Ricordando un’icona dell’emancipazione femmile: Fakhra Younas

Siamo perfettamente consapevoli che la prevaricazione e la violenza dell’uomo sulla donna, sono radici socio culturali che affondano le loro origini, nella notte dei tempi. Sebbene si siano fatti notevoli passi avanti, il percorso verso una propria indipendenza e autonomia è sempre difficile, complicato e, spesso, lungo. Riguardo l’emancipazione, nell’ambito delle diverse civiltà del mondo […]

Siamo perfettamente consapevoli che la prevaricazione e la violenza dell’uomo sulla donna, sono radici socio culturali che affondano le loro origini, nella notte dei tempi. Sebbene si siano fatti notevoli passi avanti, il percorso verso una propria indipendenza e autonomia è sempre difficile, complicato e, spesso, lungo. Riguardo l’emancipazione, nell’ambito delle diverse civiltà del mondo arabo mussulmano, molte donne si sono mobilitate con associazioni, manifestazioni, azioni e rivendicazioni, per il diritto all’istruzione, alla laicizzazione delle Istituzioni statali e ad un modo diverso di concepire la maternità. Ciò le ha portate a considerare in modo diverso il proprio corpo, la qualità della loro vita e dei propri figli grandi successi si sono ottenuti in Turchia con l’età matrimoniale, con il consenso della donna al matrimonio e con la libera scelta della persona da sposare. Anche la Tunisia, è il paese di cultura islamica con una legislazione molto avanzata; infatti le leggi tunisine prevedono: la parità tra uomo e donna nel matrimonio, l’uomo in caso di divorzio, deve provvedere al sostentamento della moglie, la madre infine deve dare il suo consenso, per il matrimonio di una figlia minorenne. Tuttavia molte donne svolgono lavori eseguiti tradizionalmente da uomini ed altre che rivestono un ruolo importante, anche in politica. Questa trasformazione non si è verificata né in Algeria, dove esse vengono violentate ed uccise dai fondamentalisti islamici, né in Iran, in Afganistan ed in Pakistan dove versano ancora in gravi condizioni di strumentalizzazione e sottomissione. A monito delle atrocità, che si consumano nel mondo femminile islamico, tutti siamo fortemente sconcertati e sgomenti dalla tragica fine della ballerina pakistana, Fakhra Younas. Il suo volto sfigurato dall’acido, versatole addosso dal marito durante il sonno, in seguito ad una sua richiesta di divorzio, per rabbia o gelosia, è diventato e resterà un simbolo di speranza, di un’emancipazione femminile raggiungibile, grazie al coraggio di donne come lei. Ma almeno in parte quella speranza si è affievolita, schiacciata dalla disperazione di un gesto estremo, che ha messo fine ai suoi giorni, lanciandosi dal sesto piano di una palazzina di Roma dove si era trasferita, con il figlio 17enne, in cerca di serenità. La giornalista coautrice del suo libro:” Il volto cancellato”, la ricorda come una donna intelligente, con un senso dell’umorismo tutto suo, molto volitiva, poco accomodante, tragicamente sfortunata. Dal momento dell’incidente, aveva la testa attaccata allo sterno e non poteva nemmeno guardare suo figlio negli occhi. Numerosi interventi, addirittura 39, le avevano ridato questa gioia,ma tutto ciò non le è bastato. Il libro di Fakhra, è la storia della sua vita,del dramma e della rinascita di una donna; pagine che rappresentano un’infanzia difficile di bambina,privata della sua spensieratezza, di un lavoro ammirato e biasimato di ballerina che le permetteva, come tante altre sue coetanee, di provvedere al sostentamento della famiglia, costrette a vendere il loro corpo, a persone influenti e benestanti. Innamoramenti, il matrimonio con il figlio di un importante uomo politico e la violenza dell’acido,le lunghe degenze, la sua lenta ricostruzione esteriore ed interiore per un suo graduale ritorno ad una vita normale. Il libro è un documento di denuncia, una vicenda simbolo di un viaggio nei costumi e nelle tradizioni di un paese lontano, dove le donne vengono umiliate, offese, sopraffatte dalla prepotenza e dall’ignoranza degli uomini ma nonostante tutto tenaci e capaci di trovare la forza per risorgere e camminare a testa alta. La triste vicenda, ci porta a domandarci come mai, ancora oggi, all’inizio del terzo millennio, ci si ritrova a parlare di violenza, consumata tra le mura domestiche, in un paese come l’Italia che si autodefinisce civile. Ancora donne umiliate dall’aggressività e dall’ottusità maschile; l’interrogativo è sempre lo stesso : “ Perché”? Com’è possibile? Dove sono finite le conquiste faticosamente ottenute se, a tutt’oggi, accettano passivamente abusi e soprusi? Forse per riserbo, per vergogna, per paura o paradossalmente per amore, di chi ne è vittima o per cosa? Qualsiasi tentativo di spiegazione rimane insoluto, l’unica via percorribile è quella di spezzare con coraggio, la catena delle violenze denunciando pubblicamente gli abusi, per riscattarsi realmente, da questo stato di schiavitù latente che, a quanto pare, stenta a morire. Per comprendere meglio il dolore di Fakhra, riportiamo un breve passo del suo libro:
“ Faceva un caldo terribile quella mattina di maggio di Karachi. Improvvisamente sentii un caldo come non avevo mai provato. E non vedevo più, non riuscivo ad aprire gli occhi che mi si erano tremendamente gonfiati. Mi rendevo conto che era successo qualcosa di terribile, ma non sapevo che quello che aveva sciolto i miei vestiti e che ora mi stava mangiando il viso, il petto, le braccia era l’acido”.

Maria Elena Marinucci

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