La vittoria di Suu Kyi ed il colpo di stato in Mali

Aung San Suu Kyi potrà finalmente sedere nel parlamento della sua Birmania, dopo essere stata eletta a Kawhmu, dove non esistono né acqua corrente né elettricità, ma dove, l’altro ieri, si sono aperte le urne  per uno dei 45 seggi in palio nelle elezioni suppletive, concesse dalla giunta militare al potere. Il semplice fatto, scrive […]

Aung San Suu Kyi potrà finalmente sedere nel parlamento della sua Birmania, dopo essere stata eletta a Kawhmu, dove non esistono né acqua corrente né elettricità, ma dove, l’altro ieri, si sono aperte le urne  per uno dei 45 seggi in palio nelle elezioni suppletive, concesse dalla giunta militare al potere.

Il semplice fatto, scrive Marco del Corona sul Corriere, che nel Myanmar si siano svolte elezioni è una svolta ed una conquista.

Nel 1990 la giunta militare aveva usato la forza per fingere che alle urne la Nld e i suoi alleati non avessero vinto 392 dei 485 seggi in palio.

Voto annullato e Paese sprofondato in un pozzo di brutalità e isolamento, con perpetrazione di una feroce dittatura instaurata nel 1962.

Ora, la Lega Nazionale per la Democrazia (Nld) sembrerebbe indirizzata a battere il partito espressione di un potere militare riconvertitosi in civile (Usdp), anche se occorrerà un settimana almeno prima dei risultati ufficiali.

Il parlamento resterà dominato dai sodali dell’esercito, però l’opposizione guadagna una visibilità utile in vista della consultazione del 2015.

Naturalmente si sono segnalati vari brogli e tentativi di indirizzare il risultato da parte del partito al governo ma, se come pare, Aung San Suu Kyi, che  aveva giudicato “sincere” e “in buona fede” le clamorose riforme dell’ex generale, ora presidente, Thein Sein, desse l’endorsement anche al risultato delle elezioni, legittimerebbe una sorta di “via alla democrazia controllata” inconcepibile un anno e mezzo fa.

Ma, proprio per questo, ora,  Aung deve vedersela più con le presumibili diffidenze interne che con i militari al governo.

I fan della 66enne premio Nobel per la pace, cara a molti potenti del mondo occidentale (prima fra tutte Hillary Clinton),  non caricano la sua presenza nel parlamento di Naypyidaw di eccessive aspettative.

Ha promesso di provare a intervenire sulla nuova costituzione per allentare il ruolo dell’esercito nelle istituzioni e conta di chiudere i pluridecennali conflitti con le milizie etniche.

Alla signora tocca ora l’onere di convincere i suoi che il parlamento non la cambierà. Nessuna metamorfosi, solo un campo diverso dove proseguire la lotta.

Dopo 15 anni di detenzione,  di cui gli ultimi sette ai domiciliari, ora la leader della opposizione ha parlato di “Vittoria del popolo” ed ha raccomandato ai suoi sostenitori, riuniti a migliaia per festeggiare lo storico avvenimento “di bandire ogni proposito, attività e comportamenti che possano fare torto ad altre organizzazioni”.

Come notano Repubblica e La Stampa, la vera sfida per Aung inizia adesso. Il presidente Thein potrebbe offrire ai democratici incarichi di governo, ma resta sempre il pericolo di una e fu imposta la legge marziale.

E’ probabile che con le sue aperture il regime abbia voluto sottrarsi all’abbraccio soffocante della Cina, il suo maggiore alleato regionale, puntando a ottenere dall’Occidente la revoca delle sanzioni economiche ancora in vigore.

La Suu Kyi dovrà muoversi con prudenza e contemperando spinte molto diverse.

Dove la situazione è profondamente diversa è in Mali dove, da giovedì, è in corso un colpo di stato di cui non si sa ancora nulla di preciso.

Dal 23 Marzo sul sito della Farnesina si poteva leggere a proposito del Paese africano: “In Mali ha avuto luogo un colpo di Stato da parte di militari che hanno occupato le sedi di radio e televisione nazionali nella capitale, annunciando l’imposizione di un coprifuoco, la sospensione della Costituzione e l’arresto di diversi Ministri. L’aeroporto di Bamako ha interrotto per il momento le proprie attività (informazioni sulla eventuale ripresa dei voli saranno diffuse dalle compagnie aeree che servono lo scalo). Risultano al momento chiuse fino a nuovo ordine le frontiere aeree e terrestri”.

