Dall’India

“Sto bene. Sono sopravvissuto”, ha detto ai microfoni del Tg1 Paolo Bosusco, dopo il rilascio da parte dei guerriglieri maoisti, che lo avevano rapito il 14 marzo scorso. Si conclude così, nel migliore dei modi, una vicenda rischiosa e molto complessa, che ha visto impegnati la nostra diplomazia, lo Stato di Orissa ed il governo […]

“Sto bene. Sono sopravvissuto”, ha detto ai microfoni del Tg1 Paolo Bosusco, dopo il rilascio da parte dei guerriglieri maoisti, che lo avevano rapito il 14 marzo scorso.

Si conclude così, nel migliore dei modi, una vicenda rischiosa e molto complessa, che ha visto impegnati la nostra diplomazia, lo Stato di Orissa ed il governo di Nuova Dehli, giunti, alla fine, ad una felice conclusione.

Ne è felice il ministro degli Esteri Giulio Terzi, che è impegnato a Washington in una riunione ministeriale del G8 e che ha detto che “ora il nostro lavoro continua con la stessa determinazione per assicurare la liberazione di coloro che sono ancora ostaggio di rapitori in altri Paesi. Ai loro familiari, e ai congiunti di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, va il nostro pensiero. Condividiamo l’angoscia che stanno vivendo in queste ore. La Farnesina è al loro fianco e prosegue la sua azione per la soluzione positiva di tutti i casi ancora aperti”.

“Ho avuto dai colleghi del G8 una piena comprensione e condivisione di quelli che sono i principi che l’Italia afferma in modo inequivocabile in questa vicenda”, ha aggiunto Terzi, che ha anche detto che “sul piano della collaborazione internazionale antipirateria sono emerse proposte per migliorare l’operatività delle azioni navali da parte della Nato e dell’Ue”.

Per la polizia scientifica indiana sulla Enrica Lexie non vi era nessuna Beretta Arx, fucile che ha ucciso i due pescatori, ma, nonostante questo, il governo italiano è preoccupato sul piano dell’interpretazione della giurisdizione”. Proprio per quest’ultima causa, infatti, la sentenza indiana sul ricorso che ha presentato l’Italia in merito alla vicenda dei due marò tarda ad arrivare: l’Alta corte del Kerala, il massimo organo giudiziario dello stato indiano meridionale che ha sede a Kochi, non ha infatti ancora fissato una data per pronunciarsi sull’eccezione di giurisdizione dopo la denuncia per omicidio nei confronti di Latorre e Girone.

La speranza è che il giudice convochi una seduta proprio entro l’inizio delle ferie, molte lunghe in India in questo periodo, anche perché, come ha commentato un legale del foro di Kochi: “uno slittamento a dopo la pausa estiva sarebbe un irragionevole ritardo per la pronuncia sul ricorso”.
Di sicuro la decisione a cui è chiamato il giudice indiano P.S. Gopinathan è estremamente complessa e, secondo gli esperti, ha tutta l’aria di diventare un importante precedente nel diritto internazionale marittimo.

La tesi italiana resta sempre quella che il reato è stato commesso in acque internazionali al largo della costa del Kerala su una nave battente bandiera italiana e quindi tocca alla procura militare di Roma processare i due marò. Mentre gli indiani sostengono che il crimine è avvenuto a bordo di un peschereccio indiano e che quindi si applica la legge del luogo.

Nel frattempo, i due marò sono attesi comparire lunedì 16 davanti al magistrato di Kollam, per la scadenza dei 14 giorni di carcerazione preventiva ed è probabile saranno rinviati ad altre due settimane di detenzione.

Ricordiamo che, nella intricata vicenda, il 3 aprile scorso, l’Alta Corte del Kerala ha annullato la pronuncia del giudice di primo grado che aveva dato il via libera alla partenza della petroliera Enrica Lexie.

Secondo i magistrati Manjula Chellur e V. Chidambaresh, il giudice competente ad esaminare la questione è infatti quello di Kollam, dove è stata aperta l’inchiesta sull’uccisione dei due pescatori indiani per cui sono accusati i marò.

L’Alta Corte, ha quindi invitato l’armatore Dolphin Tankers, proprietario della petroliera italiana, a rivolgersi al tribunale di Kollam entro una settimana dalla ricezione della sentenza.

