Follie

Follie diverse attraversano il nostro universo. Follie disperate come i suicidi per “insolvenza” e per mancanza di prospettive e denaro o più distruttive come quelle degli attentanti ad Equitalia e alla Agenzia delle Entrate, per protestare contro tasse inique ed ormai strangolanti. Follie che inducono pietà e che destano inquietudine, come quella del cinquantenne che […]

Follie diverse attraversano il nostro universo. Follie disperate come i suicidi per “insolvenza” e per mancanza di prospettive e denaro o più distruttive come quelle degli attentanti ad Equitalia e alla Agenzia delle Entrate, per protestare contro tasse inique ed ormai strangolanti.

Follie che inducono pietà e che destano inquietudine, come quella del cinquantenne che ieri, per sei lunghissime ore, con un fucile a pompa e due pistole, ha tenuto in ostaggio i dipendenti (prima 15, poi solo uno, tanto scioccato che alla fine è stato ricoverato in ospedale),dell’Agenzia delle entrate di un paesone della bassa bergamasca, perché voleva parlare con Monti e dirgli che “ci sono troppe cose che non vanno in questo Paese”.

Ed è pura follia, belluina ma anche pietevole, quella di Massimo Ciarelli, un ragazzone di 29 anni, componente di una famiglia molto nota in città per attività illecite, cresciuto nel culto unico della violenza e della sopraffazione, che ha sparato a Domenico Rigante, ultras del Pescara, che si era accovacciato sotto al tavolo della cucina, nell’estremo tentativo di salvarsi la vita.

Ciarelli, lunedì sera, aveva avuto un alterco con Antonio Rigante, fratello di Domenico, in corso Manthonè, a due passi dalla casa di D’ Annunzio. Antonio aveva apostrofato l’ altro: “Tu hai fatto arrestare un amico mio” e l’altro lo aveva minacciato con una pistola a tamburo, gridando: “Ti ammazzo”. Ma poi si era allontanato e sembrava finita” .

Mertedì sera Antonio e Domenico (anche loro con precedenti), erano andati a casa di un amico, in via Polacchi, a seguire Napoli-Palermo in tv. Qualcuno li ha avvisati: “Arrivano gli zingari”. Antonio ha provato a scappare, ma quelli – in 6 o 7 – erano già sul posto.

E’ un rom Massimo Ciarelli, ora in fuga, già arrestato alla fine del 2005, per una sparatoria avvenuta in via Mincio, a Montesilvano, per via di una bambina contesa tra due famiglie nomadi.

Lungo la storia che li accompagna, i rom sono sempre stati accompagnati da una diffidenza che nasce con il loro primo apparire, nel Medioevo europeo: il nomadismo come maledizione di Dio; la pratica di mestieri quali forgiatori di metalli, considerati nella superstizione popolare riconducibili alla magia; le arti divinatorie identificabili come aspetto stregonesco.

I rom sono, nell’immaginario collettivo, ladri ed assassini e non cambia l’idea dominante se si cerca, dati alla mano, di dimostrare che non è affatto così.

Oggi tutti i paesi europei adottarono bandi di espulsione nei loro confronti e, dal 2 maggio, non si vede un solo rom in giro per Pescara.

Martedì sera, subito dopo la tragedia, due molotov sono state lanciate davanti casa Ciarelli e la paura che i Rangers scatenino una rappresaglia ancor più cruenta è ancora fortissima.

Mercoledì il prefetto Vincenzo D’ Antonio ha convocato un vertice: dalle Marche sono arrivati di rinforzo altri nuclei di polizia per sorvegliare il territorio.

E’ stato la vittima stessa, prima di spirare, a dire chi gli aveva sparato, probabilmente scambiandolo per il gemello, da cui si distingueva solo per un piercing sul labbro.

Domenico lascia una figlia di 4 mesi ed uno strazio profondo nella famiglia e nella sua città, una città attonita e spaventata, come lo sono la più parte delle città di oggi.

Città in cui la follia è latente, infiltrata, nascosta fra le pieghe di una vita caotica e normale, pronta ad esplodere con la più assurda ferocia.

Città in cui ciascuno è murato in un urlo senza suono, come quello replicato quattro volte da Munch, realizzate tutte nel 1895 e di cui l’unica copia in mano a privati è stata venduta ieri a New York , per 119,9 milioni di dollari (91 milioni di euro), segnando il primato mondiale dell’opera mai aggiudicata nel corso di una vendita al miglior offerente.

Universalmente riconosciuto come la seconda opera più famosa nella storia dell’arte dopo la Monna Lisa, l’Urlo è l’emblema di questa follia che aleggia, chiusa nell’ombra sinistra di una società insensata e pronta a colpire chiunque e dovunque.

Siamo noi, tutti noi, ad essere il personaggio della scena, mentre perde gradualmente i contorni della sua personalità, amalgamandosi al paesaggio anch’esso in tumulto.

Sullo sfondo, si vedono gli amici che si allontanano, incuranti di quanto sta avvenendo nella mente e nel profondo del proprio compagno.

Il senso di smarrimento è nei colori accesi, nelle linee diagonali che provocano un senso di tensione, inquietudine e agitazione.

L’indifferenza, la paura, la sofferenza racchiuse di una umanità che ha perso ogni caratteristica umana, diventando preda delle sue stesse emozioni, diventando popolo putrido e morente, che rattrista, ma soprattutto sgomenta.

Una società folle e feroce in ogni manifestazione, anche nel diversivo e nel gioco, con ultras genovesi che la fanno da padrone e costringono ad uno spogliarello i loro giocatori o l’episodio di Delio Rossi, che pateticamente, aggredisce un suo giocatore e si giustifica parlando di stress.

Carlo Di Stanislao

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