Molti miliardi di super Terre nella zona abitabile delle stelle nane rosse

James Cameron è il primo uomo sulla Terra ad aver raggiunto da solo il fondale della Fossa delle Marianne nell’Oceano Pacifico a 10.898 metri di profondità grazie alla speciale capsula Deep Challenger. L’evento immortalato su Internet dai media di tutto il mondo lunedì 26 marzo 2012 celebra la storia dell’esplorazione umana che la scienza e […]

James Cameron è il primo uomo sulla Terra ad aver raggiunto da solo il fondale della Fossa delle Marianne nell’Oceano Pacifico a 10.898 metri di profondità grazie alla speciale capsula Deep Challenger. L’evento immortalato su Internet dai media di tutto il mondo lunedì 26 marzo 2012 celebra la storia dell’esplorazione umana che la scienza e la tecnologia rendono possibile quando la volontà si sposa con la capacità. L’epica impresa della conquista in solitaria delle sette miglia (quasi 11.000 metri) di profondità ( davvero tante, ben al di sopra di più di un miglio sulla quota del monte Everest) rappresenta un solido trampolino di lancio verso più ardite conquiste. Nella sua discesa verso la Fossa delle Marianne, James Cameron ha superato record su record che segnano altrettante importanti pietre miliari nella storia dell’esplorazione. I traguardi raggiunti da Cameron, il regista di Avatar, Titanic e The Abyss, sono molteplici. Sono passati più di 50 anni dall’ultima celebre impresa del batiscafo Trieste nel tentativo di raggiungere il punto più profondo del pianeta Terra. James Cameron ha impiegato 90 minuti per atterrare sul fondale delle Marianne. I punti salienti della sua immersione sono stati immortalati dalle cineprese 3D e non vediamo l’ora di poter contemplare quelle immagini. Da 0 a 660 piedi (0-200 metri) troviamo l’habitat del 90 per cento delle forme di vita marina note. Gli 800 piedi (244 metri) sono la canonica profondità per la navigazione di un sottomarino nucleare. I 1.044 piedi (318,25 metri) rappresentano il record mondiale di immersione con le bombole. I 3.300 piedi (circa 1.000 metri) salutano gli ultimi bagliori della luce solare. I 8.200 piedi (circa 2.500 metri) sono il record di profondità raggiunto da una balena. I 12.467 piedi (circa 3.800 metri) segnano la profondità del relitto del Titanic affondato il 15 aprile 1912. I 25.000 piedi (7.620 metri) sono la massima profondità a cui è stato filmato un pesce (liparide). I 29.000 piedi (8.848 metri) sono la quota del monte Everest. Ed ora ci sono i 36.000 piedi (10.898 metri) di James Cameron che ha toccato il fondo a bordo del Deep Challenger. Tutti auspicano un’impresa umana altrettanto straordinaria nello spazio esterno, verso i più vicini sistemi solari alieni appena scoperti (www.planetquest.jpl.nasa.gov/; exoplanet.eu) a bordo di avveniristiche navi interstellari per la salvezza del pianeta Terra ammalato di Global Warming (gli scienziati prevedono dal 2050 un aumento medio della temperatura tra 1,4 e 3 gradi Celsius), per la liberalizzazione dell’impresa spaziale e dei commerci con altre civiltà. Fantascienza? Eppure il nuovo risultato di HARPS, il cacciatore di pianeti dellESO, dimostra che i pianeti rocciosi, non molto più grandi della Terra, sono comuni nelle zone abitabili intorno a deboli stelle rosse. Lequipe internazionale dell’ESO stima che ci siano decine di miliardi di pianeti come questi nella sola Via Lattea e probabilmente un centinaio nelle immediate vicinanze del Sole. Questa è la prima misura diretta dell’abbondanza di super-Terre intorno alle nane rosse, che rappresentano circa l80% delle stelle della Via Lattea. Gli scienziati dell’ESO nell’annunciare la prima stima diretta del numero dei pianeti “leggeri” in orbita attorno alle nane rosse, grazie alle osservazioni dello spettrografo HARPS montato sul telescopio di 3,6 metri di diametro del telescopio ESO di La Silla in Cile, sono ben consapevoli della portata storica delle loro ricerche. HARPS misura la velocità radiale delle stelle con estrema precisione. Un pianeta in orbita intorno a una stella, la fa muovere con regolarità avanti e indietro, rispetto ad un osservatore distante, sulla Terra.  