Come si vede la situazione di sicurezza in Mali è molto critica in tutte le regioni, con elevato rischio di aggressioni e rapimenti. Particolarmente insicuro è da considerarsi il nord del Paese, soprattutto le regioni di Gao e Timbouctou e molto insicure le zone ai confini con Mauritania, Niger ed Algeria.

“L’invito a lasciare, scrive ancora la Farnesina,  il Paese, già presente sui passati Avvisi relativi al Mali in ragione del progressivo deterioramento delle condizioni di sicurezza nell’ultimo periodo, resta attuale compatibilmente con le ultime evoluzioni della situazione di sicurezza”.

Ieri, L’agenzia Giornalistica Italiana ha pubblicato la notizia che i separatisti tuareg li hanno annunciato di aver preso il controllo della città di Timbuctu, l’ultima nel nord del Paese che rimaneva ancora sotto il controllo del governo di Bamako.
E, annunciando “la fine dell’occupazione maliense” a Timbuctu, il Movimento Nazionale di Liberazione di Azawad ha assicurato che riporterà nella zona “l’ordine e l’amministrazione”. La notizia e’ stata confermata da fonti locali, secondo le quali i ribelli sono arrivati in città, hanno saccheggiato uffici pubblici e banche e messo in fuga le forze del governo centrale.

Nota come la ‘perla del deserto” e associata in un certo immaginario collettivo alla località esotica per eccellenza, Timbuctu e’ una citta’ di 50mila abitanti considerata dall’Onu tra i patrimoni dell’Umanita’. I tuareg si battono per la secessione e l’indipendenza di Azawad, un’estesa regione di 850mila chilometri quadrati situata nel nord-est del Mali.

La conquista di Timbuctu e’ arrivata poche ore dopo l’annuncio dei ribelli di aver occupato, senza praticamente incontrare esistenza, la città di Gao, la seconda più importante del Mali.

L’inviato di Repubblica Pietro Veronose, scrive che,  proprio per la sua natura di avamposto, cioè di ultima città degna di tale nome, oltre la quale c’è solo l’immensità rovente del nulla, Gao ospita una nutrita guarnigione governativa, acquartierata in due grandi campi militari. Ed è’ stato contro queste piazzeforti che, per giorni,  sono andate a infrangersi le colonne motorizzate dei ribelli Tuareg, decine di gipponi 4×4 con la mitragliatrice pesante piazzata sul pianale, che si lanciano attraverso il deserto lasciandosi dietro un’alta nuvola di polvere. Sono penetrate facilmente nell’abitato, hanno scorrazzato per le strade di terra, con la gente che scappava a chiudersi in casa, hanno sparato e compiuto caroselli, hanno fatto sventolare la bandiera della repubblica sognata, l’Azawad, nella quale ai colori ricorrenti di tante bandiere in terra d’Islam – il verde, il rosso, il nero – si aggiunge il giallo del deserto. Hanno gridato “Allah è grande” e stando ad alcune testimonianze hanno devastato due bar che vendevano birra, confermando in apparenza l’informazione secondo la quale insieme ai Tuareg, o nel loro mezzo, combattono miliziani islamici (il capo della rivolta del 1990-95, Iyad Ag Ghali, guida oggi un movimento legato alla maggiore organizzazione islamista della regione, “Al Qaeda nel Maghreb islamico”).

Dopo giorni di sconfitte, infine i ribelli hanno vinto la resistenza della guarnigione governativa, conquistando la strategica città del Nord, che è l’ultimo avamposto prima del deserto.  

Poche ore fa, l’ANSA, ha battuto la notizia secondo cui, la giunta militare maliana, al potere dopo il golpe che ha destituito il presidente Toure’, ha ristabilito la costituzione del 1992 e ha promesso di avviare delle consultazioni con ”le forze vive del Paese”.

L’annuncio e’ stato fatto dal capo della giunta militare, il capitano Amadou Sanogo.

Oltre al ristabilire la Costituzione, Sanogo ha annunciato che saranno avviate delle consultazioni e istituita una convenzione nazionale che preparerà la formazione di organismi per la transizione.

Insomma, pare, che i militari siano disposti a restituire il potere ai civili e, il colonnello Moussa Sinko Coulibaly,  che sta mediando con i ribelli, ha detto da  Ouagadougou, capitale del Burkina Faso:  “Non vogliamo confiscare il potere” ed aggiunto: “Ci vuole un ritorno all’ordine costituzionale regolare e normale. Stiamo discutendo su come arrivarci”.

Carlo Di Stanislao

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *