Santoro a La 7, la Rai (come sempre) nei guai e noi folla colpevole di non miglioramento

Dopo l’uscita dalla Rai e l’esperienza del network, Santoro torna a lavorare per una tv aziendale, dopo aver ottenuto, attraverso lunghe e laboriose trattative, carta bianca e quella libertà editoriale che ha sempre chiesto. Lo ha annunciato durante il Tg delle 20, Enrico Mentana che, ieri sera, ha detto: “”Servizio pubblico” andrà in onda sulla […]

Dopo l’uscita dalla Rai e l’esperienza del network, Santoro torna a lavorare per una tv aziendale, dopo aver ottenuto, attraverso lunghe e laboriose trattative, carta bianca e quella libertà editoriale che ha sempre chiesto.
Lo ha annunciato durante il Tg delle 20, Enrico Mentana che, ieri sera, ha detto: “”Servizio pubblico” andrà in onda sulla nostra rete” e precisato che tutti i nodi sono stati sciolti ed il contratto firmato.
Leggiamo stamani che, alla vigilia della presentazione dei palinsesti di La7, prevista stasera a Milano, Santoro sarà il protagonista assoluto.
Traslocherà alternandosi, in periodi diversi, con “Piazza pulita” di Corrado Formigli (suo ex-collaboratore) ed insieme al suo gruppo di sempre (Sandro Ruotolo, Marco Travaglio, Vauro), garantito da un contratto blindato, lavorerà con ampia libertà di manovra.
Le trattative fra La 7 e Santoro si sono avviate già dalla primavera, con vari incontri fra l’ad Stella ed il giornalista e Mentana che, da dietro le quinte, premeva perché si giungesse ad un accordo.
Ed anche Anche Gad Lerner, altro pezzo importante dell’informazione di La7 con “L’infedele”, brinda all’arrivo di Santoro: “È lo sbocco naturale che avviene con un anno di ritardo” commenta ed aggiunge: “quando molti pensano di spegnere la rete, si manifesta con evidenza che ha un ruolo necessario e centrale per l’informazione. La7 è ancora il luogo della sperimentazione, sono qui dal principio e per me è una soddisfazione. Il passaggio di Santoro stride ancora in più guardando quello che succede in Rai”.
Intanto, come scrive argutamente Repubblica, Mario Monti assiste, ma senza rassegnarsi, alle lotte che si consumano intorno al rinnovo del consiglio di amministrazione Rai e al caos provocato dal Pdl.
È toccato al sottosegretario Antonio Catricalà consultare ieri i leader della maggioranza per conoscere le loro intenzioni in vista del voto di oggi in Vigilanza.
Facendo capire che un’altra giornata di passione non sarà tollerata e facendo circolare la frase: “Il progetto per il commissariamento della Rai è sempre qui, nel mio cassetto”.
Ora ci sono tutte le condizioni per nominare un commissario annullando così qualsiasi controllo dei partiti su Viale Mazzini. “Ci hanno garantito che oggi non ci saranno sorprese, che i membri del Cda saranno votati”, dicono a Palazzo Chigi. Ma visti i precedenti, le votazioni andate a vuoto, la lunga attesa dei manager nominati dall’esecutivo, l’arma finale resta a portata di mano.
La Rai è piena di problemi, anche di natura economica. Il calo della pubblicità (meno 100 milioni) impone una manovra finanziaria di almeno 40 milioni.
Paolo Garimberti, presidente uscente, ha già fatto sapere al governo e informalmente al Quirinale che l’attuale Cda è in carica per l’ordinaria amministrazione.
Ma non vuole e non può affrontare misure di emergenza come quelle richieste dai conti in rosso. Senza correzioni però la Rai affonda. E allora?
Secondo molti solo un commissario è in grado di salvarla, nel caso di nuovi incidenti.
I conti già verificati e controllati numero per numero da Tarantola e Gubitosi nelle loro riunioni informali, descrivono un’azienda che vive una situazione simile a quella di Alitalia.
Monti va anche oltre nei suoi colloqui di queste ore: non disinnescherà la minaccia del commissario neanche dopo l’elezione dei sette consiglieri. Perché la vera prova deve ancora arrivare.
La prossima settimana, se tutto va liscio oggi, la commissione di Vigilanza sarà chiamata ad eleggere la presidente Tarantola. Sono necessari i due terzi dei voti.
Di fronte alla manager indicata dal governo diventeranno inaccettabili una lunga serie di convocazioni o peggio ancora schede col nome storpiato.
Monti ha già fatto capire di possedere la determinazione necessaria per infischiarsene della politica.
La nomina “irrituale” del presidente Anna Maria Tarantola e del direttore generale Luigi Gubitosi, è stata vissuta dai partiti, dal centrodestra in particolare, come un commissariamento mascherato.
Intanto, il segretario Pd Bersani, come scrive Il Corriere, dopo una riunione durata sei ore e durante la quale si sono confrontate diverse “anime” (poiché non tutti erano d’accordo con l’idea di consegnare dei nomi e c’era chi avrebbe preferito il sistema delle “rose”), ci informa che, la giornalista Benedetta Tobagi e l’ex magistrato Gherardo Colombo sono i due nomi proposti per il prossimo Consiglio di amministrazione Rai, dalle quattro rappresentanze della società civile (Libera, Comitato per la libertà e il diritto d’informazione, Libertà e Giustizia, Se non ora quando) chiamate in causa dal segretario Pd.
