Emilio Bacio Capuzzo, classe 1926, partigiano ed ex deportato, conobbe sulla propria pelle il peso del regime fascista che non era ancora nato. Nell’agosto del 1938 suo padre era stato convocato dal datore di lavoro per ricevere l’ingiunzione di al partito fascista, pena il licenziamento. Fu così che il padre di Bacio, per giunta sfrattato su due piedi (anche il proprietario di casa era fascista) si spostò da Anguillara Veneta a Nova Milanese con sua moglie e i suoi tre bambini: il più grande di quattro anni e mezzo, il più piccolo – Bacio – ancora nella pancia della mamma (Bacio è il suo “vero” nome, scelto dalla nonna, cui fu aggiunto “Emilio” solo per poterlo battezzare cristianamente: «in chiesa, dato che non c’era san Bacio, non l’hanno accettato e così hanno dovuto aggiungere Emilio»).
Comincia con questo affresco il libro di Fabrizio Cracolici e Laura Tussi dal titolo Un racconto di vita partigiana. Il ventennio fascista e la vicenda del partigiano Emilio Bacio Capuzzo (ed. Mimesis, 2012), che ci conduce per mano nella vita di questo giovane, ben presto combattente per la libertà nei Gruppi di Azione Partigiana, tra gli scioperi del ’43 e la deportazione nel lager di Bolzano. Oggi Presidente dell’Associazione Nazionale dei Partigiani Italiani di Nova Milanese, ne leggiamo la bella storia, breve ma significativa, scandita da una folta cronologia degli eventi del periodo fascista (ivi comprese le stragi nazifasciste degli anni 1943-1945) e dalle testimonianze, fra gli altri, di Moni Ovadia e Renato Sarti.
È proprio Ovadia a ricordare che la Resistenza non è stato soltanto o in primo luogo un evento politico da ricordare nei libri di storia, ma soprattutto un evento sociale che ha trasformato l’umanità e l’ha rifondata dandole “una nuova vita”. L’auspicio è che la Resistenza sia il simbolo vivente ed efficace di una umanità che ama l’inclusione e detesta l’esclusione, che preferisce l’accoglienza alla eterna distinzione fra “noi” e “loro”. Non (solo) qualcosa di passato da celebrare ma di attuale da riproporre ogni giorno, in ogni gesto quotidiano, fino ad «ispirare anche le nostre relazioni con il prossimo, con i migranti che vengono nel nostro Paese, con le minoranze».
Come anche Tussi ricorda nelle Conclusioni, solo la prassi attiva improntata a valori condivisi di solidarietà può farci portare avanti la speranza in un mondo libero e di tutti, ideale per il quale tanti partigiani hanno a lungo lottato. Anche per noi.
Uscito in libreria a cavallo della morte del celebre partigiano Rosario Bentivegna (protagonista a Roma dell’attacco di via Rasella), il libro è edito con il patrocinio, fra i tanti, della Città di Nova Milanese, dell’ANPI, dell’ANED, dell’ARCI, di Emergency e del quotidiano telematico «Peacelink».
Paolo Calabrò
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