Dopo la morte di Morosini

La possibilità di un po’ di gioia per Piermario Morosini si è brutalmente interrotta sabato scorso, sul prato dell’Adriatico di Pescara, dopo una esistenza grama, con la morte di entrambi i genitori quando era ancora un bambino, due fratelli disabili, uno dei quali suicida alcuni anni fa ed una cocciuta determinazione nella vita, non ripagata […]

La possibilità di un po’ di gioia per Piermario Morosini si è brutalmente interrotta sabato scorso, sul prato dell’Adriatico di Pescara, dopo una esistenza grama, con la morte di entrambi i genitori quando era ancora un bambino, due fratelli disabili, uno dei quali suicida alcuni anni fa ed una cocciuta determinazione nella vita, non ripagata da nessuna fortuna.
Una vita avara di fortuna dove l’unica vera soddisfazione era arrivata dalla carriera calcistica.
L’adolescenza di Morosini è stata di quelle devastanti, quasi fosse il protagonista di un romanzo di Hugo o Dickens, pervasa da episodi sfortunati e capaci di segnare, nel profondo.
Prima, nel 2001 all’età di 15 anni, la morte della madre per un cancro. Poi, nel 2003, la scomparsa del padre, morto per un infarto. Infine il dramma del fratello maggiore disabile (anche la sorella ha bisogno di assistenza) che, quando Piermario si trovava a Udine per il primo anno, si tolse la vita, nel 2004.
Delio Rossi , l’allenatore che lo aveva portato, nel Livorno, dalla Primavera alla prima squadra, facendolo diventare un professionista, ricorda che Piermario era già un uomo fatto e responsabile a 17 anni di età, uno che si allenava e conduceva una vita rigorosa, senza nessuno di quei grilli per la testa che anche gli sportivi hanno a quell’età.
Dopo la morte dei genitori era vissuto con una zia, poi in un istituto a Bergamo, occupandosi da subito dell’assistenza sanitaria, economica e morale del fratello Piermario e della sorella, anche lei disabile, Maria Carla, che ora, dopo la sua morte, non ha più alcun sostegno né assistenza.
Ora che lui non c’è più il mondo del calcio sa che non c’è tempo da perdere e che questa ragazza che ha bisogno di cure.
La prima a mobilitarsi è stata Giuliana Linda, moglie di Gianpaolo Pozzo che ha creato la onlus “Udinese per la vita” garantendo il primo immediato intervento per Maria Carla, con un contributo ai club di A e B. Poi l’Aic, sollecitata da Totò Di Natale: “Faremo una sottoscrizione con tutti i calciatori, dalla A alla Seconda divisione. Piermario, quando giocava a Vicenza, accettò subito di far parte dei 52 delegati. Aveva a cuore i problemi della categoria”.
Era bellissimo Morosini detto “Moro” ed è rimasto tale, anche dopo la fulminea morte, come ha detto fra le lacrime la fidanzata, pallavolista del Bembrate, che ieri, a Pescara, ha dovuto procedere al pietoso riconoscimento della salma.
All’uscita si è sciolta in lacrime e tra i singhiozzi ha detto: “Sembrava sorridesse, era bellissimo. Piermario adorava giocare sotto la pioggia, mi diceva che la palla ha bisogno di un trattamento diverso. Ieri è stato così. Sono sicura che fosse felice, il calcio e quel pallone davano un senso alla sua vita, oggi questo sole e questo vento caldo accarezzano il mio viso e quello di tutti i suoi amici e familiari. Ringrazio tutti per la vicinanza”.
Il calcio, ieri, si è fermato per una giornata e sulla stampa ed in televisione c’è allarme per le tanti, improvvise morti nello sport, non solo nel calcio e non solo in Italia.
Sarà un’autopsia ad ”ampio raggio”, quella sul corpo di Morosini, per sapere ”più cose possibili”, come ha spiegato il procuratore aggiunto di Pescara, Cristina Todeschini.
”Per ora sul fascicolo c’è scritto ‘ignoti’, per cautelarci il più possibile – ha proseguito il magistrato – e l’ipotesi generica è quella di omicidio colposo. Tutto questo qualora dall’autopsia emergano ipotesi di rilevanza penale”. Il medico legale avrà 60 giorni di tempo per comunicare alla Procura i risultati ufficiali dell’autopsia, mentre la famiglia, rappresentata oggi dal cugino Piergiulio Morosini, ha nominato un perito di parte, la dottoressa Cristina Basso di Padova, in rappresentanza della sorella di Piermario.
