Busi, specialmente

Dopo 10 anni di silenzio, Aldo Busi si rimette a scrivere un romanzo: il primo del nuovo millennio, il primo al computer, preso da Dalai come editore,  tenero e feroce, che potrebbe essere punto di partenza per tanti profondissimi dibattiti su impegno civile, ingiustizia sociale, relazioni affettive, abusi edilizi, soprusi religiosi, come lo stesso Busi […]

Dopo 10 anni di silenzio, Aldo Busi si rimette a scrivere un romanzo: il primo del nuovo millennio, il primo al computer, preso da Dalai come editore,  tenero e feroce, che potrebbe essere punto di partenza per tanti profondissimi dibattiti su impegno civile, ingiustizia sociale, relazioni affettive, abusi edilizi, soprusi religiosi, come lo stesso Busi ha detto (e dimostrato), partecipando, in queste ultimi settimane a vari dibattiti con politici, su La7 e Rai3. A distanza di dodici anni da “Casanova di se stessi” e a dieci da “La signorina Gentilin dell’omonima cartoleria”, contravvenendo alla sua stessa decisione, Aldo Busi estrae dal proprio cilindro un romanzo inaspettato, favoloso e nuovissimo; ambientato nella Spagna europeista di Zapatero, tra un sentore di Santa Inquisizione e un’eco di Goya e di Francisco Franco, intitolato “El especialista de Barcelona” e che si può inserire nel gotico ma con  travestimenti, porte proibite e colpi di scena: ritratto ambizioso e stratificato dell’umanità così come si è ridotta a vivere ai nostri giorni, con una  costellazione di personaggi buffi e inquietanti, di figure bizzarre e normalissime, che ruotano attorno a un intrigo familiare che non è mai quel che sembra e che, fino all’ultima pagina, si tiene aperta la possibilità di ricominciare da capo.

Come si fa a dimenticare a comando? Com’è possibile perdere per strada la memoria di una storia, se prima non si ha la pazienza di recuperarla passando al setaccio tutto quanto l’ha riempita da venticinque anni a questa parte? È quello che si accinge a fare lo Scrittore, seduto su una sedia all’inizio della Rambla e proprio nessuna voglia di scrivere e di vivere come gli altri. Contraltare di questa sua volontà di oblio programmatico e globale è la figura cicciuta e tracagnotta dell’especialista, un docente universitario “che di sé non ha mai saputo niente di essenziale, a parte di essere basso di cavallo e di farsene un cruccio mortale”. Alle spalle e attorno l’especialista, una caleidoscopica orda di parenti che rimescolano i propri sessi e li sovrappongono, una consorteria di avidi, esaltati e feroci come conigli stipati dentro una comune gabbia di pregiudizi, rancori, omertà, tic di finta trasgressione e segreti di Pulcinella. Per lo Scrittore affezionarsi all’especialista e tenere il conto dei ribaltoni della sua sagrada familia è un tutt’uno, un po’ perché simpatizzare con i mostri è l’unico modo per non farsene sbranare, un po’ perché “per fare chiaro bisogna prima fare un po’ di caldo”. Ha inizio così una lotta all’ultima confidenza taciuta tra un uomo che ha il solo cruccio di non poter condividere la propria integrità con nessuno e diversi esemplari di un’umanità all’ultimo grido antica come Eva, reazionaria come il generale Franco e raccapricciante come un’acquaforte di Goya.

In questo suo nuovo, inatteso romanzo, la sfida più grande Aldo Busi la lancia a se stesso scrivendo, in una lingua di incontrollabile, folleggiante splendore, un romanzo tanto inaspettato quanto necessario. El especialista de Barcelona è il libro definitivo sull’improrogabile repulisti dell’Occidente, il ritratto bulinato di una civiltà ossessionata dal falso problema del fare bella figura e da quello vero della sopravvivenza, in un’altalena di epica allegria tra ripristino della legge della giungla e sfoggio di cineserie da qui all’aldilà.

Leggere Aldo Busi ti costringe a pensare.  È sempre stato così, la sua scrittura è provocazione del pensiero. Succede anche con questo ultimo romanzo, dove il lettore è afferrato nel vortice di pensieri di un alter ego dell’autore e l’io narrante si rivolge alla foglia di un platano e fantastica, una digressione dopo l’altra, una storia dopo l’altra, in una sarabanda che coinvolge ventiquattro personaggi, in cui l’autore proietta il suo moralismo anarchico ed invoca un ordine culturale, un ripensamento dell’etica e dell’estetica.

Leggere Busi significa comprenderne una parte della complessa personalità, che va anche a “L’isola dei famosi”, pur odiando le pedane e le ex cathedra e che, da Lilli Gruber, dichiara che “leggere un libro significa anche organizzare una rivolta contro un potere arrogante e dispotico” e che lui andrebbe anche a manifestare in piazza se non fosse “per le ernie e per gli anni”.

In fondo, Busi (a differenza ad esempio di Pasolini, Consolo o Salamago) è un uomo d’ordine, che si lamenta doloroso mante perché: “i figli del popolo, gli operai, le commesse, quelli dei call center, i contadini, gli impiegati, i precari, gli esodati, i disoccupati, i sottoposti tutti, i neoproletari che schiumano per un salario da fame e spesso senza neanche quello, invece di andare in giro a fare casino negli stadi e a impasticcarsi nelle discoteche e a peggiorare il loro stordimento e quindi la loro situazione contrattuale, non restano a casa loro a leggere cercando anche di capire cosa c’è nero su bianco”.

Egli crede nell’ordine e nella cultura, ovvero non sopporta il disordine della lingua, la sciatteria semantica, perché sono sintomi di pigrizia intellettuale. Cerca in questa vita una perfezione che pure sa non si raggiunge mai. La memoria stessa si cancella via via.

I ricordi ne sostituiscono altri. E il cuore del suo romanzo è come quello della cipolla, che sfogli sfogli e non lo trovi mai, ridotto a membrane sempre più sottili, evanescenti, e infine al vuoto. In quel momento, se va bene, c’è l’illuminazione, il pathos, e un grande senso di sollievo e accettazione della vita,  bruttezze incluse; una cosa umana che si chiama arte.

Carlo Di Stanislao

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