Sua Santità Benedetto XVI apre l’Anno della fede nel cinquantesimo anniversario del Concilio ecumenico Vaticano II

“Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”(Mt 25,40). La Chiesa Cattolica Romana di Cristo non crea la fede ma l’annuncia al mondo. In questo spirito Benedetto XVI ha aperto l’Anno della fede (11 Ottobre 2012 – 24 Novembre 2013) nel cinquantesimo anniversario del Concilio […]

“Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”(Mt 25,40). La Chiesa Cattolica Romana di Cristo non crea la fede ma l’annuncia al mondo. In questo spirito Benedetto XVI ha aperto l’Anno della fede (11 Ottobre 2012 – 24 Novembre 2013) nel cinquantesimo anniversario del Concilio ecumenico Vaticano II quando Papa Giovanni XXIII, l’11 Ottobre 1962, inaugurò nella basilica di San Pietro la Chiesa del XXI Secolo e l’Umanità del Terzo millennio di Pace. All’epoca fu il celebre “discorso della Luna” di Giovanni XXIII a proclamare l’evento e la portata universale della “carezza del Papa”. Oggi i segni celesti sono diversi ma altrettanto evidenti. Quando Benedetto XVI, la sera di giovedì 11 Ottobre 2012, si è affacciato alla finestra del palazzo apostolico per salutare le migliaia di fedeli riuniti in preghiera con le loro fiaccole, nel cielo la Luna non era visibile. Però un piccolo asteroide, battezzato dagli astronomi “2012 TC4”, di appena 16 metri di diametro, nella sua folle corsa orbitale, è volato il 12 Ottobre ad appena 96mila Km sopra le nostre teste. Come ci ricorda l’Osservatore Romano, il Papa insiste sulla necessità di tornare alla “lettera” del concilio per trovarne l’autentico spirito e riscoprire l’essenziale per vivere. L’immagine scelta da Benedetto XVI per “raffigurare l’Anno della fede”, è “un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo”. Nel ventennale della pubblicazione del Cat
tura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede”. Nella sua stessa struttura, il Catechismo della Chiesa Cattolica presenta lo sviluppo della fede fino a toccare i grandi temi della vita quotidiana. “Pagina dopo pagina si scopre che quanto viene presentato non è una teoria, ma l’incontro con una Persona che vive nella Chiesa. Alla professione di fede, infatti, segue la spiegazione della vita sacramentale, nella quale Cristo è presente, operante e continua a costruire la sua Chiesa. Senza la liturgia e i Sacramenti, la professione di fede non avrebbe efficacia, perché mancherebbe della grazia che sostiene la testimonianza dei cristiani. Alla stessa stregua, l’insegnamento del Catechismo sulla vita morale acquista tutto il suo significato se posto in relazione con la fede, la liturgia e la preghiera”. Il Catechismo della Chiesa Cattolica richiama il cuore della legge che è il perdono e la tolleranza. “In questo Anno, pertanto, il Catechismo della Chiesa Cattolica potrà essere un vero strumento a sostegno della fede, soprattutto per quanti hanno a cuore la formazione dei cristiani, così determinante nel nostro contesto culturale”. A tale scopo, Benedetto XVI ha invitato “la Congregazione per la Dottrina della Fede, in accordo con i competenti Dicasteri della Santa Sede, a redigere una Nota, con cui offrire alla Chiesa ed ai credenti alcune indicazioni per vivere quest’Anno della fede nei modi più efficaci ed appropriati, al servizio del credere e dell’evangelizzare. La fede, infatti, si trova ad essere sottoposta più che nel passato a una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che, particolarmente oggi, riduce l’ambito delle certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche. La Chiesa tuttavia non ha mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla verità. Sarà decisivo nel corso di questo Anno ripercorrere la storia della nostra fede, la quale vede il mistero insondabile dell’intreccio tra santità e peccato. Mentre la prima evidenzia il grande apporto che uomini e donne hanno offerto alla crescita ed allo sviluppo della comunità con la testimonianza della loro vita, il secondo deve provocare in ognuno una sincera e permanente opera di conversione per sperimentare la misericordia del Padre che a tutti va incontro. In questo tempo terremo fisso lo sguardo su Gesù Cristo, “colui che dà origine alla fede e la porta a compimento”(Eb 12,2): in lui trova compimento ogni travaglio ed anelito del cuore umano. La gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua Incarnazione, del suo farsi uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione. In lui, morto e risorto per la nostra salvezza, trovano piena luce gli esempi di fede che hanno segnato questi duemila anni della nostra storia di salvezza”. Questa è la nostra fede che salva e vince tutte le crisi e tutte le guerre. “Per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e credette all’annuncio che sarebbe divenuta Madre di Dio nell’obbedienza della sua dedizione (cfr Lc 1,38). Visitando Elisabetta innalzò il suo canto di lode all’Altissimo per le meraviglie che compiva in quanti si affidano a Lui (cfr Lc 1,46-55). Con gioia e trepidazione diede alla luce il suo unico Figlio, mantenendo intatta la verginità (cfr Lc 2,6-7). Confidando in Giuseppe suo sposo, portò Gesù in Egitto per salvarlo dalla persecuzione di Erode (cfr Mt 2,13-15). Con la stessa fede seguì il Signore nella sua predicazione e rimase con Lui fin sul Golgota (cfr Gv 19,25-27). Con fede Maria assaporò i frutti della risurrezione di Gesù e, custodendo ogni ricordo nel suo cuore (cfr Lc 2,19.51), lo trasmise ai Dodici riuniti con lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito Santo (cfr At 1,14; 2,1-4). Per fede gli Apostoli lasciarono ogni cosa per seguire il Maestro (cfr Mc 10,28). Credettero alle parole con le quali annunciava il Regno di Dio presente e realizzato nella sua persona (cfr Lc 11,20). Vissero in comunione di vita con Gesù che li istruiva con il suo insegnamento, lasciando loro una nuova regola di vita con la quale sarebbero stati riconosciuti come suoi discepoli dopo la sua morte (cfr Gv 13,34-35). Per fede andarono nel mondo intero, seguendo il mandato di portare il Vangelo ad ogni creatura (cfr Mc 16,15) e, senza alcun timore, annunciarono a tutti la gioia della risurrezione di cui furono fedeli testimoni. Per fede i discepoli formarono la prima comunità raccolta intorno all’insegnamento degli Apostoli, nella preghiera, nella celebrazione dell’Eucaristia, mettendo in comune quanto possedevano per sovvenire alle necessità dei fratelli (cfr At 2,42-47). Per fede i martiri donarono la loro vita, per testimoniare la verità del Vangelo che li aveva trasformati e resi capaci di giungere fino al dono più grande dell’amore con il perdono dei propri persecutori. Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo, lasciando ogni cosa per vivere in semplicità evangelica l’obbedienza, la povertà e la castità, segni concreti dell’attesa del Signore che non tarda a venire. Per fede tanti cristiani hanno promosso un’azione a favore della giustizia per rendere concreta la parola del Signore, venuto ad annunciare la liberazione dall’oppressione e un anno di grazia per tutti (cfr Lc 4,18-19). Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le età, il cui nome è scritto nel Libro della vita (cfr Ap 7,9; 13,8), hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù là dove venivano chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella professione, nella vita pubblica, nell’esercizio dei carismi e ministeri ai quali furono chiamati. Per fede viviamo anche noi: per il riconoscimento vivo del Signore Gesù, presente nella nostra esistenza e nella storia”. Grazie a Sua Santità Benedetto XVI, uomo d’azione, “l’Anno della fede sarà anche un’occasione propizia per intensificare la testimonianza della carità. Ricorda san Paolo:“Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!”(1Cor 13,13). Con parole ancora più forti – che da sempre impegnano i cristiani – l’apostolo Giacomo affermava:“A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro:«Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire:«Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede»”(Gc 2,14-18). La fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio. Fede e carità si esigono a vicenda, così che l’una permette all’altra di attuare il suo cammino”. Il Santo Padre ci ricorda che non pochi cristiani, infatti, dedicano la loro vita con amore a chi è solo, emarginato o escluso come a colui che è il primo verso cui andare e il più importante da sostenere, perché proprio in lui si riflette il volto stesso di Cristo. “Grazie alla fede possiamo riconoscere in quanti chiedono il nostro amore il volto del Signore risorto. “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”(Mt 25,40): queste sue parole sono un monito da non dimenticare ed un invito perenne a ridonare quell’amore con cui Egli si prende cura di noi. È la fede che permette di riconoscere Cristo ed è il suo stesso amore che spinge a soccorrerlo ogni volta che si fa nostro prossimo nel cammino della vita. Sostenuti dalla fede, guardiamo con speranza al nostro impegno nel mondo, in attesa di “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia”(2Pt 3,13; cfr Ap 21,1). Giunto ormai al termine della sua vita, l’apostolo Paolo chiede al discepolo Timoteo di “cercare la fede”(cfr 2Tm 2,22) con la stessa costanza di quando era ragazzo (cfr 2Tm 3,15). Sentiamo questo invito rivolto a ciascuno di noi, perché nessuno diventi pigro nella fede. Essa è compagna di vita che permette di percepire con sguardo sempre nuovo le meraviglie che Dio compie per noi. Intenta a cogliere i segni dei tempi nell’oggi della storia, la fede impegna ognuno di noi a diventare segno vivo della presenza del Risorto nel mondo. Ciò di cui il mondo oggi ha particolarmente bisogno – scrive Sua Santità Benedetto XVI – è la testimonianza credibile di quanti, illuminati nella mente e nel cuore dalla Parola del Signore, sono capaci di aprire il cuore e la mente di tanti al desiderio di Dio e della vita vera, quella che non ha fine. “La Parola del Signore corra e sia glorificata”(2Ts 3,1): possa questo Anno della fede rendere sempre più saldo il rapporto con Cristo Signore, poiché solo in Lui vi è la certezza per guardare al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo. Le parole dell’apostolo Pietro gettano un ultimo squarcio di luce sulla fede:“Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime”(1Pt 1,6-9)”. La vita dei cristiani conosce l’esperienza della gioia e quella della sofferenza. “Quanti Santi hanno vissuto la solitudine! Quanti credenti, anche ai nostri giorni, sono provati dal silenzio di Dio mentre vorrebbero ascoltare la sua voce consolante! Le prove della vita, mentre consentono di comprendere il mistero della Croce e di partecipare alle sofferenze di Cristo (cfr Col 1,24), sono preludio alla gioia e alla speranza cui la fede conduce:“quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10). Noi crediamo con ferma certezza che il Signore Gesù ha sconfitto il male e la morte. Con questa sicura fiducia ci affidiamo a Lui: Egli, presente in mezzo a noi, vince il potere del maligno (cfr Lc 11,20) e la Chiesa, comunità visibile della sua misericordia, permane in Lui come segno della riconciliazione definitiva con il Padre. Affidiamo alla Madre di Dio, proclamata “beata” perché “ha creduto” (Lc 1,45), questo tempo di grazia”. Dunque, la presa di posizione inequivocabile della Chiesa sugli abusi ai minori, sia di esempio agli stati, alle imprese, alle società ed alle multinazionali che oggi sono chiamati a fare la loro parte in difesa dei giovani, della famiglia e della vita. Se la Chiesa non ha più preti sufficienti, la responsabilità ricade sulle comunità. È troppo facile accusare la Chiesa ministeriale, scagliando la prima pietra! E non è questione di matrimonio (donne e mogli) per i sacerdoti. Le cose nei secoli cambiano, ma la Chiesa resta sempre quella che è, con la sua alta missione evangelica e umanitaria tra i derelitti e gli ultimi, guidata e protetta direttamente dallo Spirito Santo. Nel suo “potente” messaggio alle famiglie ed ai giovani radunati a Milano per il VII Incontro Mondiale delle famiglie (1-3 giugno 2012), Papa Benedetto XVI ha ribadito la necessità di trovare forme di partecipazione solidale alla soluzione dei problemi di tutti. Il celibato dei preti? Un valore aggiunto. Anche per i laici che dovrebbero istituirne una festività civile, magari con una speciale consacrazione pubblica laicale. Altro che addio al celibato! Se certe notizie turbano pericolosamente i fedeli, è del tutto normale. Se ciò che più spaventa è oggi il “silenzio di Dio”, al netto delle apparizioni mariane pubbliche e delle locuzioni private, le molte crisi umane che rischiano di annientare la vita biologica sulla Terra, lanciano un allarme inequivocabile. Altro che disarmo termonucleare! Samuel Gregg ha definito Benedetto XVI, un “rivoluzionario di Dio” (http://www.acton.org/it/pub/commentary/2012/04/18/benedict-xvi-gods-revolutionary). Rivoluzione, è una parola che evoca immagini di palazzi d’inverno presi d’assalto e l’abbattimento delle Bastiglie. “Ma se un vero rivoluzionario è colui che puntualmente trasforma il pensiero convenzionale sconvolgendolo completamente, uno dei più importanti rivoluzionari mondiali, che sfida lo status-quo