Paradossi

E’ paradossale leggere che la Regione Sicilia, con buco di liquidità da 400 milioni, ha crediti certificati e non riscossi per 15,7 miliardi e, nell’ultima seduta da governatore di Lombardo, boccia il piano di rientro che pure aveva sottoposto al governo, non licenzia gli esuberi, pari a 2.000 unità ed anzi nomina due nuovi assessori. […]

E’ paradossale leggere che la Regione Sicilia, con buco di liquidità da 400 milioni, ha crediti certificati e non riscossi per 15,7 miliardi e, nell’ultima seduta da governatore di Lombardo, boccia il piano di rientro che pure aveva sottoposto al governo, non licenzia gli esuberi, pari a 2.000 unità ed anzi nomina due nuovi assessori.
Come paradossale è sentire che la Catalogna, da un lato chiede aiuto a Madrid per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici e dall’altro arma il suo parlamento per chiedere maggiore autonomia.
Non meno antinomico l’atteggiamento degli esperti di politica economica, che da una parte affermano che la Bce deve intervenire con decisione e dall’altra reclamano, come unica soluzione per l’Europa, il federalismo, assurdamente sposato con la richiesta di maggiore unità politica fra le Nazioni.
Com’è noto il più antico paradosso è quello di Epimenide, che afferma: “Tutti i cretesi sono bugiardi” e che si regge sul fatto che la negazione dei quantificatori non era ben chiara nella logica degli antichi greci.
Ma adesso, in questo universo paradossale, come giustificare la frase di Monti (che afferma che “stiamo uscendo dal tunnel”), nel giorno in cui l’ISTAT certifica il più alto tasso di disoccupazione dal 1992?
Evidentemente si tratta di sguardi diversi sulle cose, ma non può sfuggire a nessuno che quasi tre milioni di disoccupati (2 milioni 272.000), il 10,7% della popolazione-lavoro, con punte del 34 fra i giovani, sono segnali più che allarmanti e non certo segni di ripresa.
Se la semeiotica, l’arte dei segni, ha un pur minimo valore, la costante crescita di disoccupati e precari non può che assumere valenze negative.
“L’urgenza nell’adozione di un piano straordinario per il lavoro” è sottolineata dal segretario generale aggiunto della Cisl, Giorgio Santini, che continua: “Se non si ridistribuirà il carico fiscale a tutela dei redditi più bassi e delle famiglie e non si attueranno politiche di rilancio degli investimenti davvero necessari per il Paese rischiamo di alimentare una spirale recessiva che avrà nuovi, pesanti effetti sul mercato del lavoro. Occorre invece rilanciare, attraverso la coesione e il dialogo sociale, politiche di sviluppo per il sistema delle imprese oltre che di sostegno alla persona nel mercato del lavoro”.
Gli fa eco il segretario confederale dell’Ugl, Paolo Varesi, che afferma: “Il record storico segnalato oggi dall’Istat testimonia quanto sia diventato drammaticamente difficile, se non impossibile, trovare un’occupazione nel nostro Paese, in cui vi sono sempre meno occupati e sempre più disoccupati e lavoro non stabile”.
E allora diventa paradossale, con una crescita di disoccupati fra maggio e giugno del 2,7% (73 mila unità), sentir parlare di tunnel ormai superati, come anche imputare i ritardi sulla vera ripresa e sul continuo oscillare dello spread (ieri tornato a quota 480), alla rissosità dei partiti e alla mancanza di una legge elettorale.
Certo ci fa piacere che l’asse Roma-Parigi si sia rafforzato, che la Merckel sia stata portata verso uno spirito cooperativo e che, ieri in serata, Monti si sia sentito con Obama che ha confermato “il suo supporto per azioni decisive verso la risoluzione della crisi”.
Ma ci farebbe più piacere sentire che esistono strategia di breve e medio termine, per ridurre disoccupati e sotto-occupati e rilanciare, in generale, lavoro ed economia.
