Con tanto di inchino

Non ha deluso la creatività di David Boyle, che ha ideato sequenze memorabili e divertenti nella lunga (quasi quattro ore) cerimonia di apertura della XXX edizione dei Giochi Olimpici, come quella, che rimarrà indimenticata, della regina Elisabetta in missione olimpica con Daniel Graig-James Bond, mentre Mr.Bean combina una serie infinita di guai. Humour inglese ed […]

Non ha deluso la creatività di David Boyle, che ha ideato sequenze memorabili e divertenti nella lunga (quasi quattro ore) cerimonia di apertura della XXX edizione dei Giochi Olimpici, come quella, che rimarrà indimenticata, della regina Elisabetta in missione olimpica con Daniel Graig-James Bond, mentre Mr.Bean combina una serie infinita di guai.
Humour inglese ed effetti speciali griffati e mozzafiato, ma con spazio anche al lutto di Israele, con commosso omaggio alle vittime di Monaco ’72 e un gran finale tutto a sorpresa: nessun nome roboante, ma sette giovani tedofori che accendono la fiamma olimpica, in un tripode composta da rose che si innalzano verso il cielo.
E’ stato il primo ‘re’ inglese del Tour de France, il 32enne Wiggins, a dare ufficialmente inizio allo show suonando un rintocco dell’enorme campana armonica, la piu’ grande del mondo, piazzata all’interno dell’Olympic Park, in una serata gradevole e priva di poggia, che ha permesso alla cerimonia di svolgersi senza intoppi.
La lettura di un passaggio de ‘La Tempesta’ di Shakespeare da il ‘la’ alle celebrazioni, poi l’effetto speciale: Daniel Craig, nei panni di James Bond, e la Regina Elisabetta, che interpreta se stessa, partono, sullo schermo, per una missione speciale in elicottero, con la strana coppia che si lancia sull’Olimpic Park in paracadute, sulle note della celebre colonna sonora dei film della saga e la regina Elisabetta, sostituita per l’ultima parte del filmato da una controfigura, che fa il suo ingresso sul palco delle autorità.
E prima che lo show diventi musica, per rimarcare i 50 anni di predominanza rock inglese nel mondo, c’è spazio per una celebrazione del Servizio sanitario nazionale, che s’intreccia con i classici della letteratura, come Mary Poppins e Harry Potter (l’autrice Jk Rowling che legge il paragrafo iniziale di Peter Pan) e per la comicità britisch, con Mr.Bean-Rowan Atkinson, che reinterpreta, a modo suo, ‘Momenti di gloria’.
Infine, Boyle, citando il nostro Tornatore e la sequenza finale di “Nuovo cinema Paradiso”, dopo una bella performance di Kenetth Branage (altro orgoglio nazionale), manda un video di baci , che staccano sull’arrivo della fiaccola olimpica a Londra, trasportata sul Tamigi, con un motoscafo policromo e iridescente, guidato da David Beckman.
Ma un’ altra cosa ancora più incredibile ed inattesa, ha ottenuto l’accoppiata Elisabetta II-David Boyle: l’inchino della bandiera USA alla regina, già definito dai più attenti, il punto di svolta possibile della storia olimpica presente e futura.
Come ha scritto l’inviato a Londra del Corriere, non è una cosa da poco, per gli Stati Uniti, dover decidere, in un istante, se dare un colpo mortale alla loro fierezza nazionale o lasciarsi travolgere dall’autorità di una regina ottantaseienne più popolare che mai.
E, alla fine, fra il tirare dritto senza alcun inchino della bionda testa della schermitrice Mariel Zagunis, portabandiera americana e sfregiare così la regina, hanno preferito accennare appena ad un piegamento di testa, al suo indirizzo.
Sì, un lieve inchino. Senza esagerare. Ma la tradizione è rotta ormai per sempre, intrecciandola con la politica, in una nottata di festa e di potere esibito.
“Non ci pieghiamo mai, tanto meno di fronte a un monarca”, dicevano i vecchi puritani del My Flawers con orgoglio, ma ora, ai loro pronipoti, la coppia Elisabetta-Boyle, ricorda che gli Stati Uniti sono la locomotiva e non la testa dell’Occidente e pertanto debbono inchinarsi.
Nel 1976, col suo Filippo, Elisabetta inaugurò i Giochi di Montréal, essendo il Canada membro del Commonwealth e lei, regina, anche capo di Stato della quella Nazione.
Conobbe lì, di persona Muhammad Ali, Cassius Clay, non più atleta olimpico e gli chiese, dimostrandosi informatissima, come stava la sua gamba infortunata.
Ma, in quella occasione, la bandiera americana passò senza piegarsi.
Era accaduto anche nel 1936, a Berlino, quando gli Stati Uniti sfidarono la prepotenza e la violenza dei nazisti ed accadde nel 1948, nella seconda olimpiade londinese, quando lei, giovanissima, era ancora “Lilibeth”, principessa fresca di nozze e a non riceve il tributo USA fu il padre, re Giorgio VI.
Ma già prima gli inglesi avevano sperimentato il rifiuto dell’inchino.
Nel 1908, ancora a Londra, il discobolo Ralph Rose di origini irlandesi, sollecitato dai compagni sensibili al richiamo dell’indipendentismo dublinese dalla corona, aveva tenuto alta la bandiera passando davanti a Edoardo VII.
Una provocazione, per gli inglesi. Un gesto di ribellione contro l’imperialismo di Londra.
A quel Ralph Rose, un amico che gli stava proprio dietro, il poliziotto Matthew McGrath e lanciatore del martello, sibilò: “Non abbassarla o stasera ti ritrovi sul letto di un ospedale”.
Stranamente nel 1912 a Stoccolma, gli Usa cambiarono idea, rendendo felice re Gustavo V. Ma ritornarono sui loro passi ad Anversa e si ricredettero a Parigi.
Ma stavolt, a con la bandiera che si inchina davanti allo stendardo dei Windosor, qualcosa è davvero cambiato, perché non si può sfregiare con una sgarbo la città che dopo la guerra, nel 1948, si caricò la responsabilità di regalare di nuovo al mondo e in tempi difficili le Olimpiadi.
Certo, un inchino appena accennato, lieve, ma pur sempre un inchino.
Elisabetta si è riabbracciata con Michelle Obama che aveva conosciuto due anni fa e poi ospitato con le figlie a Buckingham Palace, stabilendo un feeling mai avuto con nessuna altra first lady.
Un legame speciale il loro che ha certo contribuito, oltre ai buoni uffici di Boyle, a tributare un omaggio che, per storia e tradizione, era davvero dovuto.

Carlo Di Stanislao

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