del mondo attuale, potrebbe essere tranquillamente un teologo cattolico che parla dolcemente e che ha compiuto 85 anni il 16 aprile di quest’anno” – scrive Samuel Gregg. Anche se viene regolarmente deriso dai suoi critici come “decrepito” e “antico”, Papa Benedetto XVI “continua ad agire come ha sempre fatto fin dalla sua elezione papale di sette anni fa: scrollando non solo la Chiesa Cattolica, ma anche il mondo che è stato chiamato ad evangelizzare”. Le maniere che utilizza per fare ciò non prevedono la “occupazione” di qualche palazzo. “Al contrario, egli si serve di un impegno pacato, e soprattutto coerente verso tutti gli ideali che lo caratterizzano, rendendolo molto diverso dalla maggior parte degli altri leader del mondo contemporaneo – religiosi o meno”. Papa Benedetto ha compreso da tempo una verità che sfugge a molti attivisti politici contemporanei: nel mondo, i cambiamenti più significativi non iniziano normalmente nell’arena della politica. “Invariabilmente, iniziano con le persone che lavorano – nel bene o nel male – con l’elaborazione di idee. Gli scarabocchi di Jean-Jacques Rousseau hanno contribuito a rendere possibile la Rivoluzione Francese, con Robespierre e il Regno del Terrore. Allo stesso modo, è difficile immaginare Lenin e la presa del potere bolscevico in Russia senza racchiudere il tutto nell’indispensabile cornice di Karl Marx. Al di fuori degli ambienti accademici convenzionali, il nome del professore di Oxford H.L.A. Hart sono praticamente sconosciuti. Eppure, pochi individui sono riusciti ed hanno permesso ai Paesi occidentali del XX secolo di creare una società permissiva. Benedetto interviene ancora di più per sgretolare l’attuale status-quo quando egli identifica i paradossi intellettuali alla base di alcune delle forze disfunzionali che operano nel nostro tempo. Per coloro che uccidono in nome della religione, egli precisa che così facendo disprezzano la natura stessa di Dio come Logos, la ragione eterna, che la nostra stessa ragione naturale ci permette di conoscere”. Per coloro che si fanno beffe della fede in nome della ragione, “Papa Benedetto XVI precisa che, così facendo riducono la ragione solo a qualcosa di quantificabile, chiudendo così la mente umana alla pienezza della verità accessibile attraverso la stessa ragione che pretendono di esaltare. Un metodo similare viene messo in atto nelle modalità che Benedetto utilizza per trattare questioni interne riguardanti la Chiesa. Prendiamo ad esempio la recente critica rivolta con educazione ma ben mirata nei confronti di un gruppo di 300 preti austriaci che hanno emesso un appello alla disobbedienza riguardante l’ormai tristemente nota e banale lista degli argomenti che infastidiscono i dissidenti cattolici. Semplicemente ponendo domande, il Papa ha dimostrato una cosa ovvia. Egli si chiede: essi cercano davvero un autentico rinnovamento? Oppure si tratta “soltanto della spinta disperata di fare qualcosa, di trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee?”. Al di là delle specificità del caso austriaco, Papa Benedetto XVI stava sottolineando una cosa che tutti noi cattolici, non solo quelli dissidenti, a volte dimentichiamo. La Chiesa non è infatti “la nostra”. Piuttosto, è la Chiesa di Cristo. Non è quindi solo un’altra istituzione umana che può essere cambiata secondo i capricci umani. E questo, a sua volta ci ricorda che il cristianesimo non si basa su me, me stesso, ed io, ma è centrato su Cristo e la nostra necessità di avvicinarci a lui. Certamente la Chiesa ha sempre bisogno di riforme – ma di riforme volte alla santità, essa non è un semplice alloggio per le basse aspettative del secolarismo. Quindi, tutta questa attenzione di Benedetto per il mondo delle idee ha un costo? Anche tra i suoi ammiratori, si sentono di tanto in tanto le critiche sul fatto che Benedetto si concentra troppo sulle Scritture e non abbastanza su come governare. Ma forse Benedetto scrive proprio in un certo modo perché sa che per il Papa scrivere è il modo per partecipare all’arena della conversazione pubblica universale, ponendo così le verità della fede cattolica proprio dove dovrebbero essere. Per questo, è fortemente ammirato non solo dai cattolici, ma anche da innumerevoli cristiani ortodossi ed evangelici, e anche occasionalmente dai “laicisti beffardi”. Il Papa, però, non fa così perché sta cercando di compiacere qualcuno che lo ascolta. Come accade per tutti