Una infinita strage non solo cristiana

Continua la strage di cristiani in Nigeria, con scarsa, scarsissima attenzione da parte della stampa, come se il fatto fosse minimo, insignificante o marginale, rispetto alla “azzuffatine” fra partiti sulle esternazioni, proprie od improprie, secondo i diversi punti di vista, di Monti e come se, le dietrologie sul significato di queste sortite, fossero l’unica cosa […]

Continua la strage di cristiani in Nigeria, con scarsa, scarsissima attenzione da parte della stampa, come se il fatto fosse minimo, insignificante o marginale, rispetto alla “azzuffatine” fra partiti sulle esternazioni, proprie od improprie, secondo i diversi punti di vista, di Monti e come se, le dietrologie sul significato di queste sortite, fossero l’unica cosa importante per noi tutti.
Ma nelle stesse ore in cui tutti si chiedono se Monti vuole imprimere un ruolo più politico alla sua leadership, lunedì la violenza anticristiana, a poche settimane dal mancato attentato a un’altra chiesa da parte di un kamikaze, in Nigeria, nello Stato centrale di Kogi, a Okene, nella Deeper Life Bible Church, in un luogo di culto dove i fedeli erano radunati per la consueta lettura della Bibbia, un gruppo armato ha fatto irruzione ed ucciso venti persone.
E sempre lunedì, a Maiduguri, città del Nordest, è stato ucciso un pastore cristiano, seguito fino a casa e poi colpito con armi da fuoco da due uomini che, secondo le autorità, potrebbero appartenere al gruppo Boko Haram.
Come si ricorderà, il mese scorso una bomba è esplosa nei pressi di una chiesa nella stessa città, senza provocare vittime e l’8 luglio, Boko Haram aveva ucciso 22 persone nello Stato di Plateau.
Quella colpita l’altro ieri è una chiesa evangelica situata nel sud del Paese, in un’area ritenuta meno drammaticamente esposta alla intolleranza religiosa di quella dell’altopiano. Non si tratta, tuttavia, di una zona non del tutto libera dal terrorismo.
L’aprile scorso, nei dintorni di Okene, la polizia aveva trovato e distrutto una fabbrica di armi di Boko Haram. Nello scontro erano morti 9 jihadisti.
Sempre nello stato di Kogi, lo scorso febbraio, l’organizzazione terrorista Boko Haram aveva attaccato un carcere, liberando 119 detenuti.
Tuttavia, il Sud nigeriano si era, finora, dimostrato quasi immune dai numerosi attacchi contro fedeli cristiani.
Il massacro di lunedì, segue di soli 3 giorni un vero e proprio ultimatum lanciato da Boko Haram al presidente della Nigeria, Goodluck Jonathan, cristiano. Con un video, mandato online sabato scorso, il leader della setta, Mallam Abubakar Shekau, aveva intimato al capo di Stato di convertirsi all’Islam e lasciare il potere.
Sebbene gli USA abbiano incluso Shekau nella lista nera dei terroristi del Dipartimento di Stato, cosa che comporta il congelamento di tutti i suoi beni eventualmente individuati negli Usa, Washington non ha incluso Boko Haram nel novero delle organizzazioni terroriste.
Cosa che ha sollevato non pochi risentimenti fra i cristiani nigeriani, che si sentono abbandonati. Il governo federale, interrogato in merito dal Congresso, ha risposto in termini sociologici: “Boko Haram cresce a causa dei problemi economici e sociali delle regioni del Nord, che il governo della Nigeria deve trovare il modo di risolvere”, ha dichiarato Johnny Carson, vicesegretario agli Affari Esteri del Dipartimento di Stato.
Nessuna delle maggiori città del nord e del centro (con inizio ora anche a sud) del paese, è stata risparmiata dagli attentati di Boko Haram: dalla capitale Abuja, dove a Natale una bomba in una chiesa ha causato la morte di decine di persone, a Kano, dove il 16 gennaio almeno 185 persone sono morte in una serie di esplosioni contro caserme e uffici del governo e della polizia, da Jos, dove un gruppo di boy scout l’11 marzo è riuscito a impedire a costo della vita che un’autobomba esplodesse nella chiesa di Saint Finbarr, a Maiduguri e Kaduna, teatri dei più recenti attacchi fino all’ultimo di Pasqua.
E sono più di 500 i cristiani che, dal Natale 2011, hanno perso la vita in Nigeria fra sparatorie ed attentati.