A causa dell’effetto Doppler, questo cambiamento della velocità radiale induce uno spostamento dello spettro della stella verso lunghezze d’onda maggiori quando si allontana (si parla di red-shift, o spostamento verso il rosso) e verso lunghezze d’onda più corte (blue-shift o spostamento verso il blu) quando si avvicina. Questi piccolissimi spostamenti dello spettro della stella possono essere misurati con uno spettrografo ad alta precisione come HARPS e usati per dedurre la presenza di un pianeta. L’annuncio recente sul fatto che i pianeti siano molto più diffusi nella nostra Galassia di quanto si creda, utilizza un metodo diverso, non sensibile a questa classe di esopianeti così importante. L’equipe di HARPS cerca esopianeti in orbita intorno alle stelle più comuni della Via Lattea: le nane rosse, note anche come “stelle nane” di classe M. Queste stelle sono deboli e fredde rispetto al Sole, ma sono molto comuni e vivono a lungo e perciò rappresentano circa l’80% di tutte le stelle della Via Lattea. Sono chiamate dagli astronomi “stelle nane M” poiché sono di classe spettrale M, le più fredde tra le sette classi nello schema di classificazione più semplice secondo la temperatura decrescente e la forma dello spettro di emissione. “Le nostre nuove osservazioni con HARPS – afferma Xavier Bonfils dell’IPAG, Observatoire des Sciences de l’Univers de Grenoble ( Francia), a capo dell’equipe – indicano che circa il 40% di tutte le nane rosse ha una super-Terra in orbita nella zona abitabile, dove l’acqua può esistere allo stato liquido sulla superficie del pianeta. Poiché le nane rosse sono così comuni, ce ne sono circa 160 miliardi solo nella Via Lattea, questo ci porta al sorprendente risultato che ci sono decine di miliardi di questi pianeti solo nella Via Lattea”. L’equipe di HARPS ha analizzato un campione ben selezionato di 102 nane rosse nei cieli australi, osservate per un periodo di sei anni. Sono state identificate in totale nove super-Terre (pianeti con massa tra una e dieci volte quella della Terra) tra cui due nella zona abitabile, una sulla stella Gliese 581 e una sull’astro Gliese 667 C. Gli astronomi hanno potuto stimare la massa del pianeta e la dimensione dell’orbita, cioè quanto il pianeta sia lontano dalla stella: combinando tutti i dati a disposizione, comprese le osservazioni di stelle senza pianeti, e stimando la frazione di pianeti che potrebbero ancora essere scoperti, l’equipe è riuscita a valutare quanto diversi tipi di pianeti siano comuni intorno alle nane rosse. Pianeti alieni (esopianeti) di massa compresa tra una e dieci volte quella della Terra sono detti super-Terre. Non ci sono questi pianeti nel nostro Sistema Solare, ma sembrano molto comuni intorno ad altre stelle. La scoperta di questi pianeti nelle zone abitabili delle loro stelle madri è emozionante perché, se i pianeti sono rocciosi e hanno acqua come la Terra, sarebbero potenzialmente in grado di ospitare la vita. Quindi, altre civiltà come la nostra o più evolute. La stima della frequenza di super-Terre nella zona abitabile è del 41%, con un intervallo d’errore tra il 28% e il 95%. È ormai certo che i pianeti più massicci, simili a Giove e Saturno nel nostro Sistema Solare, siano più rari intorno alle nane rosse: meno del 12% di queste piccole stelle avrebbero pianeti giganti con massa compresa tra 100 e 1000 volte quella della Terra. Poichè ci sono molte nane rosse vicine al Sole, la nuova stima implica che probabilmente nei nostri paraggi vi siano un centinaio di super-Terre, che orbitano nelle zone abitabili di stelle a distanza inferiore a circa 30 anni luce dal Sole. Gli astronomi usano Dieci Parsec come definizione di “vicino”, ma questo corrisponde a circa 32,6 anni luce, una distanza oggi immensa per l’umanità! “La zona abitabile, cioè la regione in cui la temperatura permette all’acqua di essere liquida sulla superficie del pianeta – spiega Stéphane Udry del Geneva Observatory e membro dell’equipe scientifica – è molto più vicina alla stella per una nana rossa che per il Sole. Ma le nane rosse sono soggette a eruzioni stellari e brillamenti che potrebbero inondare il pianeta di raggi X o ultravioletti, rendendo la presenza di vita molto meno probabile”. Almeno per come la intendiamo noi oggi sulla Terra, su base carbonio. Uno dei pianeti scoperti dalla scansione di HARPS tra le nane rosse, è Gliese 667 Cc. L’esopianeta è il secondo scoperto (c) in orbita intorno alla terza componente (C) del sistema stellare triplo noto come Gliese 667. Gli astri compagni Gliese 667 A e B risulterebbero molto brillanti nel cielo di Gliese 667 Cc. La scoperta di Gliese 667 Cc è stata annunciata indipendentemente da Guillem Anglada-Escude e colleghi nel febbraio 2012, circa due mesi dopo la pubblicazione elettronica in pre-print dell’articolo di Bonfils et al. Questa