Invece leggiamo Su La Stampa, che nell’agenda del governo, sebbene il prossimo provvedimento di tagli alla spesa dovrebbe arrivare solo alla fine di settembre, più o meno in coincidenza con il passaggio obbligato della legge di Stabilità; vi sia, in caso di necessità e se ad agosto la situazione dei mercati si facesse critica; già pronto quello che si potrebbe definire brutalmente un “piano B: anticipare quei tagli con un nuovo decreto.
Questo perché, sostiene Monti, i tagli sono l’unica garanzia che l’Italia ha per rassicurare i mercati e i partner europei, che vogliono che il Paese prosegua nella lotta agli sprechi, continuando a tagliare una spesa pubblica che resta, comunque, fra le più alte del mondo.
Del resto, questa la tesi del premier, la battaglia diplomatica per ottenere un efficace scudo anti-spread va momentaneamente accantonata.
Almeno inno a quando la Corte costituzionale tedesca non avrà detto la sua sul nuovo fondo salva-Stati permanente, l’Esm ed insistere rischia di essere controproducente.
L’entità minima dei nuovi tagli è quella ipotizzata da ministro Grilli la scorsa settimana: i sei miliardi necessari a scongiurare del tutto l’aumento dell’Iva a luglio del 2013.
Le due grandi voci sotto osservazione sono le agevolazioni fiscali e i cosiddetti aiuti diretti alle imprese. Sulle prime è al lavoro il sottosegretario Ceriani: l’idea è di eliminare gli sconti ingiustificati e le sovrapposizioni, tutto ciò che si tramuta in elusione fiscale. Sul tema Monti ha chiesto anche un parere agli esperti del Fondo monetario internazionale. In tutto il sistema vale 260 miliardi, ma tutto quel che si taglierà si tramuterà di fatto in aumento della pressione fiscale.
Circa le agevolazioni alle imprese la questione è spinosa perché potrebbe deflettere ancor più un settore già in profondissima crisi.
Ciò che mi pare paradossale, è che si continuano a immaginare manovre (attuate e teoriche), quasi a ritmo mensile e, in nove mesi, a parte la riforma delle pensioni, sulla occupazione non si intravede neanche l’ombra di un piano.
Ma l’Italia dei paradossi non finisce qui ed è anche quella che nomina portabandiera alle Olimpiadi Valentina Vezzali, che avrà anche vinto tre ori consecutivi, ma è scivolata, quanto a dignità e stile, a livelli davvero infimi, quando, nell’autunno del 2008, ancora nel pieno della luna di miele tra molti italiani e il terzo governo Berlusconi, a Porta a Porta, se ne uscì con un’incredibile: “Presidente, da lei mi farei toccare”; stupendo calembour che giocava tra il significato specialistico del verbo riferito alla sua disciplina e altri che ognuno può immaginare.
Un esempio di inutile servilismo, un servo-encomio forse ideato dai geniali autori del programma, già celebri organizzatori del “contratto con gli italiani”; ma pur sempre un cattivo, pessimo esempio di sciocca adulazione del potere, (da chi fosse rappresentato non conta affatto): l’esatto opposto dei valori sportivi e di quelli olimpici in particolare, che si è trovata, pochi giorni fa, a rappresentare con in mano il Tricolore.
Ma insomma, noi ci nutriamo di paradossi, di paradossi e di gossip e non aspettiamo altro che un passo falso che ci permetta di dire “io l’avevo detto” e gettare la croce addosso a qualcuno.
In tal senso è paradossale l’atteggiamento che l’Italiano medio ha avuto nei confronti di Federica Pellegrini, che anche se ha battuto record su record in questi anni, adesso si vede infamata per il quinto posto nei 400 e si grida allo scandalo, dicendo che non ha il carattere giusto, che cambia troppo spesso fidanzati e allenatori, che è troppo esposta nella pubblicità ed altre amenità del genere.
E a dirlo, quegli stessi italiani che plaudono come ad eroi, all’indirizzo degli ultras che impediscono il regolare svolgersi di una partita di calcio (Genoa, e ancor prima il derby Lazio Roma), italiani fanatici e paradossali, che, paradossalmente, credono sia meglio tifare e criticare, che essere seri e protagonisti.

Carlo Di Stanislao

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