ucciso dai corpi speciali americani.
Quindi, secondo Ignatius, Barack Obama e David Petraeus, oggi capo della Cia ma allora alla guida delle forze americane in Afghanistan, erano entrati direttamente nel mirino del capo di Al Qaeda, appostato nel covo di Abbottabad, in quanto , il primo “capo degli infedeli” uccidendo il quale sarebbe stato possibile portare al comando Joe Biden (il vicepresidente)’, con capacità, secondo Bin Laden, pressoché nulle; mentre l’uccisione del secondo, avrebbe alterato l’andamento del conflitto in Iran.
Osama contava di far portare a termine gli attacchi contro Obama e Petraeus dal terrorista pachistano Ilyas Kashmiri, poi ucciso in un attacco di un drone americano un mese dopo la morte del leader di Al Qaeda. Il complotto per far ucidere Obama probabilmente era solo teorico perché apparentemente Osama non disponeva dei mezzi per abbattere gli aerei americani con a bordo i due bersagli.
In una direttiva di 48 pagine inviata al suo vice Atiyah Abd al-Rahman il terrorista chiedeva di concentrare ogni sforzo “su attacchi negli Stati Uniti” invece che su operazioni nei paesi islamici.
Il fatto è certamente vero, ma tirarlo fuori ora suona tanto di sostegno pre-elettivo a Obama ed al suo entourage, mentre i sondaggi ci dicono che il presidente è in affanno, anche per lo scandalo, tutto americano, delle dichiarazioni dello sceriffo della Contea di Maricopa, Joe Arpaio, secondo cui il presidente non sarebbe nato a Honolulu, nello stato delle Hawaii e quindi non sarebbe legittimato a rivestire la carica di presidente.
L’indagine di Arpai,o condotta da cinque volontari, avrebbe preso le mosse dalla richiesta di un gruppo di attivisti conservatori del Tea Party nella zona di Phoenix, lo scorso agosto in merito al certificato di nascita pubblicato on line nell’aprile dello scorso anno.
“Dopo 6 mesi di indagini”, ha dichiarato lo sceriffo in conferenza stampa “ho motivo di credere che il certificato di nascita del presidente è un falso creato ad arte, un documento fraudolento”.
Per questo Arpajo ha chiesto pubblicamente al Congresso degli Stati Uniti di indagare sulle sue scoperte negando che le sue ricerche fossero politicamente strumentalizzate, come invece sollevato da Washington.
“Voglio essere chiaro”, ha spiegato, “non sto accusando il presidente in carica degli Stati Uniti di aver commesso un reato. Ma ci sono un sacco di domande che chiedono risposte ed abbiamo intenzione di andare avanti con l’indagine alla ricerca di quelle risposte”.
Ad aprile dello scorso anno, casualmente alla vigilia della notizia della morte di Osama Bin Laden, dopo due anni e mezzo di dubbi sulle vere origini di Barack Obama, il Presidente americano sembrò deciso a farla finita con le macchinazioni facendo pubblicare on line il suo certificato di nascita per esteso: “Sono americano. Sono nato alle Hawaii, il 4 agosto 1961, all’Ospedale Kapiolani di Honolulu. Ora però basta con queste fesserie, ho cose più importanti da fare” concluse a mezzo stampa.
Ma a rinforzare i dubbi le candide parole della nonna materna, Sarah Onyango, che ha dichiarato ai giornalisti che il nipote è nato in Kenya, all’ospedale di Mombasa. Solo una volta rientrati a Honolulu i genitori di Barack, Obama senior e Ann Dunham, sarebbero riusciti a registrare la nascita del figlio all’anagrafe hawaiana. Depositario di prove materiali a sostegno di quanto afferma Sarah Onyango sarebbe un imam di Mombasa.
Quanto a Clooney, assieme ad altre star del calibro di Brad Pitt e Matt Daemon, da tempo si è posto si e l’ambizioso obiettivo di “porre fine alle atrocità di massa del nostro tempo” e per farlo si è detto più volte disposto anche a “generare assistenza umanitaria salvavita e protezione per ogni persona vulnerabile, marginalizzata, sfollata”.
E ieri, protestando assieme al padre, di mestiere cronista, davanti all’ambasciata del Sudan a Washington, contro il regime di Omaral-Bashir, accusato di aver provocato una crisi umanitaria impedendo ad alimenti e aiuti di entrare nella zona delle Montagne di Nuba, nella regione che confina con il Sud Sudan, è stato arrestato attorno alle 12 e rilasciato poche ore dopo.

