Rimonte, presenze e simboli sconnessi

Deve recuperare 15 punti di differenza rispetto al predecessore (e avversario) Nicolas Sarkozy, che nel gennaio 2008 aveva il 54% di opinioni favorevoli, Francois Hollande, che, in questo inizio di 2013 ci prova con l’intervento in Mali, l’accordo sul mercato del lavoro e le nozze gay. La mossa del Mali, gradita alla più parte dei […]

Deve recuperare 15 punti di differenza rispetto al predecessore (e avversario) Nicolas Sarkozy, che nel gennaio 2008 aveva il 54% di opinioni favorevoli, Francois Hollande, che, in questo inizio di 2013 ci prova con l’intervento in Mali, l’accordo sul mercato del lavoro e le nozze gay.

La mossa del Mali, gradita alla più parte dei francesi, gli consente di vestire i panni di presidente forte, impegnato come un “generale” nella lotta ai fondamentalisti islamici, proprio come fece il suo predecessore di centrodestra durante l’intervento contro il regime libico del colonnello Muhammar Gheddafi., di cui l’azione di adesso sembra la naturale prosecuzione.

Secondo Le Monde, molto importante è anche l’annuncio di andare avanti con il progetto di legge sulle nozze gay, una delle sue grandi promesse elettorali, nonostante l’immensa manifestazione di protesta che domenica scorsa abbia riunito migliaia di dissenzienti a Parigi.

Infine il lavoro, con accordo siglato venerdì che consente una maggiore flessibilità alle imprese e più protezione ai lavoratori, raggiunto dopo tre mesi di negoziati fra sindacati e imprenditori, ha consentito un poco di rimonta al presidente socialista, in discesa libera dalle sue elezioni, in una Francia che fa solo finta di essere fuori dai problemi, ma, probabilmente, ne ha tanti quanti l’Italia.

In rimonta è anche Silvio Berlusconi che si dice sempre più certo non solo della vittoria alle prossime elezioni, ma anche sicuro sull’esito dei futuri dibattiti televisivi con gli avversari, tanto da sfidarli, attraverso i microfoni di “Studio Aperto”, a singolar tenzone, a partire dal nemico numero uno: Pier Luigi Bersani, suo principale competitore.

Profittando del mezzo televisivo come solo lui sa fare, da un lato espone nuovamente uno dei punti fondamentali del proprio programma, ossia “un dietrofront assoluto rispetto alla politica di austerità del governo dei cosiddetti professori e andare verso una politica nuova per sostenere la crescita e lo sviluppo” per aggiungere un elemento nuovo e di sicuro impatto: non chiudere totalmente né a Bersani, né a Monti “se sono d’accordo con riforme per rendere più governabile il Paese.”

Da Studio Aperto Berlusconi dice che è possibile una rimonta ed avverte: “Nel 1994 sconfiggemmo la gioiosa macchina da guerra di Occhetto” e “nel 2006 recuperammo nove punti. Siamo sotto di 7 punti – senza considerare Vespa e Santoro – non è una distanza incolmabile”.

La televisione è un tema che irrompe puntualmente nelle campagne elettorali, fino a condizionarne l’esito o, quanto meno, l’andamento. Non sorprende quindi come sia bastato l’invito di Sky per un confronto a tre in diretta l’8 febbraio per riaccendere le polemiche: Ingroia protesta (“Si sono dimenticati di me…”), Pannella e i radicali – anche questo un classico – iniziano un nuovo sciopero della fame e della sete “contro il silenzio informativo “, i tre possibili ospiti prendono tempo.

Bersani fa sapere che lui era e resta disponibile, a patto di definire con chiarezza le regole e una data che vada bene a tutti (lui, ad esempio, per l’8 febbraio ha già previsto un appuntamento di campagna elettorale a Torino).

Comunque il leader dei democratici dice che non ha intenzione di impiccarsi alle formule e che, sia che ci si limiti ai tre principali protagonisti, sia che siano inviatati in contemporanea anche gli altri capi di liste o coalizioni (da Ingroia a Grillo o chi per lui, a Oscar Giannino), per lui non cambia nulla.

Resta invece alta l’attenzione del Pd sull’equilibrio delle presenze complessive in tv. I dati diffusi il 10 dall’Agcom, confermano le denunce più volte espresse dai dem nei giorni scorsi. I “diffusi squilibri nella presenza delle forze politiche nei telegiornali “, che riguarderebbero soprattutto la presenza di Monti, “premiato” praticamente da tutti (Tg1, Tg3, TgLa7 e Sky), ad eccezione delle reti Mediaset.

Francamente, ciò che si vede, soprattutto, è che il progetto tecnico che doveva fermare lo spettacolo degradante di una politica sparita dall’agenda pubblica e trasformatasi in lotta di fazioni senza più arte né parte, è completamente mancato alla sua funzione equilibratrice: non ha risolto la piaga del buco economico; ha allontanato ulteriormente, causa un fiscalismo scellerato, la società dal potere; ha suscitato nuove ambizioni alle già troppe esistenti sul mercato; non ha minimamente accennato a riforme ordinamentali, collocate negli ultimi secondi dell’ultimo telemessaggio presidenziale e neppure rilevate da media pur densi di luoghi comuni rassicuranti.

