Lavoro incerto, precario o perduto. Intervista a Flammini di Federlazio

Il lavoro incerto, precario o perduto alimenta l’insicurezza economica e le paure di un Paese minacciato dalla disoccupazione. Chi cade, spesso non ce la fa a rialzarsi e, secondo uno studio realizzato dall’Istituto di ricerche economiche e sociali Eures – riferito al 2009 – in Italia una persona ogni giorno si toglie la vita per […]

Il lavoro incerto, precario o perduto alimenta l’insicurezza economica e le paure di un Paese minacciato dalla disoccupazione. Chi cade, spesso non ce la fa a rialzarsi e, secondo uno studio realizzato dall’Istituto di ricerche economiche e sociali Eures – riferito al 2009 – in Italia una persona ogni giorno si toglie la vita per problemi economici legati alla mancanza di lavoro. Un Paese sopraffatto dall’incertezza del futuro, dall’ansia da vita, un’ansia che logora i rapporti interpersonali, li condiziona e inasprisce nelle asimmetrie, mentre otto italiani su dieci vedono ormai la società spaccata in due, tra chi ha poco e chi ha molto. Sul dramma della mancanza di lavoro, che nel nostro Paese coinvolge quasi una famiglia su due, abbiamo chiesto il parere del Presidente di Federlazio, Associazione Piccole e Medie Imprese del Lazio, ing. Maurizio Flammini, che volentieri ha risposto alle nostre domande nell’intervista che segue.

Ing. Flammini, su questo delicato momento economico e sociale che vive l’Italia, specialmente riferito al tema del lavoro precario e del lavoro che non c’è, da un osservatorio attento e molto addentro al problema quale è il suo, può darci una sua valutazione?

“Questa è indubbiamente la crisi più dura che il nostro paese abbia attraversato dal dopoguerra ad oggi. Una crisi che, sebbene nata fuori dal nostro paese, ha fatto venire al pettine tutta una serie di nodi e di disfunzioni che la nostra economia ha accumulato negli ultimi 30 anni. Oggi noi ci troviamo a pagare il conto degli errori e delle leggerezze con le quali è stata governata la nostra economia. E questo conto oggi dobbiamo pagarlo noi, né possiamo pensare che qualcuno lo paghi per noi. E siccome il conto è salato, altrettanto salati sono gli effetti che ci troviamo a subire. Molte imprese hanno chiuso, altre sono fallite e di conseguenza molti lavoratori hanno perso il lavoro. Si tratta spesso di veri e propri drammi sociali che il Governo deve cercare di attutire con tutte le misure possibili. Ma tutti dobbiamo avere la consapevolezza che la medicina è amara, molto amara, proprio perché la malattia è grave”.

Dal suo punto di vista, quante sono le imprese laziali che sono state costrette a chiudere alla luce di queste difficoltà o che sono in grave crisi?

“Guardi, questo dato è in costante evoluzione e purtroppo andrebbe aggiornato quotidianamente. Le dico soltanto che dal 2008, anno d’inizio della crisi, al dicembre 2011, secondo i dati delle Camere di Commercio, nel Lazio hanno cessato l’attività quasi 5 mila imprese, delle quali poco meno di 2.000 nell’anno 2011”.

I giovani e la crisi. E la paura da futuro, ormai rassegnati all’incertezza, all’impossibilità di fare progetti di vita. Federlazio organizza corsi di formazione, stage e percorsi verso l’occupazione. Qual è l’anello di raccordo mancante che non consente più da qualche tempo quello che dovrebbe essere il passaggio naturale, ovvero l’inserimento – dopo gli studi e le qualificazioni – nel mondo del lavoro, così come succedeva ai loro genitori? E penso alle riflessioni del compianto Edmondo Berselli che nel saggio “L’economia giusta” (Einaudi, 2010) registrava l’interruzione del “ciclo galbraithiano”, ovvero, quel processo che permetteva a ogni generazione di migliorare la propria condizione rispetto a quella precedente.