La Nigeria è il Paese più popoloso dell’Africa, con circa 140 milioni di abitanti. Con l’attuale trend di crescita (2,6 per cento annuo, il quinto più alto dell’Africa) la sua popolazione raddoppia ogni 19 anni.
Nell’arco del prossimo ventennio i nigeriani arriveranno a 285 milioni, collocando la Nigeria al terzo posto tra i Paesi più densamente popolati al mondo, dopo Cina e India e prima degli Stati Uniti.
Un fatto questo che, già in sé, la dice lunga sul peso che il “gigante-Nigeria” è destinato a giocare non solo in Africa ma nel mondo intero.
Nella sua storia di nazione, indipendente dal 1960, la Nigeria ha conosciuto un susseguirsi di colpi di Stato e dittature militari, oltre all’orribile guerra del Biafra dal 1976 al 1970 che ha provocato circa 2 milioni di morti.
Ma – a differenza del cugino Sudan – non è mai stata messa in discussione l’unità nazionale.
Dopo la morte di Sani Abacha, nel 1998, l’ultimo generale-si sono tenute le prime elezioni (pseudo) democratiche. Dal 1999, la Nigeria sta sperimentando un fragile processo democratico, cominciato con i due mandati di Obasanjo. L’elezione a presidente – nell’aprile 2011 – di Goodluck Jonathan, cristiano del Sud, succeduto a Yar Adua, mussulmano del Nord, morto prematuramente, ha però aggravato le tensioni.

Con circa 2.500 milioni di barili al giorno, la Nigeria è il settimo produttore di greggio al mondo e il quinto nell’ambito dell’Opec, nonché il quinto fornitore di petrolio degli Stati Uniti. Ma il 70 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e l’aspettativa di vita supera di poco i 43 anni. Disuguaglianze all’origine di continui scioperi e scontri. Corruzione e iniqua distribuzione del reddito sono i mali che affliggono il Paese: la Nigeria in testa alle classifiche dei Paesi più corrotti al mondo.
A partire al 2000, le violenze hanno preso anche una connotazione etnico-religiosa, specialmente negli Stati settentrionali della Federazione nigeriana, dove i governi locali hanno introdotto la sharia, la legge coranica. Gli scontri, che hanno opposto cristiani e musulmani in diverse località, hanno provocato circa 14 mila morti.
Il gruppo autore degli attentati contro i cristiani è chiamato Boko Haram., ma i suoi seguaci preferiscono essere identificati con il nome arabo Jamàatu Ahlis Sunna , o semplicemente Yusufia (dal nome del fondatore), che in lingua locale (Hausa) significa “l’istruzione occidentale è peccato”, un imam, il cui nome era Mohammed Yusuf, oratore eccezionale, dotato di un carisma unico e grandi capacità di convinzione.
Venne ucciso nel 2008, dopo essere stato arrestato dalla polizia ed i video della sua fine fu mostrato da Al-Jazeera, innescando ulteriore rabbia fra gli integralisti.
Il movimento Boko Haram, certamente affonda le sue radici in piccole sette definite i “Talebani della Nigeria”, che erano state debellate a fine anni Novanta e inizio Duemila nel nord-est della Nigeria.
Da allora le roccaforti del gruppo si trovano a Maiduguri, capoluogo dello Stato nord-orientale di Borno.
Questi estremisti hanno una strategia chiara, sempre maggiori capacità finanziarie e tecniche, collegamenti internazionali, tra cui al Qaeda.
L’anno che segna la svolta violenta di Boko Haram è il 2009, quando l’esercito nigeriano interviene pesantemente: i carri armati distruggono il posto dove la setta è nata, la moschea di Yusuf, nell’ ambito di un’operazione in cui vengono uccisi 1000 seguaci, imam compreso.
Già nel 2009 diversi nigeriani erano stati spediti in Mauritania e Mali per prendere essere addestrati dagli affiliati ad Aqmi, i gruppi di al Qaeda nel Maghreb islamico.
Da lì la rete si è estesa a Niger, Sudan, Ciad, Somalia e addirittura all’Afghanistan. L’instaurazione e il rafforzamento di legami con gruppi simili dell’Africa e con al Qaeda può rappresentare una minaccia sempre maggiore per la Nigeria: l’islamizzazione di tutto il Paese appare un obiettivo tutto sommato poco realistico, ma di sicuro rappresentano un fattore di rischio per l’affermazione di un regime democratico già precario e per la tenuta stessa dell’integrità territoriale.
In un recente convegno in Etiopia, ad Adis Abeba, della Fondazione per lo sviluppo africano creata da Romano Prodi (si chiama “Africa, 54 paesi, una Unione”) il presidente della Commissione dell’ “Unione africana” (Ua), Jean Ping ha detto: ”Non siamo più il continente perduto. Oggi il linguaggio è cambiato. L’Africa è vista come “nuova frontiera”. Si moltiplicano le richieste di partenariato. Tutti vogliono avere relazioni con noi”.
E’ da contesti simili che la minaccia etnica regressiva che da tempo sta avvenendo in Nigeria da parte di Boko Haram.
Questa minaccia, questo terrorismo contro i cristiani, dicono in molti, sono finanziati dall’Arabia Saudita e da altri Paesi arabi radicali per cercar di fermare un processo di cambiamento del maggior paese africano e dell’Africa intera. Un terrorismo che porta avanti l’islamizzazione dei Paesi dell’Africa sub-Sahariana, soprattutto Nigeria, Niger e Mali.
Ma, questa guerra di religione, viene guardata con sospetto da molti: sembra di averla già sentita, già vista in situazione geografiche simili (per non andare lontano nel tempo, pensiamo alla disintegrazione dello stato iugoslavo della prima metà degli anni ‘90 del secolo scorso e la terribile cruenta guerra etnica che lì c’è stata di popolazione, “etnie”, che vivevano fino ad allora in pace).
In Nigeria non siamo a questo, alla guerra civile di tutti contro tutti; ma è significativo che in momenti di trasformazione sociale importante di aree geografiche che si approcciano autorevolmente al dialogo costruttivo con la comunità internazionale (e la Nigeria se lo potrebbero permettere, lo sviluppo e l’affrancamento del suo popolo, con le ricchezze energetiche che potrebbero ben aiutare); tutto questo sembra impedito da fantomatiche impossibilità di convivenza di persone che, anziché riconoscersi nel valore comune di “popolo nigeriano e africano” che si affaccia autorevolmente alla modernità, è costretto a confrontarsi duramente al suo interno da scontri religiosi.
“Diversità di fede” causa di sanguinosa impossibilità di convivenza, anziché il fatto che, queste diversità, potrebbe essere vissuta come ricchezza: di idee, di prospettive, di speranze per un presente e un futuro di cambiamento positivo.
Quello che sta accadendo in Nigeria ed accade in altri paesi africani (si pensi al Mali), appare l’impedimento voluto, la resistenza, di vecchie gerarchie di potere (economico, sociale) e, forse (è probabile) di apparati economici occidentali propensi a mantenere lo status quo: tra questi apparati economici ci potrebbe proprio essere l’Eni italiano (l’Agip), il nostro ente nazionale idrocarburi, a tutela del nostro pur oneroso pieno di benzina. E allora rischiamo di esserci dentro pure noi nelle guerre civili d’Africa.
E questo va meno bene delle esternazioni di Monti.
Come ricordava Claudio Gorlier, a giugno su La Stampa, il 13 febbraio 1976, a pochi mesi dal suo insediamento, venne assassinato l’ultimo Presidente islamico della Nigeria, Murtala Muhammad. Gli uccisori di Muhammad erano dichiaratamente cristiani, anche se non vennero identificati e perseguiti.
Muhammad, ex militante, veniva dall’islamico Nord, nella cui principale città, Kano, mi capitò una volta di dover rimandare un volo a Lagos perché l’aereo aveva cambiato destinazione, per recare alla Mecca un gruppo di alaji, pellegrini abituali. A Muhammad succedette il suo vice, il cristiano Obasanjo, che riuscì a indire nuove elezioni e a organizzare un governo sostanzialmente democratico. Durò poco, e quando si ritirò gli succedette una serie di dittatori spietati, tutti cristiani yoruba.
Uno di loro, il feroce Abacha, nel 1995 fece processare e giustiziare il mio amico Ken Saro-Wiwa, anglicano ma colpevole di essere lo strenuo difensore degli Ogoni, la popolazione del delta del Niger ridotta alla miseria per lo sfruttamento dei pozzi petroliferi. Saro-Wiwa, uno dei maggiori scrittori africani di lingua inglese, aveva raccolto i suoi brillanti scritti giornalistici in un volume, Similia (“Similia similibus curantur”), in cui i misfatti dei dittatori del suo Paese venivano inesorabilmente denunciati.
In buona sostanza, Saro-Wiwa documentava la corruzione dei governanti nigeriani, letteralmente comprati dalle grandi compagnie petrolifere internazionali. Tra queste figurava anche l’Agip.
lL storia ci insegna che i conflitti che hanno come motivazione superficiale la religione, sono poi quelli più violenti, perché si scatenano istinti brutali dell’uomo che annullano la sua razionalità, come l’intolleranza e il fanatismo.
Quante vittime hanno fatto i crociati in nome di Dio, eppure vi presero parte solo coloro affamati di territori, o perché cadetti senza diritto di eredità di famiglie della nobiltà feudale o perché appartenenti alla nobiltà feudale minore.
Voltaire l definì il periodo della “Guerra dei Trent’anni” un inferno per il vecchio continente, dove si è visto uccidere in nome di un unico Dio, quello cristiano, il medesimo che ha detto attraverso la Bibbia che siamo tutti fratelli, che dobbiamo amare la vita, che chiunque ha salvato una vita è come se abbia salvato il mondo e che chiunque l’abbia distrutta, è come se abbia distrutto il mondo.
Ci dicono Gianluca Guerriero e Monica Ovadia su Le Scienze (numero del maggio scorso), che, in sostanza, le religioni sono la benzina dei conflitti, e fin qui niente di nuovo, dal momento che viviamo in un’epoca che ha purtroppo una certa dimestichezza con le guerre di religione. Bisogna però intendersi bene su che cosa si considera “religione”, spiegano Atran e Ginges (Religious and Sacred Imperatives in Human Conflict Science, 336 (6083), 855-857), che considerano tali anche fenomeni di “sacralizzazione” di valori mondani, come avviene in alcune ideologie che creano, intorno ai propri elementi costitutivi, veri e propri rituali. La stessa nozione di Patria, ovviamente, può essere sacralizzata fino a diventare una “religione”. Solo una minoranza dei conflitti è riconducibile a una matrice religiosa in senso stretto, ricordano gli esperti. Nella maggior parte dei casi la “colpa” è proprio dovuta alla sacralizzazione e ritualizzazione di valori mondani, come è accaduto, per esempio, nella Germania nazista.

