Patatrac

Patatrac è un termine nato per imitare il rumore di un crollo fragoroso o di una cosa infranta e sta ad indicare un disastro o un fallimento, l’esatto contrario di espansione, rialzo, ascesa, boom, diffusione, rigoglio o fioritura. Ed è questo il termine a cui penso guardando al’Italia di oggi. Già qualcuno storce il naso […]

Patatrac è un termine nato per imitare il rumore di un crollo fragoroso o di una cosa infranta e sta ad indicare un disastro o un fallimento, l’esatto contrario di espansione, rialzo, ascesa, boom, diffusione, rigoglio o fioritura. Ed è questo il termine a cui penso guardando al’Italia di oggi.
Già qualcuno storce il naso e dice che, invece dei miei scritti, si avrebbe bisogno di messaggi positivi perché, il tutt’attorno, ci parla di tregenda.
Ma, io credo, che prima dei messaggi positivi, ci debbano essere dei mittenti onesti e dei destinatari comprensivi.
I primi nati e cresciuti in un sistema sano di relazioni, siano esse sociali o politiche, i secondi capaci di cogliere senso e significato di un agire responsabile e condiviso per il bene della comunità.
I modelli li possiamo costruire – anche quelli positivi – ma dobbiamo essere capaci di tenerli in vita e di dare loro sostanza perché si incarnino nella realtà. Troppo spesso ho assistito a dei movimenti di rinascita, non ultimo quello del governo – non governo montiano, in cui quindici pagine di ottimismo regalavano l’illusione di una vita d’oltremanica.
Ma noi siamo l’Italia e come dice Gramellini “quella nave tragicomica che non può risollevarsi né affondare sta diventando ogni giorno di più l’autobiografia della nazione”.
Se a Bergamo c’e’ la serata dell’orgoglio leghista, con i giovani padani armati di ramazza, simbolo di quella ‘pulizia’ invocata da Roberto Maroni che parteciperà in prima fila, con al fianco l’altro triumviro Calderoli, resta da scoprire se ci sarà anche Bossi e se sarà possibile per lui recuperare una credibilità, anche se in una misura irrimediabilmente incrinata.
Certo è stata una Pasqua di passione quella vissuta dalla Lega, con Renzo Bossi che dopo il video di Alessandro Marmello, suo autista e bodyguard, ha presentato le dimissioni da consigliere regionale e Rosy Mauri che, pare, si avvii a percorrere la stessa via.
Radio Padania è stata letteralmente inondata di telefonate di protesta, con Bossi paragonato a Craxi e vivo sarcasmo sul ‘Trota’, più pesante di quello già manifesto sul web.
E mentre il Carroccio raccoglie i pezzi, le forze che sostengono il governo Monti si sono impegnate a varare in tempi brevi una nuova disciplina del finanziamento ai partiti.
Entro domani Pdl, Pd e Terzo polo definiranno “alcune prime norme urgenti per il controllo e la trasparenza del finanziamento ai partiti, decise dai segretari Angelino Alfano, Pierluigi Bersani e Pier Ferdinando Casini, nel corso di alcuni fitti colloqui telefonici.
Intanto, cresce la sfiducia degli italiani verso la politica e, scrive il Corriere, i sondaggi ci dicono che, oggi, il 40% degli elettori voterebbe un governo tecnico.
La stessa indagine fissa, poi, al 50% l’astensionismo nelle prossime amministrative, mentre i vari commentatori dichiarano ormai defunta anche la seconda Repubblica.
Ma, io credo, vi siano cose ancora più gravi in campo in queste ore, come la crescita dei suicidi degli imprenditori ed il dato della perdita, nell’ultimo anno, di un milione di posti di lavoro per i giovani.
Sino al 28 marzo si poteva almeno dire che il governo Monti aveva risolto il problema dello spread e della credibilità sui mercati internazionali, ma, da fine dello scorso mese, i tanto amati mercati internazionali hanno avvertito che un facile ottimismo sulla fine della crisi è poco credibile, almeno fino a quando non ci sarà una schiarita anche sul tema della crescita.
Il clima di sfiducia è ricominciato, dicevamo, facendo scricchiolare tutte le certezze accumulate.
Le borse sono crollate, lo spread è tornato sopra quota 300 e almeno in Italia non si intravvedono politiche in grado far crescere l’economia.
Si discute alacremente ma senza senso di articolo 18, ma intanto la disoccupazione cresce di giorno in giorno, la cassa integrazione aumenta, migliaia di piccole imprese chiudono i battenti e nessuno e capace di indicare un new deal per l’economia italiana ormai impantanata.
Con buona pace del professore della Bocconi e del suo team di superesperti.
Il premio Nobel Robert Solow lo ha detto chiaramente, solo grazie a Barak Obama che ha protetto gli Stati Uniti con politiche espansive “l’America si è salvata da qualcosa di molto peggio della recessione”. Solow ha aggiunto che le politiche di bilancio vanno fatte ma se non sono accompagnate da un intervento sulla crescita “portano soltanto guai”.
Sono in molti che, come Asor Rosa ed Erri De Luca, cominciano a considerare Monti ed i suoi, i commissari esecutori di un governo europeo, che deve salvare l’economia anche a scapito dei singoli.

