Protesi: nuove ‘frontiere’ della tecnologia, una mirror box cura l’arto fantasma

Vedere Massimo alzarsi  in piedi e cominciare a camminare, è davvero un vero stupore. Pazienti, medici, tecnici e operatori del Centro protesi Inail di Vigorso di Budrio (Bologna) condividono l’emozione, perché lo spettacolo è di quelli a cui non si assiste tutti i giorni. Uno stupore descritto dall’inchiesta del secondo numero della rivista Superabile Magazine. […]

Vedere Massimo alzarsi  in piedi e cominciare a camminare, è davvero un vero stupore. Pazienti, medici, tecnici e operatori del Centro protesi Inail di Vigorso di Budrio (Bologna) condividono l’emozione, perché lo spettacolo è di quelli a cui non si assiste tutti i giorni. Uno stupore descritto dall’inchiesta del secondo numero della rivista Superabile Magazine. Massimo cammina grazie a un esoscheletro, costruito in Israele e dall’ottobre scorso in sperimentazione al Centro di Vigorso. “Le gambe di Robocop”, commenta uno dei pazienti, e del resto ogni passo è accompagnato da un ronzio decisamente robotico. L’esoscheletro si chiama Re-walk, cioè Ri-cammina, ma è solo una delle tante novità attualmente in sperimentazione a Budrio. Dall’esoscheletro alle nuove protesi di mano poliarticolate, fino ai nuovi adattamenti per la guida, tutte le tecnologie hanno un elemento in comune: il ruolo dei pazienti, che si trovano “alla pari” con i medici e i tecnici, un po’ come i collaudatori e i piloti di Formula Uno che danno indicazioni ai meccanici e agli ingegneri ai box. Per usare l’esoscheletro, ad esempio, “serve un paziente allenato all’uso delle stampelle”, spiega il dottor Franco Molteni, direttore dell’Unità di medicina riabilitativa dell’Ospedale Valduce di Como, che da alcuni mesi sperimenta Re-walk. “Ci vuole un buon controllo del tronco: il segreto è usare molto le spalle e il gomito”.

Sempre nel campo delle nuove tecnologie, sono tre le mani poliarticolate attualmente “in prova”. “La mano umana ha 21 gradi di libertà, la mano mioelettrica tradizionale ne ha solo uno: consente cioè di effettuare una specie di presa a pinza – spiega l’ingegner Emanuele Gruppioni, ricercatore del Centro –. La sfida, con le mani poliarticolate, è aumentare i gradi di libertà accrescendo il numero di motori presenti all’interno della protesi”. Il modello più innovativo si chiama iLimb ed è di produzione tedesca. “Per ora è stata applicata in due casi, con ottimi risultati – continua Gruppioni –. Questa mano consente quattro tipi di prese: di precisione, laterale, sferica, cilindrica, oltre a una serie di funzioni automatiche che consentono al paziente di muovere le dita in determinate posizioni”. Con le mani poliarticolate, il paziente può non solo prendere oggetti più o meno piccoli, ma svolgere anche alcune attività, ad esempio aprire una confezione di yogurt e mangiarla. Anche qui però è fondamentale l’allenamento, e le indicazioni dei pazienti che testano le nuove protesi sono preziose. In altri casi, i tecnici di Vigorso hanno progettato dispositivi “su misura” per i pazienti. È il caso della protesi di arto superiore, che comprende anche l’articolazione della spalla. “Non ci sono protesi di questo tipo sul mercato – spiega l’ingegner Enrico Boccafogli –, perché per le aziende non ci sarebbe un ritorno economico. Quella realizzata a Vigorso di Budrio è probabilmente una delle poche in tutto il mondo”.

Qualcosa del genere avviene anche nel reparto ausili del Centro, dove i tecnici Inail stanno fornendo a un paziente tetraplegico un “integra-mouse”: si tratta di un dispositivo che consente al paziente di comandare un computer con le labbra, soffiando invece di cliccare. Ma non basta: al computer è collegato un braccio robot in grado di raccogliere oggetti. Per il momento si può installare su una scrivania, ma si sta lavorando per applicarlo alla sedia a ruote. “Stiamo facendo importanti passi avanti nelle interfacce di comando”, spiega l’ingegner Massimo Improta, capo reparto ausili del Centro protesi. Si studiano sistemi di rilevamento ottico o a infrarossi, ma anche interfacce azionabili con la testa o con un piede. Nell’officina di Vigorso si sta sperimentando inoltre la guida tramite joystick, che permette ai pazienti di guidare rimanendo sulla sedia a ruote. Due veicoli sono stati adattati per permettere l’ingresso della sedia a ruote direttamente dal retro: una volta posizionato, il guidatore può utilizzare il joystick per comandare l’auto. Un primo sistema prevede l’utilizzo del joystick solo per girare le ruote e una serie di comandi vocali per tutto il resto, ma “stiamo sperimentando un joystick a quattro vie – continua Improta –: in avanti si accelera, indietro si frena, a destra e a sinistra si girano le ruote”. I progetti per il futuro sono però ancora più ambiziosi: lo stesso sistema, modificato, potrebbe infatti essere utilizzato per guidare con il mento. Anche sul versante dell’automobilità, infine, ci sono soluzioni realizzate appositamente per i pazienti di Vigorso. Come il trattore adattato per essere guidato da chi è in sedia a ruote. “Ce l’ha chiesto un nostro paziente – conclude Improta – che voleva sorvegliare i lavoratori assunti nel suo campo”.
Una scatola ricoperta di specchi, una “mirror box”, potrebbe curare la sindrome dell’arto fantasma in tutti quei pazienti che hanno subito un’amputazione. La terapia è allo studio presso il Centro protesi Inail di Vigorso di Budrio su 24 pazienti amputati di arto inferiore. Secondo gli esperti, nell’80% dei casi i pazienti riferiscono una sensazione di arto fantasma che sembra aver origine dalla parte del corpo amputata. Di solito il “fantasma” sparisce nel giro di poco, ma in alcuni casi la sensazione può prolungarsi per anni ed essere accompagnata da dolore (punture, scosse elettriche, formicolii, bruciori o crampi). Trattata con diverse terapie (dai farmaci all’ipnosi), la sindrome dell’arto fantasma potrebbe trovare una risposta nei neuroni specchio, quelli che si attivano durante l’esecuzione o l’osservazione di un gesto. Sfruttando questi neuroni si potrebbe riuscire a rimuovere il dolore causato dall’arto fantasma: è questa l’ipotesi alla base della mirror box therapy, come spiega il dottor Amedeo Amoresano, fisiatra del Centro: “Posizionando l’arto sano davanti alla mirror box si crea nel cervello l’illusione di avere ancora entrambi gli arti: questo provocherebbe una sorta di corto circuito cognitivo, cancellando il fantasma”. Sui 24 iniziali, solo 12 pazienti hanno affrontato un numero sufficiente di sedute (due hanno interrotto, dicendosi spaventati dall’illusione creata dalla mirror box). I risultati però sono positivi: tutti e 12 i pazienti parlano di un miglioramento del dolore fantasma, e con esso della qualità del sonno e della gioia di vivere. Ora al Centro protesi le sedute con la mirror box sono state interrotte e la sperimentazione si sta concentrando nelle valutazioni di follow up. Ma i risultati, per il momento, sono senza dubbio incorraggianti.

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