i veri rivoluzionari, il pensiero di Benedetto è libero e indipendente. Durante il suo pontificato, ha incessantemente cercato di fare quello che molti della generazione immediatamente successiva al periodo post conciliare, vescovi, sacerdoti, religiosi e teologi non sono riusciti a fare apertamente – agire in modo tale da metterci di fronte alla persona di Gesù il Nazareno e di porci davanti al pensiero e alle vite dei dottori e dei santi della Sua Chiesa, al fine di aiutarci a ricordare la vera vocazione del cristiano in questo mondo”. Nel romanzo di Graham Greene del 1940, “The Power and the Glory”, si legge la storia di un prete dissennato, dedito ai piaceri terreni, la notte prima della sua esecuzione egli capisce che lo scopo della vita cristiana non è la giustizia terrena in ultima analisi, i diritti umani, o questa o quella causa. “Lo squallido prete che ha infranto tutti i suoi voti scopre che il cristianesimo è un’altra cosa:“Ora sapeva che alla fine c’era una sola cosa che conta – essere un santo”. Santità è una parola che non viene molto pronunciata dai dissidenti. Dopo tutto, se passiamo molto tempo a cercare di proclamare le Scritture e tutte quelle cose che rendono Gesù il Cristo, o cercando di comprimere l’etica cristiana nell’incoerenza consequenzialista, è improbabile che possiamo riuscire ad incitare le persone affinché portino avanti una vita di virtù eroiche. Eppure, anche tra i fedeli cattolici, spesso c’è la sensazione che la santità è per gli altri: che i nostri fallimenti di tutti i giorni nel seguire Cristo mostrano che la santità è in qualche modo qualcosa troppo grande di noi. Questo, tuttavia, non è sicuramente il punto di vista di Benedetto. Per lui, la santità sta nell’impegno che mettiamo nel seguire Cristo, non importa quante volte si cade durante il cammino. Inoltre, Benedetto crede che solo la santità produce quell’anelito di bontà impavida e indistruttibile che cambia veramente il mondo. Mai Benedetto ha chiarito così bene questo punto come quando ha pronunciato queste parole durante la notte della veglia di preghiera per le migliaia di giovani convenuti in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia nel 2005:“I santi sono i veri riformatori. Solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione. Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero. La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l’amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l’amore?”. Scrive Joseph Ratzinger-Benedetto XVI nel terzo libro dell’opera su Gesù di Nazareth, “L’infanzia di Gesù”, del quale sono state anticipate alcune pagine in occasione della Buchmesse di Francoforte:“Gesù è nato in un’epoca determinabile con precisione. All’inizio dell’attività pubblica di Gesù, Luca offre ancora una volta una datazione dettagliata ed accurata di quel momento storico: è il quindicesimo anno dell’impero di Tiberio Cesare; vengono inoltre menzionati il governatore romano di quell’anno e i tetrarchi della Galilea, dell’Iturea e della Traconìtide, come anche dell’Abilene, e poi i capi dei sacerdoti (cfr. Luca,3,1 ss). Gesù non è nato e comparso in pubblico nell’imprecisato “una volta” del mito. Egli appartiene ad un tempo esattamente databile e ad un ambiente geografico esattamente indicato: l’universale e il concreto si toccano a vicenda. In Lui, il Logos, la Ragione creatrice di tutte le cose, è entrato nel mondo. Il Logos eterno si è fatto uomo, e di questo fa parte il contesto di luogo e tempo. La fede è legata a questa realtà concreta, anche se poi, in virtù della Risurrezione, lo spazio temporale e geografico viene superato e il “precedere in Galilea” (Matteo, 28,7) da parte del Signore introduce nella vastità aperta dell’intera umanità (cfr. Matteo, 28,16ss)”. È la Fiera internazionale del libro a Francoforte, dal 10 al 14 Ottobre 2012, la vetrina attraverso la quale l’editore Rizzoli presenta per la prima volta il nuovo libro di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI dedicato ai racconti evangelici dell’infanzia di Gesù. In Italia il libro “L’infanzia di Gesù” esce prima di Natale in coedizione con la Libreria Editrice Vaticana. Scrive il Papa:“Maria avvolse il bimbo in fasce. Senza alcun sentimentalismo, possiamo immaginare con quale amore Maria sarà andata incontro alla sua ora, avrà preparato la nascita del suo Figlio. La tradizione delle icone, in base alla teologia dei Padri, ha interpretato