Da noi si persiste sulla strada delle politiche restrittive e a due tempi, con la fase due, quella della ripresa che stenta a nonostante il massacro delle pensioni ed il fenomeno tutto nuovo e drammatico degli esodati, che non hanno nè una pensione nè un lavoro e sembrano essere un esercito di 350.000.
E, come si vede, non solo non vi sono nuovi posti per i giovani, ma anzi questi spazi vengono addirittura ridotti.
Il governo Monti è stato costituito e messo alla prova esplicitamente per arrestare la catastrofe economica nazionale.
Le misure di pronto intervento sono state assunte dal governo sotto la pressione di una formidabile urgenza: non si poteva fare di più e soprattutto di meglio nello spazio consentito dall’incalzare degli eventi (per lo stesso motivo è stato esorcizzato il ricorso alle urne, che sarebbe stato il normale metodo per far fronte a una crisi di governo parlamentare irrimediabile).
Questo spiega perché tali misure siano apparse da subito così tradizionali: tagliare qualcosa a tutti invece che tagliare molto ad alcuni è, tecnicamente, molto più semplice, rapido ed efficace – se si prescinde, naturalmente, dalle reazioni delle grandi masse duramente toccate dalla manovra.
Intervenire sulle pensioni, aumentare l’età pensionabile, tornare a tassare e/o tassare più violentemente la proprietà immobiliare senza distinzioni di ceto né di situazioni sociali poteva venire in mente (lo dico senza ironia) a ognuno di noi comuni mortali.
E poi, a seguire: gas, energia elettrica, autostrade, benzina, ecc. ecc.: la logica è sempre la stessa, tutti, più o meno, vengono colpiti, perché il colpo, per così dire, sia universalmente doloroso ma non mortale per nessuno.
Il tecnicismo, come avrebbe detto Giorgio Bocca, non c’entra proprio nulla.
Insomma, dal suo insediamento a oggi, il governo Monti non ha fatto altro che incarnare quel Finanzcapitalismo di cui parla Luciano Gallino: una megamacchina che è giunta ad asservire ai propri scopi di estrazione del valore ogni aspetto come ogni angolo del mondo contemporaneo, travolgendo la politica vera e sostituendola con una che ha identificato i propri fini con quelli dell’economia finanziaria.
In tal modo, in Italia, la politica si vede chiaramente come la politica abbia abdicato al proprio compito storico di incivilire, governando l’economia e la convivenza umana.
Ed ha contribuito in modo colpevole, più delle tangenti e delle malversazioni, a trasformare il finanzcapitalismo nel sistema politico dominante a livello mondiale, capace di unificare le civiltà preesistenti in una sola civiltà-mondo e al tempo stesso di svuotare di sostanza e di senso il processo democratico.
Con una operazioni ancora più sottile proiettata verso il futuro: abolire le destre e sinistre e favorire una convergenza al centro: un’aggregazione imponente (non necessariamente un nuovo partito: anzi), che proprio nella tecnicità può trovare il suo esemplare punto di riferimento e di “rappresentazione”.
Non credo sia un caso, infatti, che ora più di chiunque altro esulta Casini che si vede idealmente proiettato (e senza sforzo alcuno)… al centro dell’operazione e nel Pd trionfa di nuovo Walter Veltroni, il quale finalmente scorge le sue pulsioni antibersaniane di sempre colorarsi di realtà.
Insomma l’Italia mi appare sempre più la “signora per bene” del film “Patatrac” di Gennaro Righelli del 1931, che si fida di oscuri fidanzati, oscuri gaudenti, impenitenti spendaccioni, che la portano, inevitabilmente, verso la totale distruzione.
Lo scorso anno, per Garzanti, Roberto Vacca scrisse un bel saggio: “Patatrac. Crisi perché? Fino a Quando?” e col suo talento di divulgatore, ci segnalò che ormai da un lustro parliamo solo di economia e di paure: la sicurezza, l’emergenza ambientale, ma soprattutto una crisi finanziaria gravissima, un !”patatrac!” globale che gli esperti non avevano previsto e che ha messo in ginocchio l’economia mondiale, ha fatto fallire numerose banche e industrie e creato milioni di disoccupati.
I potenti del pianeta e gli esperti si sentono in dovere di diffondere fiducia e dunque continuano a rassicurarci: ripetono che le cifre sono confortanti, la ripresa è in arrivo e malgrado qualche momentanea difficoltà tutto andrà per il meglio.
Ma sono le stesse persone – politici ed economisti – che non hanno fatto nulla per avvertirci del disastro incombente e che ora stanno facendo troppo poco per informarci correttamente e per guidarci fuori dal tunnel.
Restano vaghe persino le dimensioni complessive del tracollo finanziario, l’ammontare dei debiti e dei titoli spazzatura.
Ora, Vacca, in quel libro, sosteneva che per uscire davvero dalla crisi è necessario prima di tutto alzare il livello culturale medio della popolazione. Ed è proprio questa la vera emergenza, con tutta una serie di false iniziative e luoghi comuni.
A ottobre 2010 usciva in libreria” L’Italia che legge”, un agile saggio di Giovanni Solimine edito da Laterza, in cui si affronta il tema, molto discusso, della lettura in Italia. Grazie all’utilizzo di dati statistici ricavati da diverse fonti, l’autore ha analizzato il fenomeno, sfatato luoghi comuni e delineato una possibile strategia per superare questo momento di crisi.
E fra i luoghi comuni rovesciati, falso si rivelano le accuse mosse ad internet e alla televisione mentre i dati dimostrano che i lettori abituali vanno spesso al cinema e comunque partecipano alla vita culturale e sociale molto più dei non lettori.
Come falso è anche il dilemma se lettori si nasca o si diventi perché è ovvio che se fin da piccoli si è a contatto con i libri la propensione alla lettura non potrà che essere favorita.
Anche l’affermazione di “ai miei tempi si leggeva di più” viene controbattuta utilizzando i dati statistici: non solo i figli leggono più dei genitori, ma sono anche una “generazione multitasking”, capace di utilizzare disinvoltamente libri e dispositivi elettronici; inoltre il 40% dei più giovani trova proprio in internet lo stimolo per comprare un libro.
Ed un libro può anche fornirci letture critiche e proposizioni migliori.

Carlo Di Stanislao

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