Clooney, che sempre ieri ha anche incontrato il presidente Barack Obama alla Casa Bianca, vuole portare maggiore attenzione sulla questione e avverte che se non verranno intraprese altre azioni entro tre o quattro mesi. Oltre al padre, ad accompagnare Clooney c’era anche Jim Moran, deputato democratico della Virginia, fermato pure lui, dopo che i manifestanti sono stati avvertiti tre volte di non superare la linea della polizia fuori dall’ambasciata.
Qualche giorno fa Clooney aveva testimoniato al Congresso Usa per denunciare quella che ha definito una “campagna di assassinii” in corso in Sudan dove proseguono i bombardamenti quotidiani nelle zone sul confine con il Sud Sudan.
Ed ora il platea arresto, inscenato e filmato come un film e per di più con una abilissima regia.
Certamente encomiabile il gesto e di maggior appeal di quanto dichiarato appena due giorni fa e ciò che non ha mai pensato né ad un rapporto stabile, né tantomeno ad un figlio, condizioni che ritiene “troppo impegnative”.
Ha ormai varcato la soglia dei cinquant’anni il bel Clooney, ma l’istinto paterno proprio non riesce ad instillarsi in lui e fresco della nuova relazione con l’ex wrestler Stacy Keibler, dopo la separazione da Elisabetta Canalis, non sembra volerne sapere di mettere al mondo un erede.
“Fare un figlio? Le mie sinapsi non hanno mai neanche contemplato un’ipotesi simile – ha dichiarato l’attore in un’intervista esclusiva a Marie Claire Enfants -. Se mi piacciono i bambini? Sì, fintantoché non infilano pezzi di Lego nel serbatoio della mia Harley”.
Strane parole per un attivista dei diritti umanitari.
Nel suo ultimo film, “Paradiso Amaro”, George è costretto, a causa di un incidente occorso alla moglie, ad instaurare un rapporto vero e sincero con le proprie figlie. All’inizio impacciato e poco capace, Clooney al termine del film perderà la compagna ma ritroverà il feeling con le figlie.
Ma è stato, anche lì, così poco credibile da non vincere nulla di importante.
E, sempre dal “circo-America”, si apprende oggi dell’arresta o S. Diego, di Jason Russell 33, anni, regista di “Kony2012”, il video più velocemente cliccato della storia, 70 miloni di volte in cinque giorni, arrestato mentre ubriaco (e forse anche qualcosa), correva nudo e si masturbava in pubblico.
E’ riuscito, con il suo documentario “Kony 2012” a far sì che tutta la gente del mondo conoscesse il nome di Joseph Kony, il criminale di guerra ugandese che ha schiavizzato 30mila bambini soldati, affinché tutti gli indignati del pianeta spingessero i governi a dargli la caccia.
Storia incredibile quella di Jason, papà del piccino biondo diventato anche lui famoso e per il quale, dice nel video, aveva deciso di lanciarsi nell’avventura dell’attivismo sociale.
Il suo arresto è uno scandalo senza precedenti per Invisibile Children, l’associazione non governativa diventata celeberrima nello spazio di una cybertempesta e che adesso è costretta a riconoscere in uno striminzito comunicato che il cofondatore “è stato purtroppo ricoverato in ospedale per spossatezza, deidratazione e malnutrizione”: una diagnosi che sembra più appropriata per uno di quei bambini schiavi che Jason che voleva salvare.
Ma anche questa è l’America, un paese con mille contraddizioni e stranezze, come narrato da Marcus Greil in un libro recente pubblicato da Arcana, mostrato da Altman sullo schermo e cantato da molti, primo fra tutti Bob Dylan.
Nel 1941, Joe Simon e Jack Kirby , creando Capitan America, vollero incarnare quegli ideali americani di giustizia e libertà che i regimi fascisti europei stavano calpestando dall’altra parte dell’oceano.

L’America era stata la terra promessa e americano quindi doveva essere il nuovo eroe, come del resto è splendidamente raccontato nel libro, premio Pulitzer 2001, “Le fantastiche avventure di Kavalier & Clay” di Michael Chabo.
Ma, come sempre accade per i miti ed il “mito americano”, anche questo super-eroe è uno strano miscuglio di imperialismo e pulsioni anarchiche, scenari naturali e giungle urbane, Coca Cola e romanticismo noir, vecchie leggende e iperboli tecnologiche.
Un mito che si è modificato col tempo, mantenendo però un’inalterata presa su gruppi di persone distanti sia geograficamente che epocalmente, provenienti da culture diverse e portatrici di ideologie spesso contrapposte. Basti pensare al controverso amore per l’America che ha permeato gran parte della Sinistra europea. Come spiegava il regista Jean Luc Godard, odiamo John Wayne perché in lui vediamo gli odiati reazionari americani, ma lo amiamo perdutamente quando indossa i panni del cowboy dei film di John Ford. Oppure, in campo musicale, detestiamo la “commercializzazione” imposta dalle grande multinazionali del disco, solo per essere i primi ad acquistare i prodotti confezionati dalle stesse major.
Leggere notizie come quelle riportate sopra o l’articolo di Guido Chiesa su “Rumore” del lontano 1993 (intitolato proprio “il Mito americano”), molto più che leggere Pavese o Fernanda Pivano o Oriana Fallaci, potrebbe portarci ad una evoluzione: capire che, forse, in Madonna o nei film con Schwarzenegger vi è molto più da imparare sull’America che in Bruce Springsteen, Robert Altman o nei politicamente corretti Rage Against The Machine. E capire, infine che la valanga di prodotti ideologicamente contradditori che ci giunge quotidianamente da quel paese, non sono sempre e comunque modelli da seguire in quando causa e motore dei mutamenti, non sempre positivi, in corso nelle nostre società, sempre più strane, contraddittorie e, appunto, americanizzate.

Carlo Di Stanislao

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