Quali riforme e quale democrazia?

L’incontro finale fra tutte le parti sulla riforma del lavoro slitta a domani, con Mario Monti che afferma che “per il governo la questione e chiusa” e con la sola Cgil che conferma il suo dissenso dalla soluzione trovata per la riforma dell’articolo 18. Il primo ministro dice che né oggi né domani “ci sarà […]

L’incontro finale fra tutte le parti sulla riforma del lavoro slitta a domani, con Mario Monti che afferma che “per il governo la questione e chiusa” e con la sola Cgil che conferma il suo dissenso dalla soluzione trovata per la riforma dell’articolo 18.
Il primo ministro dice che né oggi né domani “ci sarà un accordo firmato dal Governo con le parti sociali”, perché dopo una consultazione che ha dato contributi “nel merito”, ora l’interlocutore diventa il Parlamento.
Ed aggiunge, se vi fosse necessità di maggiore chiarezza, che “il dialogo è importantissimo ma non riflettiamo una cultura consociativa di un passato lontano”.
Le nuove regole sui licenziamenti individuali sono state illustrate nel dettaglio dal ministro Elsa Fornero e confermano le anticipazioni degli ultimi giorni.
Restano nulli i licenziamenti discriminatori per tutti i lavoratori, viene previsto solo l’indennizzo (da 15 a 27 mensilità) per i licenziamenti per motivi economici (o ragioni oggettive), mentre per i licenziamenti disciplinari (o ragioni soggettive) la scelta tra l’indennizzo o il reintegro spetterà al giudice.
Come ha già detto ieri il ministro del welfare, ciò che si vuole è “che diventi dominante, cioè migliore rispetto ad altri, il contratto subordinato a tempo indeterminato” e, ancora “tenere la flessibilità buona e cercare di contrastare, anche duramente, ciò che porta al precariato e che noi chiamiamo flessibilità cattiva”.
Insomma la sintesi della riforma che il governo si appresta a presentare al Parlamento, come sintetizzano Stampa e Sole 24 Ore, è riassumibili nei concetti di una forte stretta sulla flessibilità in entrata, con maggiore flessibilità in uscita e protezione “universale” per i lavoratori che perdono il lavoro su modello europeo.
Saranno penalizzati i contratti a termine (ad esclusione di quelli stagionali o sostitutivi) con un contributo aggiuntivo dell’1,4% da versare per il finanziamento del nuovo sussidio di disoccupazione (oltre all’1,3% attuale) e non saranno possibili proroghe oltre i 36 mesi.
Il nuovo sistema andrà a regime nel 2017, ma se il nuovo sussidio di disoccupazione (l’Aspi) entrerà in vigore da subito, l’indennità di mobilità (che vale oggi per i licenziamenti collettivi e può durare fino a 48 mesi per gli over 50 del Sud) sarà eliminata definitivamente solo nel 2017. Per il nuovo sistema sono previste risorse aggiuntive per 1,7-1,8 miliardi.
Niente più stage gratuiti e, insieme alla stretta sulle partite Iva e sui co.co.pro, si punta a limitare il fenomeno del lavoro sostanzialmente subordinato mascherato da lavoro autonomo.
Come nota Giorgio Dell’Atri, sempre attento a sfumature e significativi particolari, l’altra sera in tv da Fazio la Fornero ha detto: “Il fatto che siano tutti scontenti è la prova che stiamo lavorando per l’interesse generale e non per far contenta questa o quella parte”. Ieri, nel cuore della notte, i sindacati hanno lavorato con il ministro al ministero del Lavoro, in via Flavia, per trovare, assieme, una via condivisa. Ma quelli che devono cedere, a quanto pare, sono proprio i sindacati, sia dei lavoratori che dei padroni.
Ieri lo ha detto anche Napolitano: “Penso che sarebbe grave la mancanza di un accordo cui le parti sociali diano solidalmente il loro contributo. Io mi aspetto che anche le parti sociali dimostrino che è il momento di far prevalere l’interesse generale su qualunque calcolo particolare. Lo richiedono le difficoltà del Paese e dei giovani”.