Conflitti a sfondo religioso, tra protestanti e cattolici, lacerarono l’Europa tra il 16° e il 17° secolo. Scoppiarono in Germania, in Francia, nei Paesi Bassi e nei paesi dell’Europa nordorientale. La Francia, in particolare, fu lacerata per anni da lotte religiose e l’episodio più clamoroso fu il massacro della notte di San Bartolomeo (23-24 agosto 1572), quando a Parigi vennero uccisi tremila ugonotti (i calvinisti francesi). Le guerre si conclusero con l’ascesa al trono di Enrico IV e la concessione dell’Editto di Nantes che riconobbe parziali libertà di culto agli ugonotti. Nel corso del 17° sec. il conflitto più duraturo fu la guerra dei Trent’anni (1618-48), che coinvolse paesi protestanti e paesi cattolici e fu provocata dal tentativo degli Asburgo di instaurare nel cuore dell’Europa uno Stato cattolico. Con la Pace di Vestfalia (1648) si chiuse il triste periodo delle guerre di religione in Germania: fu sancita l’esistenza di tre confessioni religiose, quella cattolica, quella luterana e quella calvinista, e riconosciuto il diritto dei sudditi di professare una religione diversa da quella dei loro principi.
La religione cerca di rispondere a problemi di cooperazione in grandi gruppi sociali attraverso agenti sovrannaturali che puniscono chi non coopera; utilizza rituali per forgiare stretti legami di gruppo; si occupa della sacralizzazione di questioni mondane minacciate da dispute tra gruppi” affermano Atran e Ginges. “Future ricerche dovranno studiare l’interazione tra questi tre meccanismi. Mentre non vi è un legame necessario tra credenze religiose, valori sacri e guerra, nel corso di conflitti tra gruppi i protagonisti possono trasformare interessi materiali in valori sacri, in seguito consolidati sotto forma di credenze religiose. I valori sacri non sono esclusivi delle religioni: elementi mondani possono essere sacralizzati attraverso rituali che li collegano a valori sacri non religiosi, come la nazione. Nuovi studi potrebbero cercare di capire in che modo le credenze religiose rinforzano i valori sacri, conferendo loro un’origine e un interesse divino. Ciò implica che quando un valore sacro acquisisce un’associazione sovrannaturale, diventa concettualmente ipermeabile alla sfida della ragione, riducendo le possibilità di dissocizione da parte di singoli individui; inoltre cattura l’attenzione, diventa memorabile e ciò lo rende culturalmente contagioso”.
Coloro che vivono e fanno propri valori religiosi dovrebbero quindi essere molto consapevoli degli aspetti perniciosi della sacralizzazione, così come una persona sana deve essere consapevole dei propri fattori di rischio nei confronti dello sviluppo di future malattie, per mettere in atto stili di vita sani e adeguati.
Il rischio (di ieri e di oggi) e’ di non liberarsi da forme esterne chiuse e rigide che fanno chi appartiene a una religione schiavo del suo sistema prestabilito: quelle credenze e istituzioni religiose diventano fini a sé stesse e perdono di vista che sono al servizio dell’uomo.
Dovrebbe essere sulla vita e non sulla religione che si giudicano gli uomini. Questo non significa ovviamente rinunciare alla spiritualità, ma anch’essa dovrebbe liberarsi dal sacro e laicizzarsi per abbandonare dualismi illusori e problematici e riscoprire la radice del nostro essere.
Questa radice può anche includere Dio ma, riconoscendo che non c’e’ alcuna necessità di crederci, lo esclude certamente come fonte di divisione e guerra tra uomini.
Conosco una storia. Sedici secoli fa, nella valle d’Anaunia, ogni paese aveva il suo dio, in particolare Mitra, Ercole, Giove, ecc..
Il vescovo di Trento, Vigilio, irritato perché, dopo la vittoria del Cristianesimo nell’Impero Romano, ci fossero ancora dei pagani nella sua diocesi, inviò tre monaci per convertire la valle.
Dopo una decina di anni i tre monaci avevano convertito un centinaio di persone e, per una causa che non conosco, vennero uccisi in un evento di rabbia popolare.
Il vescovo Vigilio si presentò all’ingresso della valle accompagnato dalle truppe romane, qui incontrò tutti i capi villaggio che, per evitare la vendetta del vescovo, chiesero perdono e si convertirono al cristianesimo anche a nome dei loro sottoposti.
Al vescovo Vigilio erano bastati, con l’aiuto dei soldati, dieci minuti a conseguire un obiettivo che non era riuscito in dieci anni ai tre monaci.
Ci fu un cambiamento gattopardesco, si tolsero gli dei ed al loro posto misero la croce, cambiarono i preti e le cerimonie.
Tutto cambiò, meno certe piccolezze come, per esempio, i ricchi rimasero ricchi ed i poveri rimasero poveri, chi comandava continuò a comandare e chi obbediva continuò ad obbedire.
Da allora la valle non ebbe più bisogno di cambiare religione.

Carlo Di Stanislao

Una risposta a “Una infinita strage non solo cristiana”

  1. Gianni ha detto:

    Molto lungo ma il significato è chiaro (almeno per me): questi terroristi sono manipolati a scopo di lucro da noi europei…

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