Noi no

In Italia ogni due giorni si uccide una donna e molte di più vengono malmenate, ferite, stuprate. Fidanzati, mariti, amanti, spasimanti, ex: persone che hanno scelto di uccidere o picchiare,  invece di fermarsi, riflettere e “curare” la follia ed il panico che si lega a solitudini protratte e che è alla base di tanta violenza. […]

In Italia ogni due giorni si uccide una donna e molte di più vengono malmenate, ferite, stuprate. Fidanzati, mariti, amanti, spasimanti, ex: persone che hanno scelto di uccidere o picchiare,  invece di fermarsi, riflettere e “curare” la follia ed il panico che si lega a solitudini protratte e che è alla base di tanta violenza.  Una contabilità impervia dove i numeri non riescono mai a quadrare. E i volti non riescono sempre ad affiorare. Veniamo da una cultura patriarcale, dove i ruoli erano fissi e chiari. Ora manca l’accettazione della libertà conquistata dalle donne che, però, non devono perderla o si rischia l’arretramento. Bisogno puntare su cultura ed educazione, a partire dalla scuola. Serve ricominciare a fornire chiavi di lettura per corrette relazioni tra uomo e donna, che non passino per la violenza, ma per il dialogo.

Dall’inizio dell’anno, secondo Telefono Rosa, sono 1001 le donne uccise in Italia, l’ultima, una ragazza di 17 anni, accoltellata a Palermo, mentre cercava di proteggere la sorella maggiore dalle violenze del fidanzato.

L’escalation del fenomeno è stato denunciato la settimana scorsa anche dall’avvocato Maria Teresa Manente, dell’Associazione Differenza Donna (che gestisce quattro centri antiviolenza) in una audizione presso la Commissione per i Diritti Umani del Senato, dove si è ricordato che nel 2011 in Italia sono state assassinate 137 donne, è dove si è ribadito che il  femminicidio è l’estrema conseguenza delle molteplici forme di violenza degli uomini contro le donne.

Riccardo Iacona, quello di “Presadiretta”, ha pubblicato da poco Se questi sono gli uomini (edito da Chiarelettere), un libro in cui si scrive delle 37 donne uccise da mariti, compagni e conviventi nel 2011, quest’anno siamo già a quota 100 e si ricostruiscono le vicende di Rosa Trovato, Vanessa Scialfa, Enza Anicito e tante altre, per scavare nell’humus avvelenato che fertilizza il ripetersi delle violenze, spesso mortali, degli uomini contro le donne. Tra luoghi comuni, sguardi di finta pietà, indifferenza e una prima corrente di indignazione che finalmente percorre il Paese.

Si muove in modo carsico sul web e cerca complici su facebook e su twitter.

Ma è importante, perché riguarda le narrazioni e i narratori.

Lo sta facendo lo scrittore Alessandro Greco, che ha ideato e curato un progetto che coinvolge sette giovani scrittori intorno a sette donne morte, i cui nomi conosciamo bene, perché hanno riempito le cronache per mesi:  Claps, Cesaroni, Kercher, Gambirasio, Scazzi, Poggi e Rea. Il progetto si chiama “Il futuro che non c’era” e Greco ha chiesto agli scrittori partecipanti di mettersi in gioco come narratori e come uomini per scrivere le storie di queste donne.

E lo fa “Noi no, un grido maschile contro la violenza sulle donne, lanciato da uomini di Bologna, per una campagna  di comunicazione che dall’Emilia Romagna vuole arrivare in tutta Italia.

Le parole chiave della campagna sono tre: minacciare, umiliare e picchiare;  perché violenza sulle donne è soprattutto ignoranza; voglia di sopraffare umiliando , che, a volte, porta a  minacciare, a dire una parola di troppo,  o da are uno schiaffo:  punti di partenza per una violenza che è già pericolosa.

Abbiamo bisogno di una vera rivoluzione culturale nel nostro paese: le donne hanno fatto molto, ora è arrivato il momento di responsabilizzare gli autori di queste violenze per fronteggiare un fenomeno ancora troppo diffuso.

Umana rivoluzione difficile come tutte le vere rivoluzioni, che vuole arrivare in quegli ambienti dove il tema è spinoso e difficile da trattare.

Ciò che “Noi no” si propone, è una mobilizzazione al maschile che ricordi  quella di Walk a mile in her shoes”, marcia politica organizzata in tutto il mondo dove uomini sfilano con tacchi a spillo,  per promuovere una campagna contro stupri e violenze.

Un gesto di campo per ricordare che la violenza sulle donne non è una guerra uomini contro donne, ma un disagio del quale bisogna non solo parlare e discutere, ma anche cominciare a individuare i responsabili.

E come uomini, dobbiamo plaudire al fatto che il  Centro Anti Violenza dell’Aquila, dopo la richiesta avanzata al collegio giudicante, firmata dalla avvocata Simona Giannangeli, sia stato ammesso come parte civile nel processo a carico di Francesco Tuccia, ex militare accusato di aver violentato una studentessa laziale fuori da una discoteca di Pizzoli, nel febbraio scorso e che, attraverso esso, sia stato chiesto ai giudici il riconoscimento non solo della violenza,  ma anche del tentato omicidio.

Due giorni fa, fuori l’ingresso della sede del palazzo di giustizia de L’Aquila,  erano presenti trenta donne con striscioni e cartelloni con su scritto: “La violenza degli uomini sulle donne ci riguarda tutte”.

Sarà il caso di scrivere a lettere cubitali che tale violenza riguarda tutti, sia uomini che donne, per poi dimostrarlo nei fatti e nei comportamenti quotidiani.

Carlo Di Stanislao

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