conferma dei pianeti Gliese 667 Cb e Cc, da parte di Anglada-Escude e collaboratori, era basata in gran parte su osservazioni con HARPS e sui dati ridotti da parte dell’equipe europea, messi pubblicamente a disposizione attraverso l’archivio dati dell’ESO. Gliese 667 Cc è il secondo pianeta trovato in questo sistema stellare triplo e sembra trovarsi vicino al centro della zona abitabile. Anche se questo è un mondo alieno pesante quattro volte la Terra, è il nostro parente più prossimo finora scoperto e quasi certamente ha le condizioni adatte per l’esistenza di acqua allo stato liquido sulla superficie. Questa è la seconda super-Terra all’interno della zona abitabile di una nana rossa scoperta nella survey HARPS, dopo Gliese 581d, annunciato nel 2007 e confermato nel 2009. “Ora che sappiamo che ci sono molte super-Terre attorno a nane rosse vicine – fa notare Xavier Delfosse, un altro membro dell’equipe – dobbiamo identificarne sempre di più usando sia HARPS sia futuri strumenti. Alcuni di questi pianeti dovrebbero passare di fronte alla loro stella madre durante l’orbita: questo apre l’entusiasmante possibilità di studiare l’atmosfera del pianeta alieno e cercarvi segni di vita”. La ricerca è stata presentata nell’articolo “The HARPS search for southern extra-solar planets XXXI. The M-dwarf sample”, di Bonfils et al., che verrà pubblicato dalla rivista Astronomy & Astrophysics. Non solo. Altri astronomi osservando la Luna con il Very Large Telescope dell’ESO, hanno trovato prove della presenza della vita nell’Universo, in particolare sulla Terra. Un’operazione forse già eseguita tanto tempo fa da altre civiltà. Trovare vita sul nostro stesso pianeta sembra un’osservazione scontata, ma l’approccio innovativo dell’equipe internazionale potrebbe condurre in futuro a svelare la vita anche altrove nello spazio profondo. Il lavoro è stato pubblicato nel numero del 1° marzo 2012 della rivista Nature. “Abbiamo usato un piccolo trucco, cioè le osservazioni della luce cinerea (“earthshine”, in inglese) per osservare la Terra come se fosse un esopianeta – afferma Michael Sterzik dell’ESO, primo autore dell’articolo – infatti il Sole illumina la Terra e questa luce viene di conseguenza riflessa verso la superficie della Luna che a sua volta funge da gigantesco specchio e rimanda la luce riflessa dalla Terra verso di noi: questo è quello che abbiamo osservato con il VLT”. La luce cinerea, a volte chiamata la Luna vecchia tra le braccia della Luna nuova, si vede facilmente a occhio nudo ed è spettacolare con un semplice binocolo. Si osserva meglio quando la Luna è un falce sottile, circa tre giorni prima o dopo la Luna nuova. Insieme alla falce brillante è visibile il resto della superficie della Luna debolmente illuminata dalla Terra luminosa nel cielo lunare. Fenomeno in questi giorni altrettanto spettacolare grazie alla triplice congiunzione celeste e primaverile della Luna con i pianeti Venere e Giove. Gli astronomi analizzano la debole luce cinerea per cercare alcuni indicatori, per esempio certe combinazioni di gas nell’atmosfera terrestre, che rivelano con certezza la presenza di vita organica. Questo metodo sfrutta la Terra come punto di riferimento per la futura ricerca della vita sugli esomondi alieni. Nell’atmosfera terrestre, i gas principali prodotti biologicamente sono l’ossigeno, l’ozono, il metano e il biossido di carbonio. Ma questi gas sono comunque presenti naturalmente nell’atmosfera di un pianeta alieno anche senza la presenza della vita. Ciò che costituisce un biomarcatore, è la presenza simultanea di questi gas in quantità che sono compatibili solamente con la presenza di vita. Se la vita dovesse scomparire improvvisamente e smettere di produrre questi gas, essi reagirebbero e si ricombinerebbero. Per cui anche la nostra improvvisa estinzione, in caso di futuro conflitto mondiale termonucleare, verrebbe segnalata! Alcuni potrebbero scomparire velocemente e i biomarcatori caratteristici di conseguenza verrebbero meno. Anche se le impronte della vita sono difficili da trovare con metodi convenzionali, l’equipe ha sviluppato una tecnica pioneristica molto più sensibile. Invece che limitarsi a guardare la luminosità della luce riflessa nei vari colori, gli astrofisici osservano anche la polarizzazione della luce, una tecnica chiamata spettro-polarimetria. Applicando questo metodo alla luce cinerea osservata con il VLT, i biomarcatori appaiono evidenti nella luce riflessa dalla Terra. Quando la luce