“Veda, ci sono due elementi che definiscono quello che lei chiama l’anello mancante. Il primo e più importante è il mercato. Oggi le imprese si trovano di fronte ad un mercato e ad una domanda che ristagnano. Le imprese hanno visto calare i propri fatturati e la propria produzione, né si vede all’orizzonte un’inversione di tendenza significativa. In questa situazione è evidente che da parte di molte imprese ci sia una certa resistenza ad inserire nuovi lavoratori in azienda: per fare cosa, se i prodotti e i servizi non si vendono? Il secondo elemento è che spesso le imprese hanno bisogno di manodopera con una preparazione tecnica mentre il nostro sistema continua a sfornare laureati con competenze generiche, a volte approssimative e peraltro in corsi di studio a volte anche inflazionati. Questi sono i problemi. L’inserimento nel lavoro dopo il periodo di formazione non può essere un processso automatico e garantito per legge. Se il mercato tira e le imprese sono in fase di espansione, allora si possono aprire spazi per nuovi ingressi. In caso contrario, perché le imprese dovrebbero assumere? Oggi, grazie alla modernità di pensiero di persone quali Luigi Frati, Magnifico Rettore dell’Università La Sapienza che si adopera moltissimo per la qualificazione professionale dei propri studenti e con il quale Federlazio che io presiedo ha fatto un importante accordo per l’introduzione dei neolaureati ,si inizia a veder qualche buon risultato. Ma siamo ancora agli inizi di un lungo processo che comunque potrà dare i suoi risultati solamente post ripresa economica”.

Disoccupazione, lavoro intermittente, precariato. E’ il quadro che il nostro tempo propone alle giovani generazioni. Ma non si ha piena consapevolezza del dramma che vive chi il lavoro l’ha perduto – ed è difficile da ritrovare – avendo 50 anni e più, un’età in cui ci si sente irrimediabilmente bruciati, esclusi. Un senso di sconfitta che mina nell’individuo la fiducia in se stesso e nella società…

“Io personalmente comprendo benissimo questo dramma. Il lavoro è ciò che dà non solo il sostentamento economico e la possibilità materiale di realizzare la nostra vita, i nostri sogni e i nostri obiettivi, ma è anche ciò che dà identità e dignità all’individuo. Perdere improvvisamente il lavoro a 50 anni, quando si hanno carichi familiari e impegni che erano stati assunti quando le cose andavano bene, è un dramma che può veramente sconvolgere la vita e la mente delle persone. Io credo che l’esperienza di questi lavoratori sia un patrimonio che non può e non deve andare perduto. Ma torniamo al problema di cui parlavo un attimo fa. Occorre che l’economia riparta, altrimenti nessuno potrà garantire un lavoro che non c’è. E questo potrà essere in parte l’effetto di politiche economiche nazionali, in parte di politiche economiche poste in essere da altri paesi, in parte sarà conseguenza di processi spontanei dell’economia. Al fondo credo però che occorra cambiare i vecchi paradigmi mentali, abbandonando antiche consuetudini e abituarci all’idea che dovremo lavorare di più, lavorare meglio e cercare di fare meglio di altri quello che già facciamo. Inoltre la competizione dei giovani di altre nazioni, in particolare dell’area anglosassone, abituati a spostarsi anche di nazione, pur di trovare il lavoro che più è consono alle proprie capacità, è ormai sentita anche nel nostro Paese. Quindi ai giovani dico: fate bene il vostro lavoro di studenti, leggete riviste internazionali, studiate il mercato europeo ed extraeuropeo, e datevi da fare per diventare personaggi internazionali”.

Uno dei massimi sociologi viventi, lo statunitense Richard Sennet, nel suo saggio “L’uomo flessibile” (Feltrinelli, 2002) riflette sul precariato e su quanto possa essere devastante sul piano dell’identità, arrivando a corrodere – nella permanente assenza di punti di riferimento – le fondamenta del carattere degli individui. Quanto si riflette, secondo Lei, questa insicurezza individuale, questa “invisibilità sociale”, questo capitale umano inutilizzato, in una dimensione collettiva, più estesamente sociale?