In attesa dei risultati dell’autopsia e mentre non si placano ancora le polemiche sulla presenza dell’autovettura dei vigili urbani del corpo di Pescara che avrebbe per qualche minuto impedito all’ambulanza di entrare in campo, è proprio il procuratore aggiunto di Pescara Cristina Todeschini a spiegare che ”dalle notizie che abbiamo fin qui la rilevanza del fatto sembra inesistente”.
In verità, tutte gli specialisti e le associazioni scienti che interpellate, dicono che la legislazione sui controlli medici degli sportivi in Italia è molto accurata ed avanzata.
L’esame della pericolosità dello sport praticato, per l’individuo che sceglie di intraprenderlo, è essenziale, per evitare fenomeni di morte improvvisa da sport (fenomeno comunque non frequente).
Le cause di questa grave manifestazione sono estremamente variabili e dipendono dalla popolazione in esame. Prevalgono le malattie congenite in età giovanile e quelle degenerative in età più avanzata.
La degenerazione papilacea della parete del ventricolo dx che si assottiglia e si dilata sottoponendo il soggetto a rischio di angina. Esistono due forme di questa patologia, una geneticamente determinata, l’altra come conseguenza di interventi chirurgici eseguiti in età giovanile. Tra gli atleti è responsabile del 22% dei decessi.
Le aritmie vengono divise in atriali o ventricolari, oppure vengono distinte in bradiaritmie, la cui evidenza è un rallentamento esagerato del battito cardiaco, e in tachicardie, che provocano invece un’accelerazione anche esasperata del battito. Le forme atriali sono genericamente identificate come benigne, benché alcune siano estremamente invalidanti, per esempio le tachicardie parossistiche. Difficilmente comunque queste patologie possono portare a morte improvvisa, a meno che non sussistano delle particolari anomalie nelle vie di conduzione, come la cosiddetta sindrome WPW, che provoca una desincronizzazione elettrica del ventricolo.
Comunque, va detto, che la morte cardiaca improvvisa da sport è evento infrequente rispetto al numero degli sportivi e tra i fattori scatenanti il più importante è rappresentato dall’ischemia, cioè il mancato afflusso di sangue in una zona del muscolo cardiaco.
In un certo numero di soggetti, l’ischemia può manifestarsi in assenza del tipico dolore al petto (angina pectoris).
Negli sportivi, questo fenomeno, chiamato ischemia miocardica silente, è stato messo in relazione ad una diminuita percezione del dolore (o ad una soglia dolorosa più alta) dovuta ad un livello più elevato di endorfine, sostanze simili alla morfina che vengono prodotte in maggior misura durante l’esercizio fisico. In questi soggetti sintomi come “fiato corto” “malessere da sforzo” non vanno sottovalutati. Un ruolo importante può essere giocato da eventuali squilibri ionici e/o metabolici es. la disidratazione, un calo della concentrazione nel sangue di magnesio o di potassio o della glicemia (maratona, partita di calcio in un ambiente torrido).
Lo stress psichico è da tempo riconosciuto un elemento chiave nel determinare la morte improvvisa in generale e anche della MIS (prevalenza di eventi fatali nelle competizioni ufficiali rispetto agli allenamenti), notevole è quindi importanza del sistema nervoso autonomo cardiaco. La fase di recupero dopo una competizione sportiva è molto delicata ai fini della possibile insorgenza di aritmie, specie quando lo sforzo si riduce bruscamente e la frequenza cardiaca si riduce molto più velocemente è possibile l’insorgenza di aritmie marcate e sincope. Rispetto al soggetto sedentario nel soggetto allenato si ha una riduzione del tono simpatico a riposo con ipervagotonia e a parità di intensità dello sforzo, un minore aumento del tono simpatico. Questo “adattamento” esercita un effetto protettivo”.
In definitiva, ci dice la scienza, la MIS è un evento raro legato nella maggioranza dei casi a malattie cardiache a decorso silente, che minano alla stabilità del cuore e che, in presenza di uno o più fattori scatenanti, sono in grado di provocare un’aritmia mortale. Tali malattie sono di difficile diagnosi ed inoltre “disperse” in un gran numero di soggetti sani che praticano attività sportive agonistiche e non agonistiche.

Carlo Di Stanislao

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