Stragi diverse

Le stragi sono tutte orribili ma non sono tutte eguali. Cambiano i luoghi, le cause, ma soprattutto cambia il risalto, sulla stampa, nei media e sul web. Oggi è il 193° anniversario dalla nascita di Clara Schuman, la prima pianista a fare, con i suoi concerti, il giro del mondo, una donna che ci ha […]

Le stragi sono tutte orribili ma non sono tutte eguali. Cambiano i luoghi, le cause, ma soprattutto cambia il risalto, sulla stampa, nei media e sul web. Oggi è il 193° anniversario dalla nascita di Clara Schuman, la prima pianista a fare, con i suoi concerti, il giro del mondo, una donna che ci ha dimostrato che mai bisogna arrendersi al dolore, ma che, soprattutto, sono le occasioni che fanno le differenze fra individui e dove nasci può costituire una incolmabile differenza, nella vita e nella morte.

Così, per fare solo un esempio, solo il Manifesto si è occupato della strage di operai tessili in Kazakhstan, massacrati a decine dalla polizia ,secondo un voluminoso dossier di Human Rights (HRW) pubblicato nel dicembre 2011 e inerente anche le violazioni dei diritti dei lavoratori da parte delle aziende petrolifere, tra cui l’Eni.

Il rapporto, frutto di una meticolosa indagine sul campo condotta da diversi ispettori di HRW, mette a fuoco i sistematici comportamenti antisindacali e le continue violazioni dei diritti dei lavoratori da parte delle tre aziende e in particolare della Ersai Caspian controllata dall’ENI, che per molti mesi hanno rifiutato ogni trattativa con i sindacati che avevano presentato le richieste salariali dei lavoratori, giungendo a licenziare selettivamente gli operai sindacalmente più attivi, a minacciarli e in qualche caso anche a farli aggredire fisicamente, provocando così un crescente inasprimento delle tensioni sociali dal quale non poteva non derivare, prima o poi, uno sbocco violento.
Nessun responsabile aziendale, né a livello locale né tanto meno a livello più alto, è stato interpellato, e nessun governo straniero ha ritenuto di dover mettere bocca nella vicenda. In particolare, se non stupisce quello del governo cinese, per quanto ci riguarda stordisce il silenzio assoluto del governo italiano, pur coinvolto direttamente nella vicenda attraverso il ruolo dell’ENI.

E nulla è accaduto dopo quasi due anni dalla pubblicazione del dossier.

Si è invece parlato diffusamente e condannato aspramente su ogni mezzo di informazione, dell’assalto al consolato Usa di Bengasi,  in cui sono morti quattro americani, fra cui l’ambasciatore Christopher Stevens, attacco dovuto alla uscita di  un film definito blasfemo su Maometto e che ora  sta infiammando Nord Africa e Medio Oriente. Una folla di manifestanti ha assaltato l’ambasciata americana a Sanaa, in Yenmen e polizia ha sparato colpi in aria per disperdere la folla.

Scontri sono in corso anche in Egitto: gli agenti hanno disperso con i gas lacrimogeni nella notte una folla che manifestava davanti all’ambasciata Usa al Cairo per protestare contro la pellicola sul Profeta. Il bilancio degli scontri e’ di 13 feriti.

Intanto gli USA, a pochi giorni dalle celebrazioni del loro lutto più grande, l’11 settembre, si sentono di nuovo sotto attacco e due navi da guerra sono già partite alla volta della Libia, come “misura precauzionale”, secondo il portavoce del Pentagono George Little, che senza riferirsi in modo specifico alle navi,  ha parlato di “logiche legate alle circostanze” ma anche misure “improntate a prudenza”.

Intanto, mentre Barack Obama ha chiamato i leader di Egitto e Libia, gli Stati Uniti hanno evacuato gran parte dello staff diplomatico libico in Germania, così come riferiscono funzionari Usa, che  rendendo noto anche che tutte le ambasciate Usa nel mondo sono state allertate,  affinché rivedano tutti i loro servizi di sicurezza.

I maggiori giornali americani commentano la vicenda dicendo che, trascorso l’11 settembre, Barack Obama ha lasciato di nuovo da parte la battaglia elettorale per concentrarsi sull’attacco al consolato americano di Bengasi, che riporta l’America all’incubo di Al Qaeda.

“State tranquilli”, ha detto Obama, “lavoreremo insieme con il governo libico per portare davanti alla giustizia coloro che hanno assassinato la nostra gente”. Quanto a Stevens, ha sottolineato Obama in un messaggio al Paese pronunciato avendo accanto il Segretario di Stato americano, “io e Hillary Clinton puntavamo su di lui per la transizione” nel Paese nordafricano.

I rapporti con Tripoli, però, “non saranno spezzati” e Washington “non farà marcia indietro sull’impegno per la costruzione” della nuova Libia.

Tuttavia è stato lo stesso Obama a mettere in relazione la strage di mercoledì con l’anniversario dell’11 settembre.