E, come scrive su Formiche l’accorto Giovanni di Capua, dopo tredici mesi di alti propositi innovativi in nome dell’alterità procedurale e della neutralità politica, siamo tornati al punto di partenza bipolare, di un gradino ancora più basso di quello che c’era, a causa del porcellum conservato senza spiegare i mesi consumati per sostituirlo pervenendo – si giurava – a un centimetro da un cambiamento condiviso.

In questo bipolarismo scombinato e peggiorato si è caduti per molti motivi e molte resistenze a destra e a sinistra, soprattutto per meri calcoli elettorali provenienti da talune illusioni e azzardate previsioni. L’ultima consultazione amministrativa ha indotto qualcuno, abituato a vecchi giochetti provinciali, a ritenersi vincitore con due anni d’anticipo sul voto, così da provocare la ragione sostanziale dello stallo riformatore in materia elettorale.

La sinistra ha da recuperare dall’astensionismo molto meno di quanto può sperare di ricavarne la destra, mentre tutt’e due i vecchi poli si sono andati ulteriormente irrigidendo sulle relative estreme posizioni, con la conseguenza di far nascere nuove grandi ambizioni provenienti da gruppi di ultrasinistra, mentre parte dell’ultradestra è confluita in un centro diventato un luogo geografico e difettoso, privo di un giustificabile richiamo politico vero.

Domenica sono stati depositati i simboli che compariranno sulle schede elettorali. Alcuni sono orripilanti e ridicoli come quello della Lega dove compare il nome di TreMonti: non è un errore di battitura! c’era proprio scritto il nome dell’ex ministro – recentemente arruolatosi nel Carroccio – con la “M” maiuscola. L’intento, mal dissimulato, era inequivocabilmente quello di trarre in inganno qualche fan sprovveduto di Monti. Per la cronaca la Lega era la stessa che inveiva contro Monti sin dal suo insediamento a palazzo Chigi ed ora, senza vergogna, prova ad usare il nome del suo più acerrimo nemico per rubacchiare qualche voto.

Nel capitolo nostalgia, sono stati cassati Movimento sociale italiano-destra nazionale M.S.I.-D.N., Movimento idea sociale M.I.S, R.S.I. Nuova Italia, Alba dorata Italia e il drappo del Sacro Romano Impero. Ma anche il Partito comunista e la Lista civica Militia Christi. Passa ovviamente il calcio con Forza Roma in giallo-rosso e Forza Lazio in bianco-celeste. E l’unica speranza per questa Italia così malandata, è che i loro ideatori si fermino qui e non decidano di candidarsi. Con gli ultras non si sa mai, magari ce li ritroviamo un parlamento.

Bocciati anche i simboli scopiazzati dalle liste “Rivoluzione Civile” del magistrato Antonio Ingroia e “Monti presidente per l’Europa” del premier uscente.

Insomma, il lavoro del Viminale è servito per ripulire un po’ l’immagine sbiadita della nostra democrazia ristabilendo l’ordine nella giungla dei simboli elettorali. Ma non ha potuto fare più di tanto.

Restano liste a dir poco dubbie come quella del “Movimento del Bunga bunga”, la lista “Gay di Destra – La Rosa Nera”, il “Recupero maltolto”,” quella “ Partito 3 M Movimento mamme nel mondo”, quella dei “Poeti d’Azione” e il pallone rosa di “Io non voto”, meraviglioso paradosso borghesiano di chi chiederà di votare per un partito che chiede di non votare.

Tra le liste ‘particolari’ ci sono “Sacro romano impero liberale cattolico-giuristi del sacro romano impero cattolico-movimento europeo liberal cristiano, giustizia e libertà -atuttocampo, nel tempo e nello spazio” (che ha vinto per la lunghezza del nome, creato nel 1994 d aMirella Cece, unaa signora milanese che lavora come commercialista e avvocato), “Pensionati e invalidi giovani insieme”, “Angeli della libertà”, il “Partito internettiano”, “Forza Roma” e “Forza Lazio”, “Lista civica di Giacinto Canzona” (avvocato delle bufale di cui Blitzquotidiano si è occupato più volte), “Italia reale”, “Rinascita italiana Giovanni dalle bande nere”, “Rinascimento italiano” e, infine, fra i simboli ammessi, anche quello di Cicciolina, alias Ilona Staller, per “D.N.A. Democrazia natura amore”.

Comunque non c’è da meravigliarsi perché l’Italia è davvero uno strano Paese in cui, qualche anno fa, fu presentato il “Partito della gnocca”, che venne poi bocciato non per l’immagine in sé (che era uno gnocco), ma perché il motto “Quando ti tocca, vota la gnocca” era scritto sul logo della Repubblica Italiana, cosa che costituiva vilipendio di segno di Stato, reato punito dal codice penale.

Carlo Di Stanislao

Una risposta a “Rimonte, presenze e simboli sconnessi”

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