Donne straniere si sposano prima e fanno più figli

Se non ci fossero le mamme straniere sarebbe un bel guaio. L’Italia diventerebbe sempre più vecchia. In Lombardia oltre i due terzi delle circa 480 mila immigrate presenti hanno almeno un figlio, più spesso due. “Considerata la giovane età vi è da pensare che molte di esse non abbiano affatto terminato la propria ‘carriera riproduttiva’ […]

Se non ci fossero le mamme straniere sarebbe un bel guaio. L’Italia diventerebbe sempre più vecchia. In Lombardia oltre i due terzi delle circa 480 mila immigrate presenti hanno almeno un figlio, più spesso due. “Considerata la giovane età vi è da pensare che molte di esse non abbiano affatto terminato la propria ‘carriera riproduttiva’ – spiega Laura Zanfrini, responsabile del settore Economia e lavoro della Fondazione ISMU-. E tutto ciò a dispetto di condizioni di reddito e abitative che le vedono nettamente penalizzate rispetto alle italiane”.

Secondo i dati diffusi dall’Ismu, alla vigilia della Festa della mamma, le donne straniere si sposano decisamente prima di quelle italiane, e diventano mamme prima e più spesso delle italiane. Inoltre, solo una mamma su quattro si dichiara casalinga; 4 su dieci lavorano in modo regolare (in circa il 30% dei casi a tempo parziale), le altre sono disoccupate od occupate in maniera precaria o irregolare. La quota di mamme attive e occupate aumenta considerevolmente al crescere del livello di istruzione, a riprova di come, al pari di quanto avviene per le mamme italiane, i capitali formativi costituiscono la principale variabile esplicativa dei comportamenti agiti sul mercato del lavoro dalle donne con responsabilità familiari.

Sono meno di tre su dieci le mamme immigrate che, forti del loro titolo di studio di livello universitario, sono riuscite ad affrancarsi da un mestiere manuale e servile. “E, comunque, hanno redditi decisamente modesti, di gran lunga inferiori perfino a quelli dei padri immigrati”, sottolinea Laura Zanfrini.

Le donne immigrate “fanno” le mamme secondo stili e usanze spesso molto diversi da quelli occidentali. “Per esempio, in Europa e nel Nord America, la pratica del “co-sleeping” (il dormire insieme) viene ritenuta anomala, se non addirittura pericolosa per il corretto sviluppo del bambino – racconta Laura Zanfrini-; sebbene fortemente disapprovata nei paesi occidentali, essa costituisce invece la regola nella maggior parte delle culture del mondo: nel continente africano, in quello asiatico, in America Latina così come nel Medio Oriente il bambino non viene mai lasciato solo a dormire, bensì fatto addormentare a stretto contatto con la madre. Orbene, nonostante la sua stigmatizzazione, numerosi studi recenti forniscono molte ragioni per favorire la pratica del co-sleeping che, oltre a rispondere a un bisogno primario del bambino, favorirebbe il suo sviluppo, migliorerebbe la qualità del sonno tanto del bambino quanto della madre, oltre a rendere quest’ultima pronta a rispondere a qualunque necessità, fino a prevenire la sindrome della morte improvvisa nei bambini (la così detta “morte in culla”), praticamente inesistente nelle società che lo praticano. La presenza di tante mamme immigrate può dunque costituire l’occasione di riscoprire il valore per lo sviluppo del bambino di pratiche di parenting abbandonate in ottemperanza ai ritmi convulsi e ai valori della società contemporanea”.

Le mamme immigrate pongono nuovi bisogni e nuove sfide al sistema della conciliazione. Esattamente come avviene per le mamme italiane, la nascita dei figli si traduce spesso in una condizione ostativa per accedere o restare sul mercato del lavoro. Considerando poi i dati relativi alla composizione dei nuclei familiari, si può osservare come l’avere un partner e dei figli è la condizione che più allontana le donne immigrate dal mondo del lavoro (mentre le donne sole con figli mantengono un’elevata partecipazione al mercato del lavoro retribuito), e che più influisce negativamente sui livelli salariali percepiti dalle donne immigrate (esattamente l’opposto di quanto non avvenga per gli uomini immigrati). Sfida ancora assolutamente non risolta per le donne autoctone, la conciliazione tra famiglia e lavoro retribuito resta una chimera soprattutto per le donne immigrate.

Secondo la stima dell’Osservatorio sarebbero 162 mila i figli delle immigrate in Lombardia che vivono all’estero. “Le tecnologie della comunicazione rendono possibile mantenere un contatto quotidiano coi propri figli, e sviluppare forme di “genitorialità a distanza” -aggiunge l’esperta dell’Ismu-. Ma gli interrogativi, prima di tutto di ordine etico, sulle conseguenze di questo mercato internazionale del lavoro di cura, restano tutti aperti; giovi la Festa della Mamma a ricordarcelo”.

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