La Perdonanza e il ‘dono’ nel mondo dell’utile

Tra le conseguenze dello stile di vita ispirato alla filosofia dell’utile c’è l’austerità imposta, una forma di moderazione e di ristrettezza indotta dalla società dei consumi, del tutto diversa da una sobrietà liberamente scelta. La via dell’austerità imposta e quella del rilancio dei consumi probabilmente non sono le più adatte per operare un sostanziale cambiamento: […]

Tra le conseguenze dello stile di vita ispirato alla filosofia dell’utile c’è l’austerità imposta, una forma di moderazione e di ristrettezza indotta dalla società dei consumi, del tutto diversa da una sobrietà liberamente scelta. La via dell’austerità imposta e quella del rilancio dei consumi probabilmente non sono le più adatte per operare un sostanziale cambiamento: forse la vera abbondanza va ricercata altrove.
Nel medioevo, tra le degenerazioni più in vista della chiesa romana – che in seguito solleciteranno la Riforma protestante – ci furono la compravendita delle cariche ecclesiastiche, l’assoluzione dei peccati e le indulgenze. Fu in questo contesto che, alla morte di Niccolò V, salì al soglio pontificio Pietro da Morrone, un uomo essenzialmente distante dal fasto della chiesa romana e dai suoi intrecci di potere. Un “uomo di paglia” da manovrare fino a quando i potentati ecclesiastici non avessero trovato i giusti equilibri. Il monaco accettò, ma abdicò nei mesi seguenti, dopo aver emesso la Bolla della Perdonanza: documento che liberando l’istituto dell’indulgenza dallo scadimento a strumento di mercato, gli restituiva la sua naturale sostanza di “dono” cristiano: “per-dono”, appunto! Il gran rifiuto di Celestino si configura così come una rivolta non violenta, che nella decisa rinuncia a guidare una Chiesa opulenta e deviata, ristabilisce il valore della scelta di sobrietà.
A ben guardare, la simonia medioevale e l’utilitarismo moderno, sono caratterizzati da una cifra comune che riporta l’azione umana al calcolo del proprio interesse. Sul versante opposto c’è il “dono”, la più genuina espressione di una società conviviale. “Il dono nel mondo dell’utile” è, infatti, il titolo di un libro postumo di Alfredo Salsano che individua alcune vie di uscita dalla realtà governata dal mercato, dal pensiero dell’homo oeconomicus. Oltre che come sistema filosofico che riconduce ogni azione umana al calcolo dell’utile individuale, l’utilitarismo viene inteso da Salsano anche come motivazione profonda delle dinamiche sociali, per cui ogni azione non rivolta all’utile o all’interesse viene a svuotarsi di senso. In alternativa, il ciclo del dono costituito dal dare, ricevere, contraccambiare non ha come finalità lo scambio economico, ma quello di perpetuare e potenziare il legame sociale, di favorire la conciliazione e di mantenere nel tempo la connessione tra gli attori sociali. Ciò che si ricambia non deve essere equivalente a ciò che è stato donato nella prima occasione. La relazione basata sul dono afferma la sua alterità dalla relazione basata sullo scambio mercantile, proprio in virtù di questa disparità, la quale fa si che i soggetti che si relazionano si trovino in uno stato di reciproco debito continuo. Mentre lo scambio mercantile si basa sull’equivalenza e sull’abolizione del debito, nella prospettiva del dono, beni e servizi assumono un nuovo valore, il valore di legame sociale. Solo se donati essi hanno la capacità di creare e riprodurre relazioni sociali. Il legame da essi generato diviene più importante del bene o del servizio scambiato. Al dono non è unicamente associato il principio della gratuità, ma anche la possibilità di una diversa prassi del negoziare, totalmente nuova e in larga parte antiutilitaria. Vivo nell’eredità spirituale di Celestino, il dono ci si mostra come l’elemento insostituibile per progettare (e per ricostruire) una società conviviale e per tracciare una nuova visione condivisa di città.

Giancarlo De Amicis

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