Stesso cognome, ma destini diversi

Stesso cognome e stessa categoria:eroe. Solo che uno lo è stato fino in fondo e l’altro solo fino a l’altro ieri. Due Armstrong molto diversi, entrambi americani ed entrambi mitici, ma con destini molto differenti. Il primo, Neil, timido e tranquillo ingegnere dell’Ohio, è stato il primo uomo sulla luna, nel luglio del 1969 ed […]

Stesso cognome e stessa categoria:eroe. Solo che uno lo è stato fino in fondo e l’altro solo fino a l’altro ieri.
Due Armstrong molto diversi, entrambi americani ed entrambi mitici, ma con destini molto differenti.
Il primo, Neil, timido e tranquillo ingegnere dell’Ohio, è stato il primo uomo sulla luna, nel luglio del 1969 ed è morto ieri, ad 82 anni, per complicazioni cardiovascolari, in seguito ad una delicatissima operazione al cuore, subita all’inizio di agosto.
Capo-missione di Apollo 11, spedizione fortemente voluta dal presidente Kennedy e che permise al suo grande nemico e successore Nixon, di tirare uno schiaffo ai sovietici (si era ancora in piena guerra fredda), di distrarre la nazione dal sangue in Vietnam e dall’inflazione che cominciava a silurare l’american dream.
Per questo Neil Armostrong fu celebrato come un vero e proprio eroe americano.
Il secondo Armstrong, il ciclista Lance, anche lui nato da genitori di origine tedesca, vincitore di sette Tour De France, colui che non si è arreso neanche di fronte al cancro, continuando a pedalare, lottare e vincere, ha invece dato forfait venerdì 24 agosto, davanti all’agenzia americana antidoping, che a giugno aveva aperto una procedura formale nei suoi confronti, accusandolo di essersi dopato per anni.
Dopo tale decisione l’agenzia lo ha radiato a vita e lo ha privato tutte le vittorie conquistate, dal 1998 in poi.
“Arriva un momento nella vita di ogni uomo in cui si deve dire: quando è troppo, è troppo. Per me questo momento è ora – ha scritto Armstrong nel comunicato-bandiera bianca -. Ho affrontato le accuse di aver tradito e di aver avuto un vantaggio ingiusto nel vincere i miei sette Tour dal 1999. Negli ultimi tre anni sono stato oggetto di due indagini penali federali in seguito alla caccia alle streghe di Travis Tygart (direttore dell’Usada)”. “Io so chi ha vinto quei sette Tour – ha concluso il campione -. Nessuno può cambiarlo”.
L’Usada aveva aperto una procedura formale nei confronti di Armstrong in giugno: una documentazione di 15 pagine in cui affermava di essere in possesso di prove contro il campione. Fra queste, i prelievi di sangue del 2009 e del 2010 “perfettamente compatibili con manipolazioni sanguigne, incluso l’uso di Epo o di trasfusioni”, si leggeva nella notifica delle accuse mosse ad Armstrong.
L’Usada precisava inoltre di avere “numerosi corridori che testimonieranno in base alla loro conoscenza personale, acquisita guardando Armstrong mentre si dopava” o tramite “ammissioni” dell’ex ciclista.
Parole dure nei confronti di Armstrong sono venute anche dal direttore dell’Agenzia mondiale antidoping, John Fahey, secondo il quale la sua decisione equivale ad “un’ammissione di colpevolezza”.
A difendere il campione si sono alzate voci autorevoli di ex grandi del ciclismo, come Eddie Merckx, che ritiene “assolutamente ingiusto il processo”, ma altri, come Bernard Hinault – vincitore di 5 Tour come il ‘Cannibale’ belga – sottolineano che “la questione andava risolta 10 o 15 anni fa”.
Quanto all’altro Armstrong, il primo ‘moonwalker’ della storia , insieme a Edwin ‘Buzz’ Aldrin e Michael Collins, 43 anni fa emozionò un’intera generazione, con la prima impronta sul suolo lunare e la frase ormai celebre “That’s one small step for [a] man, one giant leap for mankind”, un piccolo passo per un uomo, un balzo da gigante per l’umanità, con milioni di telespettatori che in tutto il mondo seguirono – in bianco e nero – l’evento; forse il primo grande evento mediatico globale della storia del piccolo schermo.
Dopo quell’ impresa, che alcuni detrattori sostengono, m senza prove definitive, truccata con tanto di ricostruzione e regia di Kubrick , ha continuato a insegnare all’università e le sue apparizioni negli anni sono state poche e del tutto sporadiche.
Solo nel 2010 fece parlare di sé per essere per la prima volta intervenuto nel dibattito politico, criticando la politica spaziale dell’amministrazione Obama che, in tempi di crisi economica, aveva secondo lui indebolito il ruolo della Nasa, promuovendo la corsa allo spazio da parte delle compagnie private.
Quattordici anni fa, con il sexgate Clinton-Lewinsky, scoppiato
a metà del gennaio 1998, l’interessato, sulle prime smentì, offeso. Negò anche sotto giuramento. Poi, davanti a prove inoppugnabili e alle testimonianze della stessa ragazza, la storia venne fuori, anche nei particolari più scabrosi. E l’America ciò che non perdonò al suo eroe-presidente, fu la menzogna.
Se un giorno si dovesse scoprire che quanto affermato dall’ormai settantacinquenne William Kaysing, che ha lavorato dal ’57 al ’63 come direttore delle pubblicazioni tecniche per il Rocketdyne Research Department (fornitore delle macchine per il progetto spaziale Apollo) è vero (si legga: http://www.marcostefanelli.com/luna/parte2.htm) e cioè il famoso allunaggio è stato solo un trucco, l’America perderebbe uno dei suoi ultimi eroi, con grande sconquasso per la propria coscienza e la frantumazione della propria autostima.

Carlo Di Stanislao

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