è polarizzata, i campi elettrici e magnetici che la compongono hanno un orientamento specifico. In luce non polarizzata l’orientamento dei campi è casuale e non ha una direzione preferenziale. Il trucco utilizzato in alcuni cinema 3D (il nuovo kolossal “Titanic 3D” di James Cameron è in uscita) sfrutta la luce polarizzata: immagini separate fatte con luce polarizzata in modo diverso vengono inviate all’occhio sinistro e a quello destro dai filtri polarizzati posti sugli occhiali. L’equipe ha misurato la polarizzazione utilizzando una speciale modalità dello strumento FORS2 sul VLT. “La luce di un esopianeta distante è soffocata dal bagliore della stella madre e perciò è difficilissima da analizzare – spiega Stefano Bagnulo dell’Armagh Observatory (Irlanda del Nord, Regno Unito), co-autore dello studio – è un po’ come cercare di studiare un granello di polvere vicino ad una lampadina potente. Ma la luce riflessa da un pianeta è polarizzata, mentre la luce della stella madre non lo è. Perciò le tecniche polarimetriche ci aiutano a separare la debole luce riflessa di un esopianeta dalla luce abbagliante della stella”. L’equipe ha studiato sia il colore sia il grado di polarizzazione della luce riflessa dalla Terra dopo la successiva riflessione sulla Luna, come se la luce provenisse da un esopianeta alieno. Gli scienziati sono riusciti a dedurre dalle osservazioni che l’atmosfera della Terra è in parte nuvolosa, che una frazione della superficie è coperta da oceani e, soprattutto, che è presente della vegetazione. Hanno altresì visto cambiamenti nella copertura nuvolosa e nella quantità di vegetazione nel corso delle stagioni quando diverse parti della Terra riflettono la luce verso la Luna. “Trovare la vita al di fuori del Sistema Solare dipende da due fattori: innanzitutto se veramente c’è vita là fuori e poi se abbiamo le capacità tecniche di misurarla – rivela il co-autore Enric Palle dell’Instituto de Astrofisica de Canarias (Tenerife, Spagna) – e questo lavoro è un importante passo avanti verso la capacità di fare queste osservazioni”. La spettro-polarimetria potrebbe in definitiva dirci se piante semplici, basate su processi di fotosintesi, siano evolute in qualche altro luogo dell’Universo. Naturalmente gli astronomi dell’ESO non stanno cercando direttamente piccoli uomini verdi o evidenze di vita intelligente aliena. La prossima generazione di telescopi, come l’E-ELT (European Extremely Large Telescope), potrebbe veramente svelarci la notizia straordinaria che la Terra non è l’unico mondo abitato in questo spazio così vasto. Anche se sono in molti a dubitare, come il fisico Stephen Hawking, del fatto che la Terra sia abitata da forme di vita intelligenti tra le quali risulta oggi impossibile annoverare l’Uomo. Questo lavoro, descritto nell’articolo “Biosignatures as revealed by spectropolarimetry of Earthshine”, di M. Sterzik et al., che è stato pubblicato dalla rivista Nature il 1° marzo 2012, cade nel cinquantesimo anniversario della fondazione dell’European Southern Observatory, l’Osservatorio Australe Europeo.  L’ESO è la principale organizzazione intergovernativa di astronomia in Europa e l’Osservatorio più produttivo al mondo. È sostenuto da 15 paesi: Austria, Belgio, Brasile, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Svezia, e Svizzera. L’ESO svolge un ambizioso programma che si concentra sulla progettazione, costruzione e gestione di potenti strumenti astronomici da terra che consentano agli scienziati di realizzare importanti scoperte. L’ESO ha anche un ruolo di punta nel promuovere e organizzare la cooperazione nella ricerca astronomica. Gestisce tre siti osservativi unici al mondo in Cile: La Silla, Paranal e Chajnantor. Sul Paranal, l’ESO controlla il Very Large Telescope, osservatorio astronomico d’avanguardia nella banda visibile e due telescopi per scansioni celesti. VISTA, il più grande telescopio per survey al mondo, lavora nella banda infrarossa mentre il VLT Survey Telescope è il più grande telescopio progettato appositamente per produrre survey del cielo in luce visibile. L’ESO è il partner europeo di un telescopio astronomico di concetto rivoluzionario, ALMA, il più grande progetto astronomico esistente. Al momento sta progettando l’European Extremely Large Telescope, della classe dei 40 metri, che opererà nell’ottico e infrarosso vicino come “il più grande occhio del mondo rivolto al cielo”.

Nicola Facciolini

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