mangiatoia e fasce anche teologicamente. Il bimbo strettamente avvolto nelle fasce appare come un rimando anticipato all’ora della sua morte: Egli è fin dall’inizio l’Immolato, come vedremo ancora più dettagliatamente riflettendo sulla parola circa il primogenito. Così la mangiatoia veniva raffigurata come una sorta di altare. Agostino ha interpretato il significato della mangiatoia con un pensiero che, in un primo momento, appare quasi sconveniente, ma, esaminato più attentamente, contiene invece una profonda verità. La mangiatoia è il luogo in cui gli animali trovano il loro nutrimento. Ora, però, giace nella mangiatoia Colui che ha indicato se stesso come il vero pane disceso dal cielo – come il vero nutrimento di cui l’uomo ha bisogno per il suo essere persona umana. È il nutrimento che dona all’uomo la vita vera, quella eterna. In questo modo, la mangiatoia diventa un rimando alla mensa di Dio a cui l’uomo è invitato, per ricevere il pane di Dio. Nella povertà della nascita di Gesù si delinea la grande realtà, in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini”. Nella premessa il Papa spiega come sia entrato in dialogo con i testi, come una piccola sala d’ingresso. “Finalmente posso consegnare nelle mani del lettore il piccolo libro da lungo tempo promesso sui racconti dell’infanzia di Gesù. Non si tratta di un terzo volume, ma di una specie di piccola “sala d’ingresso” ai due precedenti volumi sulla figura e sul messaggio di Gesù di Nazaret. Qui ho ora cercato di interpretare, in dialogo con esegeti del passato e del presente, ciò che Matteo e Luca raccontano all’inizio dei loro Vangeli sull’infanzia di Gesù. Un’interpretazione giusta, secondo la mia convinzione, richiede due passi. Da una parte, bisogna domandarsi che cosa intendevano dire con il loro testo i rispettivi autori, nel loro momento storico – è la componente storica dell’esegesi. Ma non basta lasciare il testo nel passato, archiviandolo così tra le cose accadute tempo fa. La seconda domanda del giusto esegeta deve essere: È vero ciò che è stato detto? Riguarda me? E se mi riguarda, in che modo lo fa? Di fronte a un testo come quello biblico, il cui ultimo e più profondo autore, secondo la nostra fede, è Dio stesso, la domanda circa il rapporto del passato col presente fa immancabilmente parte della nostra interpretazione. Con ciò la serietà della ricerca storica non viene diminuita, ma aumentata. Mi sono dato premura di entrare in questo senso in dialogo con i testi. Con ciò sono ben consapevole che questo colloquio nell’intreccio tra passato, presente e futuro non potrà mai essere compiuto e che ogni interpretazione resta indietro rispetto alla grandezza del testo biblico. Spero che il piccolo libro, nonostante i suoi limiti, possa aiutare molte persone nel loro cammino verso e con Gesù”. La Fede è legata a questa realtà concreta “anche se poi, in virtù della Risurrezione, lo spazio temporale e geografico viene superato e il “precedere in Galilea” (Mt 28,7) da parte del Signore introduce nella vastità aperta dell’intera umanità (cfr. Mt 28,16ss)”. Come spiegato da Benedetto XVI nella premessa al libro anche questa terza parte della trilogia dedicata dal Papa a Gesù di Nazaret parte dal racconto evangelico per giungere all’uomo contemporaneo. Come scrisse anche nella introduzione al secondo volume  (Dall’ingresso a Gerusalemme fino alla Risurrezione) l’autore ha cercato di “sviluppare uno sguardo sul Gesù dei Vangeli e un ascolto di Lui che potesse diventare un incontro e tuttavia, nell’ascolto in comunione con i discepoli di Gesù di tutti i tempi, giungere anche alla certezza della figura veramente storica di Gesù. Spero che mi sia stato dato di avvicinarmi alla figura del nostro Signore in un modo che possa essere utile a tutti i lettori che vogliono incontrare Gesù e credergli”. Proprio per questo Benedetto XVI si riprometteva, per completezza, di affrontare anche il capitolo dedicato all’infanzia di Gesù. Oggi il Papa mantiene la sua promessa. Sì, Dio è Amore. Il Logos è Caritas: non esiste un messaggio più rivoluzionario di questo. Da duemila anni la Chiesa è difesa dal Signore Gesù, il Risorto, come sta scritto:“Le porte degli Inferi non prevarranno”. Se ci salveremo davvero su questa povera Terra sarà sicuramente per merito di uomini d’azione e di rivoluzione come Papa Benedetto XVI. Chapeau.

Nicola Facciolini

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