La bella società

Ieri sera su Canale 5, in prima serata, “La bella società”, uno dei peggiori film della stagione 2009, velleitario affresco storico (1955-85) diviso in 3 parti, prodotto da Pietro Innocenzi e da Medusa che lo distribuisce, con ricchissimo cast che ripesca anche i coniugi Franco Interlenghi-Antonella Lualdi come genitori di Raul Bova e fa bella […]

Ieri sera su Canale 5, in prima serata, “La bella società”, uno dei peggiori film della stagione 2009, velleitario affresco storico (1955-85) diviso in 3 parti, prodotto da Pietro Innocenzi e da Medusa che lo distribuisce, con ricchissimo cast che ripesca anche i coniugi Franco Interlenghi-Antonella Lualdi come genitori di Raul Bova e fa bella mostra della prorompente fisicità della Cucinotta.
C’è un aggettivo che, meglio di ogni altro, si addice al film: imbarazzante. Mette in imbarazzo perfino nell’obbligo ineludibile di parlarne male fin dalla sceneggiatura, scritta da Gian Paolo Cugno (regista alla sua seconda opera) con Paolo Di Reda e Chiara Giordano. Minata alla base da inconsulti flashback, la storiona fa capo a Giuseppe e Giorgio, messi al mondo da Maria, il 2° dei quali cieco fin da piccolo per un incidente, e al loro amico Nello, il “cattivo” della situazione. Che, però, si riscatta con la morte, mentre l’infelice Giorgio è atteso da un provvidenziale intervento neurochirurgico. Girato “nel cuore della Sicilia sudorientale dei campi di grano”, nei comuni di Enna, Calascibetta, Leonforte, Assoro e Nissoria con una trasferta a Torino.
Questo il modo di un certo tipo di mentalità di ricostruire gli “anni di piombo” e quelli immediatamente successivi, il divario fra Nord e Sud e le prime proteste di braccianti nel dopoguerra.
Non me rivaglia, quindi, sia un prodotto Medusa promosso da Mediaset: il parto di una ideologia che trasforma il dramma in banalità e il racconto in artifizio privo di costrutto.
D’altra parte che il Pdl fosse diventato “imbarazzante”, se ne erano accorti già a luglio coloro i quali avevano fondato, nel Pdl, un movimento di contestazione definitosi “Retrovia”, che aveva preso le mosse da due blog: Il Fazioso e Daw, due siti di informazione, per così dire, alternativa e con un motto più che eloquente:”La Retrovia per diventare avanguardia”, con lo scopo, rimasto sogno, di soppiantare la vecchia classe dirigente del Pdl per erigere un nuovo faro che illumini la via degli elettori del centrodestra.
Da quel faro, con nome preso da una frase pronunciata da Angelino Alfano all’incontro “Formattiamo il Pdl” tenutosi a Pavia il 9 luglio, per far sì che la frangia dissidente del partito trovasse un’identità, in cui aveva detto:”Non sapevo fosse stata invitata anche la retrovia urlante”; è venuto fuori solo il “lumicino” di Fratelli D’Italia, con la triade La Russa-Crosetto-Meloni ed una sua lista per le prossime elezioni, in appoggio del Pdl e del centro-destra ed il “ripulisti”, attribuito però alla magistratura e non ad intima convinzione, delle liste del Pdl, con Berlusconi che, a Studio Aperto (dove ormai dimora stabilmente), che commenta l’esclusione dell’amico Cosentino dicendo: “abbiamo dovuto chiedere ai nostri amici e colleghi di rinunciare ad essere presenti nelle liste elettorali perché dei pm politicizzati li avevano attaccati e questo fatto è stato divulgato dai media ed era qualcosa che poteva diminuire il consenso”.
Anche in questo caso, come nel film di Gugno, una operazione verniciata ed anche male, con il clamore delle esclusioni di Dell’Utri e Cosentino a coprire la permanenza di Salvatore Sciascia, che pure a differenza degli altri ha sulle spalle una condanna definitiva per corruzione e Paolo Romani, ex ministro delle Telecomunicazioni inquisito dalla Procura di Monza per peculato e istigazione alla corruzione.