“L’11 settembre e’ per noi un giorno importante, e ieri sera, purtroppo, ci e’ giunta notizia di questo attacco”, ha detto all’indomani. Il presidente americano, che ha già inviato in Libia 50 marines e si prepara a mandarne almeno fino a 200 in un prossimo futuro, ha sottolineato che sarà “aumentata la sicurezza della sede diplomatica in Libia e in tutto il mondo”.

E sono in molti ora, nel mondo, a rimpiangere la stabilità creata con il suo regime da Gheddafi. Proprio per questo il governo libico punta il dito contro “nostalgici del vecchio regime” di Muammar Gheddafi. A parlarne e’ stato il sottosegretario del ministero dell’Interno libico per la parte orientale del Paese, Wanis Asharef. In una conferenza stampa ripresa dal sito in lingua araba di United Press International, Asharef, citando una lettera giunta alle autorità libiche, ha indicato l’attacco come ritorsione per l’estradizione dell’ex capo dell’intelligence sotto Muammar Gheddafi, Abdullah Senussi, trasferito a Tripoli all’inizio di settembre dopo essere stato arrestato cinque mesi fa in Mauritania.

 

Il vice-premier libico, Mustafa Abu Shagur, ha bollato l’assalto come “un atto barbarico”, “un attacco all’America, alla Libia e alle persone libere di tutto il mondo”, e il governo egiziano ha tentato tardivamente di separare le responsabilità dell’amministrazione americana da quelle dei produttori, residenti negli Stati Uniti, de “L’innocenza dei musulmani”, il film che ha scatenato tanta rabbia. In un video postato su Youtube e che circola da alcune settimane, il Profeta viene tratteggiato come un pazzo, donnaiolo e impostore; in un passaggio viene anche mostrato mentre fa sesso con una donna.

Il regista, un americano che rivendica origini israeliane, Sam Bacile, immobiliarista in California, adesso si e’ dato alla macchia e fa sapere di essere rimasto “turbato” da quanto accaduto.

Ma da una località sconosciuta, raggiunto telefonicamente, non ammorbidisce le sue posizioni, dichiarando: “L’Islam e’ un cancro”.

Sul New York Times di oggi si riportano le confidenze (volutamente fatte trapelare), di una fonte interna al governo, secondo cui la protesta del Cairo sembra una mobilitazione spontanea contro il video anti-Islam prodotto dagli Usa; mentre le persone che ieri hanno attaccato l’ambasciata a Bengasi,  erano armati con mortai e granate. Questo fatto ed altri elementi suggeriscono che un gruppo organizzato abbia atteso l’opportunità’ delle proteste per attaccare, oppure che forse le abbia addirittura generate per coprire l’attacco.

Di questo stesso parere è l’analisi degli esperti di Quilliam, autorevole think thank britannico, che tira in ballo al Qaeda. L’attacco al consolato Usa a Bengasi, hanno spiegato, e’ stata una “vendetta per l’uccisione di Abu Yaya al-Libi, numero 2 di Al-Qaeda”, ucciso da un drone in Pakistan nel giugno scorso. A Bengasi, ragionano gli analisti, “il lavoro e’ stato fatto da una ventina di miliziani, preparati per un assalto armato”. Si sarebbe trattato di un assalto in due tempi, con un primo attacco che ha costretto il personale del consolato a spostarsi in un luogo sicuro, dove poi sono stati colpiti. Secondo altre fonti, invece, la morte dell’ambasciatore sarebbe avvenuta per soffocamento da fumo mentre il diplomatico tentava di rifugiarsi sul tetto dell’ambasciata in fiamme.

Circa il film che ha infiammato Libia ed Egitto, non è mai stato proiettato nelle sale cinematografiche e solo su  You Tube circolano 14 minuti di presentazione.

The Lede, blog del New York Times, ieri ha cercato di ricostruire la storia di un video misterioso, secondo alcuni siti americani promosso anche dalla diaspora copta e dal reverendo Terry Jones, capo della congregazione cristiana della Florida divenuto tristemente celebre tra il 2010 e il 2011 per aver organizzato il rogo di copie del Corano. I

l trailer è stato ripreso il 5 settembre dal sito web di un egiziano-americano, membro della diaspora copta negli Stati Uniti, noto per le sue posizioni anti-islamiche, Morris Sadek.

Ieri, Morris, indicato tra i finanziatori del video, ha però preso le distanze dal trailer ed espresso dispiacere per la morte dei funzionari americani.

L’uomo, sul suo sito, aveva pubblicizzato le iniziative anti-islamiche di Terry Jones e il reverendo, in una email al New York Times ha annunciato una proiezione del trailer nella sua chiesa.

Ma, sempre ieri, alti ufficiali dell’esercito americano gli avrebbero chiesto di ritirare il suo appoggio al video. Sempre agli inizi di settembre, il trailer ha fatto la sua comparsa sulle televisioni egiziane, sul canale Al Nas nel programma del controverso Sheikh Khaled Abdallah,  che ha criticato i copti per il contenuto del video.

