La sabbiatura dei jeans uccide ancora

La sandblasting, tecnica di schiaritura dei jeans attraverso la sabbiatura, continua a uccidere, malgrado gli impegni delle aziende internazionali: è la denuncia della Campagna Abiti Puliti che ha deciso di verificare sul campo le responsabilità delle imprese. Alcuni ricercatori di Amref hanno visitato 7 fabbriche bengalesi e hanno intervistato 73 lavoratori, di cui oltre la metà […]

La sandblasting, tecnica di schiaritura dei jeans attraverso la sabbiatura, continua a uccidere, malgrado gli impegni delle aziende internazionali: è la denuncia della Campagna Abiti Puliti che ha deciso di verificare sul campo le responsabilità delle imprese. Alcuni ricercatori di Amref hanno visitato 7 fabbriche bengalesi e hanno intervistato 73 lavoratori, di cui oltre la metà addetti alla sabbiatura. “I risultati dell’inchiesta sono allarmanti: – denunciano gli osservatori – in nessuno dei 7 stabilimenti la sabbiatura è stata definitivamente abolita, qualunque sianostate le istruzioni dei committenti, e spesso viene eseguita di notte in modo da non dare nell’occhio”. “I principali marchi sono H&M, Levi’s, C&A,D&G, Esprit, Lee, Zara e Diesel, – spiegano – la totalità dei quali, a eccezione di Dolce e Gabbana che ha sempre rifiutato di fornire informazioni sulle sue tecniche produttive, sostiene di avere abolito l’uso della sabbiatura nelleproprie filiere internazionali”.

Per i responsabili della campagna servono le azioni concrete che finora nessun marchio ha ancora messo in campo: “Le ispezioni sono rare e solo in queste occasioni gli addetti vengono muniti di dispositivi di sicurezza individuale; per il resto del tempo si opera senza precauzioni in ambienti saturi di polveri a alto tenore di silice. Persino l’adozione del più semplice dei mezzi preventivi, l’uso di sabbia importata a basso contenuto di silice, viene totalmente omessa nella maggior parte delle fabbriche”. Secondo quanto riferito dagli osservatori in alcuni stabilimentisi è passato dalla sabbiatura manuale a quella meccanica, ma “essendo effettuata in ambienti aperti e in assenza di dispositivi di sicurezza adeguati, i llivello di pericolosità è rimasto identico”. Manca poi la formazione e per i lavoratori e, soprattutto, per i medici.
“La situazione è molto grave – sottolinea Deborah Lucchetti della campagna – al contrario di quanto sostengono pubblicamente, i marchi non sono disposti a modificare lo stile dei loro prodotti o a modificare i tempi e costi di produzione per permettere ai fornitori di adottare metodi alternativi che comportano lavorazioni più sicure, con il risultato di continuare a incentivare l’uso, clandestino o alla luce del sole, della sabbiatura.” “Ormai è noto da anni il rischio professionale di contrarre la silicosi per migliaia di lavoratori tessili – continua – le imprese devono fare di più per eliminare definitivamente l’uso della tecnicapotenzialmente fatale”.

La Campagna Abiti Puliti chiede che i marchi monitorino l’effettiva cessazione dei trattamenti con sabbiatura, in collaborazione con le organizzazioni sindacali e di fabbrica e le ong in ogni paese dal quale si riforniscono e che modifichino il design dei prodotti per eliminare all’origine la possibilità di utilizzo della sabbiatura. Inoltre che collaborino con i propri fornitori perché tutti i lavoratori esposti a polveri di silice siano monitorati e sottoposti a diagnosi precoce. Appello anche ai governi perché adottino leggi che vietino la sabbiatura sul proprio territorio e assistano coloro che hanno già contratto la silicosi. All’’Unione Europea la richiesta di scoraggiare l’importazione di questi capi.

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