Riforma del lavoro: Fondo di solidarieta’ per i non coperti dalla cigs

La riforma del lavoro approvata dal Cdm introduce un “Fondo di solidarieta’ per la tutela dei lavoratori nei settori non coperti da Cassa integrazione straordinaria”. Lo riferisce la nota di Palazzo Chigi. La riforma prevede “la salvaguardia e l’estensione della Cassa integrazione guadagni: un importante istituto assicurativo che ha permesso alle imprese italiane di affrontare […]

La riforma del lavoro approvata dal Cdm introduce un “Fondo di solidarieta’ per la tutela dei lavoratori nei settori non coperti da Cassa integrazione straordinaria”. Lo riferisce la nota di Palazzo Chigi.
La riforma prevede “la salvaguardia e l’estensione della Cassa integrazione guadagni: un importante istituto assicurativo che ha permesso alle imprese italiane di affrontare la crisi meglio che in altri Paesi. L’istituto, infatti, offre un’integrazione salariale in caso di riduzione dell’orario di lavoro durante una congiuntura sfavorevole, consentendo di adeguare rapidamente l’orario di lavoro al calo di domanda, preservando pero’ i singoli rapporti di lavoro e il loro contenuto di professionalita’ e di investimento”.
Apprendistato. La “prima area” in cui interviene la riforma del lavoro riguarda gli istituti contrattuali esistenti. “Con la riforma se ne preservano gli usi virtuosi, limitano quelli impropri. Il nuovo impianto del mercato delle professioni- si legge nella nota di palazzo Chigi- attribuisce massimo valore all’apprendistato che diviene il ‘trampolino di lancio’ verso la maturazione professionale dei lavoratori. È un punto sul quale tutte le parti coinvolte nella concertazione si sono trovate d’accordo. È per questo motivo che la riforma insiste fortemente sul valore formativo dell’apprendistato”. La riforma Fornero introduce “a tal fine un meccanismo che collega l’assunzione di nuovi apprendisti al fatto di averne stabilizzati una certa percentuale nell’ultimo triennio (50%), si prevede la durata minima di sei mesi del periodo di apprendistato (ferma restando la possibilita’ di durate inferiori per attivita’ stagionali). Infine, si innalza il rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati dall’attuale 1/1 a 3/2”.
Equità di genere. La quinta area in cui interviene la riforma del lavoro “e’ quella dell’equita’ di genere. Oggi, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro- si legge nella nota di palazzo Chigi- risulta ancora limitata rispetto a quella degli uomini. Il divario risulta particolarmente ampio nel Mezzogiorno e tra le fasce meno qualificate e’ presente anche tra le fasce qualificate e di vertice (ad oggi, infatti, anche le giovani laureate trovano lavoro meno frequentemente dei colleghi maschi)”.
Per diminuire questo divario la riforma interviene su diversi ambiti. Il primo e’ “l’introduzione (a favore di tutti i lavoratori, per quanto il fenomeno riguardi prevalentemente le lavoratrici) di norme di contrasto alla pratica delle cosiddette ‘dimissioni in bianco’, con modalita’ semplificate e senza oneri per il datore di lavoro e il lavoratore e il rafforzamento (con l’estensione sino a tre anni di eta’ del bambino) del regime della convalida delle dimissioni rese dalle lavoratrici madri”.
Il secondo ambito mira a “favorire una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli. Viene quindi introdotto il congedo di paternita’ obbligatorio”. Infine si prevede “il potenziamento dell’accesso delle donne alle posizioni di vertice” tramite le quote rosa nelle societa’ controllate da pubbliche amministrazioni.
Politiche del lavoro. Sulle politiche attive e i servizi per l’impiego la riforma del lavoro “prevede un forte concerto tra Stato e Regioni” e si propone di “rinnovare le politiche attive, adattandole alle mutate condizioni del contesto economico e assegnando loro il ruolo effettivo di accrescimento dell’occupabilita’ dei soggetti”. Il che avverra’, si legge nella nota del governo, mediante l’attivazione del soggetto che cerca lavoro al fine di incentivarne la ricerca attiva di una nuova occupazione, la qualificazione professionale dei giovani che entrano nel mercato del lavoro, la formazione nel continuo dei lavoratori, la riqualificazione di coloro che sono espulsi, per un loro efficace e tempestivo ricollocamento, il collocamento di soggetti in difficile condizione rispetto alla loro occupabilita’”. L’esecutivo intende poi creare “canali di convergenza tra l’offerta di lavoro (nuova o connessa a perdita del posto di lavoro) e la domanda (valutazione dei fabbisogni delle imprese e coerenza dei percorsi formativi dei lavoratori e delle professionalita’ disponibili), in un’ottica di facilitazione del punto di incontro tra chi offre lavoro e chi lo domanda. La presenza nel mercato del lavoro di intermediari privati professionali- si legge nel documento varato oggi dal Consiglio dei ministri- modifica la ragion d’essere dell’intervento pubblico nei processi di intermediazione, la cui finalita’ non puo’ che diventare quella di intervenire prioritariamente nei confronti di soggetti deboli e a rischio di emarginazione non solo mediante un intervento diretto, ma anche tramite l’acquisizione di servizi da providers privati”.

Niente abusi per i sussidi. “La presenza d’un regime di sussidi di disoccupazione rafforza la necessita’ di tener conto d’una finalita’ particolare dell’intervento pubblico: al generico ‘aiuto’ ai soggetti deboli e a rischio di emarginazione si aggiunge infatti l’esigenza di contrastare abusi e disincentivi connessi con l’operare dei sussidi. Questa esigenza implica che in molti casi non ci si limitera’ a ‘mettere a disposizione’ servizi ma si arrivera’ a voler ‘imporre’ determinati interventi concreti rispetto a possibili abusi e derive di emarginazione”.
I “target” su cui impostare le azioni sono “i giovani al primo ingresso, lavoratori gia’ inseriti o sospesi in via temporanea (occorre valutare ruolo e attivita’ dei Fondi Interprofessionali per allargare la loro capacita’ di intervento e per rafforzare il loro ruolo nella sinergia tra politiche attive e politiche passive nonche’ sulla qualita’ della loro offerta formativa permanente), i lavoratori espulsi o da ricollocare” per i quali “e’ necessario evitare che i lavoratori sospesi per lungo tempo od espulsi siano progressivamente disconnessi dal mercato del lavoro e accrescano bacini di disoccupazione di lunga durata. Si devono porre specifici impegni- si legge ancora- da inserire eventualmente all’interno di accordi di accesso a politiche passive a carico delle Parti Sociali per il reimpiego di questi lavoratori, attraverso azioni di riqualificazione e di accesso a nuove opportunita’ di occupazione”. Infine i “soggetti con caratteristiche di difficile occupabilita’ e inattivi”.

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