E mentre la stampa di sinistra (in testa l’Unità), protesta per una proposta con equilibrata e tutta a svantaggio dei lavoratori, è sulla flessibilità in entrata che si concentrano le critiche della presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, che parla a nome anche delle altre organizzazioni imprenditoriali ed afferma che costi e burocrazia eccessiva, specie sui contratti a termine, inficiano gli scopi della riforma e che bisognerà lavorarci, da ora a domani, quando ci sarà l’ultimo incontro con il governo.
Susanna Camusso, segretario Cgil, continua a considerare la riforma proposta riforma un passo indietro, con il limite gravissimo della sostituzione dell’indennità di mobilità con un sussidio generale di disoccupazione.
E vi sono poi coloro i quali ancora non comprendono in che modo donne e giovani saranno davvero aiutati dalla riforma.
Ciò che io credo è che l’urgenza di una riforma sul lavoro non deve in nessun modo diventare l’alibi per portare a casa una misura incompleta e iniqua.
La domanda da porsi è: quali saranno gli effetti della riforma del governo Monti in questo periodo di crisi economica, mentre si contano centinaia di migliaia di posti di lavoro bruciati e altrettanti cassintegrati a zero ore senza prospettive occupazionali?
Nel mercato del lavoro italiano ci sono elementi di criticità e di ingessamento che sicuramente vanno modificati e superati. Il punto quindi è, in quale direzione?
Si potrà percorre la via della liberalizzazione selvaggia alla americana, con i lavoratori, vecchi i giovani e di ambo i sessi, che diventano merce poco garantita, o quella scandinava a cui nessuno oggi sembra guardare, ma che ha portato benessere e prosperità in quei paesi.
L’esecutivo ha scelto una formula inconsueta per dar via alla discussione in Parlamento, prendendo atto che una firma congiunta di Confindustria e sindacati è praticamente impossibile.
Ma non è questo che preoccupa ma la china molto “di sregolata” di alcune norme che si leggano nella bozza.
E se avesse ragione Antonio Padellaro che dalle pagine de Il Fatto Quotidiano, si dice molto pessimista ed afferma che il governo Monti-Fornero-Passera potrà dedicarsi senza ulteriori disturbi alla attuazione della decisa potatura di Welfare e diritti dei lavoratori, grazie al mandato che viene dall’Europa, in una Nazione dove, di fatto, la democrazia “sospesa” potrebbe sostituirsi la democrazia “scippata”.
Una prova ne è non solo la procedura senza vero accordo sul lavoro, ma anche la questione della fiducia a Montecitorio sul decreto legge liberalizzazioni, che è in seconda lettura alla Camera e deve essere convertito in legge entro il 24 marzo, pena la sua decadenza e che ha fatto levare le proteste del presidente Fini, che ha espresso “rammarico” per “l’insensibilità del Governo” di fronte alle istanze provenienti dal Parlamento.
“Prendo atto delle parole che lei ha voluto pronunciare sulla questione dell’esame da parte dell’Aula della Camera del dl liberalizzazioni nonostante i rilievi della Ragioneria generale dello Stato” ha risposto Piero Giarda. Poi le cose sono andate avanti con solo Giampolo Dozzo, capogruppo de La Lega, che ha il modo con cui il governo si rapporta con le Camere, spazzata via dal suo ruolo a forza di ripetute fiducie.
Ma il fatto è che la politica non è stata commissariata, lo ha fatto da sola e, duole dirlo, soprattutto a sinistra.
Per citare un premio Nobel che è sempre stato di sinistra, José Saramago, ricordiamo che: “la Sinistra non ha la benché minima idea di come cambiare il mondo” e quando va al governo “prepara la sua sconfitta, perché insegue politiche di destra“.
In effetti quale sarebbe l’alternativa elaborata dalla Sinistra, che negli ultimi tre anni ha discusso del nulla, cercando di recuperare Keynes, ben sapendo che per 30 anni anche la Sinistra ha contribuito ad affossarlo sposando le ricette dei Chicago Boys.
E che nelle condizioni date, le sue ricette non funzionavano più, perché oramai gli Stati sono sotto ricatto della Finanza mondiale.
In questo senso, sì, la democrazia è sospesa e, alla fine, per salvarci la faccia (ed il resto) dobbiamo affidarci a tecnici, che, naturalmente, tirano dritto e certamente non concertano.

Carlo Di Stanislao

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