“Indubbiamente il precariato ha segnato fortemente la psicologia di un’intera generazione e questo è stato un elemento nuovo per il nostro paese, abituato invece ad un sistema di welfare fondato sull’identificazione del lavoratore con il proprio posto di lavoro. Questa però è una condizione che noi non potevamo più permetterci e che in altri paesi, peraltro, forse non è mai esistita nella stessa intensità. Questo cambio di paradigma ha indubbiamente segnato in modo particolare le generazioni che oggi hanno 30-40 anni, perché sono quelle che ci si sono dovute confrontare per prime. Con il tempo, come detto prima, ci si dovrà abituare ad una mobilità spinta fatta di passaggi da un lavoro all’altro e ad un sistema di sicurezza sociale modellato sulla nuova realtà”.

Crisi economica, mancanza di ammortizzatori sociali, disoccupazione, precariato, pressione fiscale, famiglie che vivono con poco più di mille euro al mese. E conseguenti situazioni debitorie che si accumulano nel tempo, senza volerlo, senza riuscire più a rialzarsi. Situazioni debitorie che diventano insormontabili, con cartelle esattoriali e interessi che incalzano e paralizzano nel terrore di vedersi ipotecata magari l’unica casa che si ha. Un tunnel senza speranza che porta tanti, troppi, a gesti estremi. Pensa che in una fase storica e sociale così drammatica e perdurante per milioni di italiani, un condono, una sanatoria, una sorta di “indulto amministrativo” – con la possibilità di pagare i debiti in misura ridotta ma fattibile – potrebbe aiutare tante persone sopraffatte dalla vita a risanare pendenze altrimenti ingestibili? Un intervento straordinario che, al contempo, porterebbe immediate iniezioni di liquidità alle casse dello Stato?

“Certamente ci troviamo di fronte a situazioni di estrema gravità che stanno sconvolgendo la vita di molti cittadini. Io non so se si debba arrivare ad una sorta di indulto amministrativo: forse non sarebbe un buon esempio e ne andrebbe della credibilità delle norme. Tuttavia è innegabile che occorra fare un’analisi approfondita dei singoli casi, per evitare che l’applicazione rigida di una norma possa distruggere la vita civile e anche la stessa vita fisica degli individui. Io credo che uno Stato non possa rimanere insensibile di fronte a tali circostanze. E’ ovvio, però, che ogni cittadino deve assumersi le proprie responsabilità e se ci sono stati comportamenti scorretti, irresponsabili o dolosi, allora la legge non può non sanzionarli, ma solo dopo che vi sia stato un accurato accertamento della trasgressione e con modalità che non restino completamente sorde alle specificità dei singoli”.

Federlazio ha promosso la nascita del Consorzio R.O.M.E. (Ricerche Operative Marketing Estero). In che consiste e in che modo coinvolge gli imprenditori sui mercati esteri?

“Il nostro Consorzio R.O.M.E. ha da poco festeggiato il suo 25° anno, a dimostrazione che è una struttura ormai solida. In questi anni esso ha assistito centinaia di imprese che hanno voluto confrontarsi con i mercati internazionali. La sua attività è consistita nell’accompagnare “per mano” le imprese a mostre e fiere internazionali e nella stipula di accordi con organizzazioni imprenditoriali e governi stranieri, al fine di promuovere progetti e iniziative comuni. Abbiamo aperto dei contact-point in diversi paesi, dal Nord-Africa alla Cina, che hanno rappresentato un punto di riferimento e una testa di ponte per quelle aziende che hanno scelto di operare su quei mercati. Oggi le imprese hanno forse ancora più necessità di internazionalizzarsi, visto che l’indebolimento del mercato domestico spinge un po’ tutti a superare i confini nazionali. Per questo probabilmente vi è bisogno di una ridefinizione dell’identità, del ruolo e delle attività del Consorzio, così da renderlo più adeguato ai nuovi scenari e metterlo in condizione di svolgere meglio e più efficacemente la sua missione”.