Sempre il 3 aprile il sottosegretario agli Esteri, Staffan de Mistura, aveva incontrato nel carcere centrale di Trivandrum i due marò, trannenendosi con loro per più ore e consegnando nelle loro mani le molte lettere a loro indirizzate.

Come scrive Gianandrea Gaiani sul Sole 24 Ore, la prospettiva più probabile è che Massimiliano Latorre e Salvatore Girone debbano restare nel carcere di Trivandrum ancora a lungo, come conseguenza della strategia indiana tesa a prendere tempo soprattutto dopo le voci sugli esiti negativi degli esami balistici sulle armi italiane che confermano l’inconsistenza delle prove raccolte finora contro i due fucilieri.

A questo contesto complesso sembra da attribuire la decisione italiana di impedire a Latorre e Girone di rispondere alle domande degli inquirenti. “A ogni tentativo di interrogarli hanno ripetuto su nostra indicazione: siamo soldati italiani e non rispondiamo perché non riconosciamo la vostra giurisdizione”, ha riferito il sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura a Repubblica, dopo l’incontro della settimana scorsa.

Davvero complessa, comunque, larealtà indiana, come emerge dalle vicende recenti dei rapimenti e dei marò, diversa rispetto alla placida spiritualità che noi occidentali immaginiamo.

Secondo lo Human Development Report, nel 2011 gli indiani che vivono sotto la soglia di povertà mangiano peggio di come mangiavano 30 anni fa.

Un esempio: nelle aree rurali il consumo di calorie pro-capite è calato dalle 2.221 calorie del 1983 alle 2047 calorie del 2005 (un calo dell’8%). Nell’India del boom economico, quasi la metà dei bambini sotto i tre anni sono malnutriti.

Terra di contrasti e di opposti, l?india si compone di molti volti, quelli poveri degli slum, immondezzai sporchi e nauseabondi dove un bambino su tre non arriva a compiere quattro anni e quello dei suoi manager, in scuole di formazione post-universitaria, dove il 60% degli specializzati (250 all’anno) prende un volo per gli USA o l’Europa per lavorare nei campi dell’IT (Information Technology) e del Management, con competenze di alto livello e piani di carriera assolutamente allettanti.

Due volti che si rispecchiano nei dati macro del paese: l’India è oggi la decima potenza economica in campo mondiale e, secondo le previsioni della Banca Mondiale, è destinata a raggiungere il quinto posto nel 2010. Ciò nonostante l’India rimane un paese in via di sviluppo, il cui l’indice HDI (Human Development Index, elaborato dall’UNDP) rimane tale da non farle superare il 128esimo posto nella graduatoria mondiale.

Il 40% della popolazione indiana rimane analfabeta, nonostante questi proficui investimenti in High Education, e va a comporre quella parte del “mondo India” che continua, implacabile e fermo, ad abitare le zone rurali, ad affollare i marciapiedi delle metropoli e a rimanere fuori dai meccanismi della globalizzazione, degli investimenti, delle tecnologie.

E i contrasti si avvertono passeggiando per qualsiasi strada di una delle città indiane. Il massimo e il minimo, la ricchezza e la povertà, la vita veloce e stressata e quella che non si rammenta del tempo che scorre, si trovano davanti a noi, vicine e osservabili, insieme.

Un reddito pro capite stimato per l’anno 1999/2000 in 452,3 $ con un tasso di crescita del 6% annuo e il più alto numero di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà, senza arrivare a guadagnare nemmeno 200 rupie al mese (10.000 lire).

E, senza nulla togliere alla ricchezza che gli investimenti in formazione tecnica producono per l’India e sui suoi abitanti, si deve tener presente che la disparità sta crescendo e sta spaccando il paese in due, non dal punto di vista etnico, o geografico, o religioso ma dal punto di vista delle competenze e quindi di accesso al mercato e di accesso al benessere.

Sembra di ritrovare nella società indiana la distribuzione della ricchezza presente nella società mondo: dove il 20% della popolazione possiede l’80% della ricchezza e l’80% il 20%.

Nel mondo le disparità convivono perché sono lontane geograficamente ( a livello macro), in India le disparità convivono grazie alla cultura indiana, alle tradizioni che si mescolano alla modernizzazione.

La maggior parte dei “cervelli indiani” migrano all’estero, oppure, se rimangono, mettono il loro sapere a disposizione di multinazionali e organizzazioni che poco hanno a che fare con lo sviluppo del paese nel suo complesso.

Carlo Di Stanislao

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