A questo punto, secondo Marco Ventura su Panorama, dopo gli attentati di Bengasi de del Cario, con sullo sfondo la guerra civile in Siria, considerando le agitazioni in Tunisia, Marocco e in altri Paesi islamici, cè poco da essere ottimisti ed è possibile una ripresa di una nuova ondata di integralismo anti-occidentale e di violenze che contageranno e faranno deragliare le “primavere arabe” e i governi islamici moderati appena insediati in Egitto e Nord Africa,  con l’avallo e l’appoggio più o meno esplicito degli Stati Uniti.

La politica del dialogo inaugurata da Obama all’inizio del mandato con il memorabile discorso del Cairo, già resa fragile dal caos che regna in Medio Oriente e dalla minaccia iraniana, rischia di naufragare definitivamente.

E poiché le strategie diplomatiche dell’Occidente, passato dalla stagione delle guerre di Bush-Blair in Iraq e Afghanistan alla politica soft di riconciliazione culturale di Obama, si sono dimostrate entrambe incapaci di arginare la forza di penetrazione e mobilitazione dell’estremismo islamico, si dovrà trovare, al più presto, una nuova direzione, anche se nessuno riesce ad immaginarla.

A questo punto esemplare può ritenersi la visita pastorale di tre giorni che Benedetto XVI compirà da venerdì nel Paese dei cedri,con un annuncio, dopo l’Angelus, in cui si parla di segno di pace e si dichiara la volontà del Vaticano di stendere una mano per lenire le “angoscia dei mediorientali quotidianamente immersi in sofferenze di ogni tipo”, sui profughi e sulle violenze.

Nel testo, redatto in francese e in arabo, fornito ai giornalisti, il Papa ha detto: “Il mio preoccupato pensiero va a coloro che, alla ricerca di uno spazio di pace, abbandonano la loro vita familiare e professionale e sperimentano la precarietà degli esuli. Anche se sembra difficile trovare delle soluzioni ai diversi problemi che toccano la regione, non ci si può rassegnare alla violenza ed all’esasperazione delle tensioni”. Ed ha aggiunto: “l’impegno per un dialogo e per la riconciliazione – deve essere prioritario per tutte le parti coinvolte, e deve essere sostenuto dalla comunità internazionale, sempre più cosciente dell’importanza per tutto il mondo di una pace stabile e durevole nell’intera regione. Il mio viaggio apostolico in Libano, e per estensione nel Medio Oriente nel suo insieme, si colloca sotto il segno della pace, facendo riferimento alle parole del Cristo: “Vi do la mia pace”.

 

Il Corano è la testimonianza delle parole rivelate da Dio attraverso l’ Arcangelo Gabriele al profeta Maometto e in nessuna sua parte si parla di giuste uccisioni e di violenza, ma si incita, invece, alla fratellanza e alla carità.

Come gli Ebrei e i Cristiani, i Musulmani credono che la vita presente sia solo una prova in attesa della vita dopo la morte e Maometto  riteneva che tre cose possono continuare ad aiutare una persona, anche dopo la morte: la carità che aveva profuso, la conoscenza che aveva trasmesso e le preghiere dette per loro da parte di un figlio giusto. Non certo il numero di stragi e di uccisioni.

Nel lontano 2004, duyrante il famoso caso Rushdie (lo scrittore minacciato di morte dai gruppi integralisti islamici), in un eccellente saggio (“Maometto. Vita del Profeta”, Ed. Il Saggiatore), Karen Armstrong, l’autrice constata che in Occidente, anche negli ambienti più liberali e tolleranti, persiste un forte pregiudizio contro l’Islam, alimentato da una profonda ignoranza e da un atteggiamento discriminatorio.

Invece, se si legge il Corano in modo aperto e non strumentale e non ci confonde l’integralismo violento con esso, non si può non vedere che Maometto, anche nella sua vita,  fu uomo di pace intelligente e sensibile, troppo spesso dipinto come un leader aggressivo restio alle mediazioni e ai compromessi, solo da singoli o gruppi con vari interessi per farlo.

Ne “L’uomo invaso”, attraverso una serie di racconti e di fiabe in bilico tra passione, cabala e realtà, Gesualdo Bufalino ci insegna che solo facendo appello alla memoria (privata, storica, culturale), si può  conquistare un’identità definitiva e finalmente essere in grado di capire che le nostre convinzioni sono autentiche solo se ammettono convinzioni diverse ed anzi contrarie.

Sulla scia di una totale tolleranza il più grande Maestro dell’esoterismo islamico, Muhyî âl-Dîn âl-‘Arabî,  ha potuto scrivere: Il mio cuore è divenuto capace di accogliere ogni forma, è un pascolo per le gazzelle,un convento per i monaci cristiani, è un tempio per gli idoli, è la Ka’ba del pellegrino, è le tavole della Torah, è il libro del Sacro Corano.Io sono la Religione dell’amore, quale mai sia la strada, che prende la sua carovana: questo è mio credo e mia fede”

Carlo Di Stanislao

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