Quale idea di citta’?

L’incontro del 23 luglio all’Aquila tra Policentrica e gli urbanisti e tecnici della ricostruzione (Perrotti, Iacovone, Properzi, Conti e P. De Amicis) ha messo in evidenza alcuni aspetti che meritano di essere sottoposti ad una seria riflessione. Sembra innanzitutto scontata la totale inadeguatezza degli strumenti di programmazione finora elaborati (piani strutturali, piani strategici, progetti OCSE) […]

L’incontro del 23 luglio all’Aquila tra Policentrica e gli urbanisti e tecnici della ricostruzione (Perrotti, Iacovone, Properzi, Conti e P. De Amicis) ha messo in evidenza alcuni aspetti che meritano di essere sottoposti ad una seria riflessione. Sembra innanzitutto scontata la totale inadeguatezza degli strumenti di programmazione finora elaborati (piani strutturali, piani strategici, progetti OCSE) in quanto mancanti sia di copertura finanziaria sia del potere cogente proprio delle norme statali. I professionisti intervenuti concordano nel ritenere la sospensione degli strumenti ordinari responsabile del caos attuale e di tante operazioni speculative.
Certe programmazioni di ampia prospettiva, che sono dense di indicazioni di fondo ma che difettano spesso di una conoscenza condivisa dello stato del territorio, non si addicono comunque al livello strettamente comunale, ed hanno inoltre il limite di non basarsi sulle reali ed immediate esigenze residenziali ed economiche degli abitanti. E’ stato notato in proposito che l’edilizia non può seguire i tempi lunghi della pianificazione urbanistica e che i cittadini rischiano di disinteressarsi dei beni pubblici se si allunga troppo l’attesa della soluzione dei propri problemi privati.
Il parere dei tecnici è dunque quello di abbandonare l’ottica delle filiere esterne e della straordinarietà ribadita dal decreto-Barca e di tornare ad operare con gli strumenti ordinari, e cioè apportando varianti di salvaguardia sui vincoli e varianti di assestamento al PRG vigente.
La soluzione andrebbe vista in una ripianificazione che modifichi e renda più funzionale la pianificazione già esistente, combattendo la dispersione e potenziando la progettazione dell’armatura urbana, cioè della struttura complessiva che include anche il paesaggio agrario e il verde pubblico.
Viene però osservato che una ricostruzione basata sulla normativa esistente dev’essere ricondotta all’interno di una visione unitaria d’insieme (almeno al livello di cratere) che sembra finora mancare, anche per la tendenza di molte amministrazioni ad elaborare tanti piccoli piani scollegati fra loro; atteggiamento questo che contrasta peraltro con l’attuale tendenza a creare aggregazioni intercomunali e servizi di tipo comprensoriale.
Di qui il richiamo a una co-pianificazione trasparente e partecipata, che veda il coinvolgimento preventivo di tutti gli enti locali interessati, che metta a sistema i piani regolatori dei vari Comuni, che sfrutti le schede elaborate per progetti già esistenti e che abbia una copertura finanziaria sufficiente a renderla operativa.
Relativamente all’Aquila, sembra tuttavia mancare anche nei nostri tecnici una chiara idea di città, che da una parte si riconosce policentrica nei fatti, dall’altra si giudica troppo piccola per strutturarsi in più poli di attrazione. Lo stesso decreto-Barca, ignorando il destino delle periferie e dei centri minori, sembra contrastare l’idea stessa di città-territorio. Se si fosse concessa maggiore attenzione alla ricostruzione e riqualificazione delle periferie, forse saremmo già avanti nella definizione di una nuova forma urbana.

Antonella Marrocchi

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