L’elenco di chi non ce l’ha fatta per mancanza di lavoro, nel 2012, è già tristemente lungo. Un fenomeno in crescita, relegato solo nelle pagine della cronaca. E presto dimenticato. Per spezzare questo silenzio che avvolge una strage quotidiana, Lei si è fatto promotore di un’iniziativa…

“Sì, proprio per richiamare l’attenzione sulla gravità della crisi e sulle tinte drammatiche che ha assunto in quest’ultimo anno con la sequela di suicidi di imprenditori e lavoratori che hanno riempito purtroppo le cronache dei quotidiani, Federlazio si è fatta promotrice di un’iniziativa pubblica, cui hanno immediatamente aderito tutte le associazioni imprenditoriali e tutti i sindacati. Si tratta di una fiaccolata silenziosa che abbiamo voluto organizzare per testimoniare la nostra vicinanza e la nostra solidarietà alle famiglie di quelli che possiamo chiamare veri e propri “caduti sul lavoro”, siano essi Imprenditori o Lavoratori, e, allo stesso tempo, esprimere il malessere, il disagio, o per meglio dire l’insostenibilità di una situazione che non ci consente più di svolgere la nostra attività di imprenditori, e conseguentemente di assicurare l’occupazione ai nostri lavoratori. Proprio in questi giorni stiamo mettendo a punto insieme con tutte le associazioni e i sindacati aderenti la data e gli aspetti organizzativi di quest’evento, che comunque dovrebbe tenersi a Roma nella seconda metà del mese di aprile”.

Tiziana Grassi
grassitiziana@gmail.com

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Nota biografica a cura di Goffredo Palmerini

* Tiziana Grassi, è nata a Taranto, vive e lavora a Roma. Giornalista, ricercatrice e studiosa di migrazioni, è stata autrice di programmi televisivi di servizio per gli Italiani all’estero a Rai International e consulente di programmi culturali per Rai Uno. Laureata in Lettere Moderne, si interessa di Emigrazione-Immigrazione e di sociologia della comunicazione. Collabora con la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e ha insegnato nel Master post laurea di “Teoria e analisi qualitativa – Storie di vita, biografie e focus group per la ricerca sociale, il lavoro, la memoria” presso il Dipartimento di Sociologia e Comunicazione della “Sapienza”. Ha pubblicato, tra gli altri, i volumi Dicono di Roma – 50 interviste per il terzo millennio, Palombi, Roma, 2000; Noi bambini e la tv prima e dopo l’11 settembre, Stango, Roma, 2002; Dicono di Taranto – Semiotica del territorio – Lontananza. Appartenenza. Percorsi, Provincia di Taranto-Ink Line, Taranto, 2004; La guerra negli occhi dei bambini – Le immagini televisive dei conflitti tra critica e proposta, (con Mario Morcellini), RAI-ERI-Pellegrini, Roma-Cosenza, 2005; il dvd Segni e sogni dell’emigrazione – L’Italia dall’emigrazione all’immigrazione (con Catia Monacelli e Giovanna Chiarilli), Eurilink, Roma, 2009, patrocinio del Ministero Affari Esteri. E’ stata tra i redattori del 21° Rapporto Italia 2009 di Eurispes e con Fenomeni linguistici ed esclusione-inclusione sociale nell’Emigrazione italiana, è tra gli autori del “Rapporto Italiani nel Mondo 2011” di Caritas-Migrantes. Ha collaborato per la Società Dante Alighieri alla realizzazione della Prima Conferenza dei Giovani Italiani nel Mondo promossa dal Ministero degli Affari Esteri, Roma, dicembre 2008. Nel 2010 è stata insignita del Premio internazionale “Globo Tricolore – Italian Women in the World all’eccellenza italiana nel mondo” come studiosa di migrazioni. E’ in corso di pubblicazione, a sua cura (con la giornalista Mina Cappussi), il primo “Dizionario dell’Emigrazione italiana – 1861-2011 – Semantica di una Storia tricolore”. Attualmente collabora con la Commissione Europea-Rappresentanza in Italia al programma culturale radiofonico “Un libro per l’Europa”.

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