In un comunicato le quattro associazioni spiegano di “aver deciso di dare un segno inequivocabile di forte discontinuità col passato indicando una donna e un uomo impegnati da lungo tempo in percorsi di partecipazione democratica, di difesa e attuazione della Costituzione, di legalità e giustizia”.
Sarà anche così, ma non si “discontinua” con le caotiche lotte ed infiltrazioni in ambito Rai, neanche quando la corazzata fa acqua e rischia l’affondamento.
Oggi è morto, in North Caroline, dove era nato 82 anni fa, l’attore Andy Griffith, il celebre avvocato Benjamin Matlock del piccolo scherma, capace, ogni volta, di far confessare il vero colpevole.
Ebbene ci vorrebbe uno così, in Rai, per far confessare i veri colpevoli di un disservizio che perde colpi, soldi, pezzi e spettatori, incrementando il canone.
Griffith, nel 1957, aveva recitato nel bel film di Elia Kazan “Un volto nella folla”: una metafora di ciò che mediaticamente la fama ed il successo possono dare.
Un individuo dona ad un altro individuo un pò di potere, quest’ultimo riceve e accetta il potere.
A questo potere ci viene dato un nome “Lonesome”, egli riceve e accetta il nome.
Il nome diventa verbo della folla, egli riceve e accetta la folla. La folla acclama, obbedisce e dona potere a Lonesome, egli riceve e accetta la folla, l’acclamazione e l’obbiedienza.
Egli fallisce, la folla lo lascia, e Lonesome dopo aver sceso dal 40° piano al piano terra, diventa lonesome (solitario) e l’opera si chiude.
La folla da ed la folla toglie, esattamente come Dio fa con la vita degli uomini (secondo i cattolici). Questo è il principio ed il verbo della fama e del potere, nella politica, nella pubblicità, nei media, ed in qualsiasi classe sociale. Se hai pubblico hai tutto, se non hai pubblico non hai nulla, se non sai farti amare, rispettare, elogiare e acclamare, non vai in alto; se non sei opportunista, cinico, doppiogiochista, egoista, ma anche eccentrico, poliedrico, un pò folle e geniale, simpatico e profeta, e se sei tutto questo senza far sapere a nessuno chi o cosa sei realmente, allora sarai qualcuno.
Un film amaro (come è simile ed amaro “Reality” di Garrone, premiato a Cannes), ma che ci invita a riflettere, come componenti della folla, ad essere più critici e migliori, sia quando giudichiamo sia quanto ci costruiamo idoli e vittime.
Gustav Le Bon (1841-1931), fu il primo psicologo a studiare scientificamente il comportamento delle folle, cercando di identificarne i caratteri peculiari e proponendo tecniche adatte per guidarle e controllarle.
Per questa ragione le sue opere vennero lette e attentamente studiate dai dittatori totalitari del novecento, i quali basarono il proprio potere sulla capacità di controllare e manipolare le masse.
Il moderno dittatore, sostiene Le Bon, deve saper cogliere i desideri e le aspirazioni segrete della folla e proporsi come l’incarnazione di tali desideri e come colui che è capace di realizzare tali aspirazioni. Anche in questo caso l’illusione risulta essere più importante della realtà, perché ciò che conta non è portare a compimento tali improbabili sogni quanto far credere alla folla di esserne capace.
E, ancora, circa l’ignoranza (colpevole) delle folle, proprio Le Bon scrive: “Per comprendere le idee, le credenze che oggi germinano nelle folle, per fiorire domani, bisogna sapere come è stato preparato il terreno. L’insegnamento dato alla gioventù d’un paese, permette di prevedere un po’ il destino di quel paese. L’educazione della generazione d’oggi giustifica le più tristi previsioni. L’anima delle folle, in parte, si migliora o si altera con l’istruzione. E’ dunque necessario far vedere come l’ha foggiata (l'”imbonitore di turno”) e come la massa degli indifferenti e dei neutrali é diventata progressivamente un immenso esercito di malcontenti, (“pericolosamente”) pronto a seguire tutte le suggestioni degli utopisti e dei retori. La scuola, oggi, forma dei malcontenti e degli anarchici e prepara, per i popoli latini, dei periodi di decadenza”.
E noi possiamo aggiungere, che molti ne forma certa televisione, anche di Stato che è certamente colpevole, ma non più di chi si lascia formare e manipolare.
Ricordiamoci: c’è un telecomando, per cambiare e, nel caso, anche spegnere.
Raccomanderei, a chi fosse incredulo, di guardarsi La scomparsa di Patò” del regista Rocco Mortelliti, originario di Ceprano, che il 29 giugno ha aperto il ricco programma all’Italian Contemporary Film Festival di Toronto, conclusosi dopo altre 15 proiezioni il 1° luglio.
Nel film (e negli altri) un tema ricorrente: siamo affetti da isteria di proiezione e, non migliorando, speriamo che lo facciano gli altri; anzi, lo pretendiamo.

Carlo Di Stanislao

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