Trattativa Stato-mafia: Pm Palermo, infondato il ricorso di Napolitano

La Procura di Palermo ha depositato con una settimana di anticipo rispetto alla scadenza dei termini, che era fissata per il 19 ottobre, gli atti che costituiscono la memoria di costituzione composta di 32 pagine. Al centro del conflitto tra poteri dello Stato c’è la vicenda delle intercettazioni di alcune conversazioni del Presidente della Repubblica […]

La Procura di Palermo ha depositato con una settimana di anticipo rispetto alla scadenza dei termini, che era fissata per il 19 ottobre, gli atti che costituiscono la memoria di costituzione composta di 32 pagine.
Al centro del conflitto tra poteri dello Stato c’è la vicenda delle intercettazioni di alcune conversazioni del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con l’ex ministro dell’Interno ed ex vice presidente del Csm Nicola Mancino: l’utenza telefonica di quest’ultimo era stata messa sotto controllo dai magistrati palermitani che indagano sulla presunta trattativa Stato-mafia.
La procura di Palermo ritiene inammissibile il ricorso presentato alla Consulta dal Quirinale. Inammissibile, si legge nella memoria depositata dal collegio difensivo alla Corte costituzionale perchè: “non si riesce a comprendere come si possa richiedere al pm di distruggere la documentazione delle registrazioni delle intercettazioni, quando il pm non ha un siffatto potere”.
I professori Alessandro Pace, Giovanni Serges e Mario Serio, che compongono il collegio difensivo della procura di Palermo, nella memoria scrivono: “La tesi di fondo dell’avvocatura dello Stato è che la norma dell’art. 90 della Costituzione, prevedendo in favore del presidente la irresponsabilità per gli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni (con la sola eccezione dei reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione) configurerebbe per lo stesso un regime globale di immunità, anche penale, con la conseguenza di rendere illegittima in sé qualsiasi forma di ascolto delle conversazioni, di registrazione delle stesse, ed a maggior ragione di valutazione ed utilizzazione processuale”.
Sarebbero quindi gravi le conseguenze se la Consulta accogliesse il ricorso del Quirinale.

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