Come ricorda Il Fatto Quotidiano, Salvatore Sciascia, ex Guardia di finanza diventato direttore dei Servizi fiscali della Fininvest, nel 2001 è stato condannato definitivamente a due anni e sei mesi di reclusione per corruzione. E’ l’esito della famosa inchiesta sulle tangenti alla Guardia di Finanza per alleggerire i controlli fiscali, quella dell’invito a comparire recapitato a Silvio Berlusconi durante il vertice internazionale sulla criminalità a Napoli. Sciascia ha ammesso di aver pagato tangenti con il benestare di Paolo Berlusconi (poi assolto), ma non ha mai nominato Silvio. Il corruttore reo confesso si impegna in politica e nel 2008 ottiene un seggio al Senato con il Pdl. Alle prossime elezioni il partito lo ha candidato di nuovo al Senato, in Lombardia all’undicesimo posto in lista, considerato di sicura elezione.
Invece Paolo Romani, imprenditore televisivo di scarsa fortuna e ministro di fiducia di Silvio Berlusconi nel settore cruciale delle telecomunicazioni, è stato anche assessore all’Urbanistica e all’Expo a Monza. In questa veste, nel 2012 è finito per due volte nel registro degli indagati. La prima per peculato, per una bolletta da 5.144,16 euro in due mesi con il telefonino del Comune. La seconda per istigazione alla corruzione, insieme a Paolo Berlusconi. Secondo l’accusa avrebbe fatto pressioni sull’amministrazione di centrodestra della città brianzola per sbloccare il grosso affare immobiliare della Cascinazza (http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/05/23/monza-romani-paolo-berlusconi-indagati-laffare-cascinazza/239506/ ), un’area di interesse della famiglia Berlusconi. Entrambe le inchieste sono ancora in corso. Gli elettori lo ritroveranno puntualmente al blindatissimo numero sei della lista Pdl per il Senato in Lombardia.
E, ancora, al numero sei della circoscrizione Camera 2, sempre in Lombardia – anche il deputato Antonio Angelucci, il patron della Tosinvest, gruppo impegnato nella sanità e nei giornali, e coinvolto in diverse vicende controverse su entrambi i fronti.
Ricordiamo che La Tosinvest è stata condannata a pagare una multa di 103mila euro all’Autorità garante per la vicenda dei fondi pubblici per l’editoria percepiti indebitamente per i quotidiani Libero e Il Riformista e proprio ieri Giampaolo Angelucci, figlio di Antonio, si è visto chiedere una condanna di quattro anni e sei mesi dalla Procura di Bari per una presunta tangente di 500mila euro pagata all’allora governatore Raffaele Fitto, coimputato e capolista alla Camera in Puglia (http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/21/tangenti-pm-brai-chiede-sei-anni-e-mezzo-per-ex-ministro-fitto/476239/).
Altro che pulitura e cambiamento: le maglie etiche del Pdl sono larghe come in passato.
In Sicilia corre per Camera e Senato un nugolo di impresentabili idealmente capitanati dall’ex ministro Saverio Romano, ancora indagato per corruzione, e dall’ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì, sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa. In Calabria, il partito di Berlusconi non ha trovato di meglio che candidare, tra gli altri, Demetrio Arena, il sindaco che si è visto sciogliere per infiltrazioni mafiose il Comune di Reggio Calabria.
In Sardegna, poi, si ripresenta il senatore uscente Silvestro Lau, imputato per peculato.
Né mancano new entry per lo meno dubbie, come quella di del giornalista Augusto Minzolini, in lista a sorpresa in Liguria nonostante un processo in corso, anche lui per peculato, per le spese fatte con la carta di credito Rai da direttore del Tg1.
Non ci meraviglia, quindi, leggere che per se Berlusconi aspiri alla carica di presidente del Senato, poiché con eletti di questo tipo si sentirà davvero a casa sua e figura rappresentativa di un tal tipo di assemblea.
Come ha scritto Francesco Bei su Repubblica, con il Pdl cresciuto di sei punti in tre settimane, con le liste “ripulite” almeno in apparenza il Cavaliere è sempre più convinto non di vincere (anche una “passionista” come Alessandra Ghisleri ritiene il “miracolo” impossibile), ma di pareggiare; cioè di fare patta al Senato, conquistare il premio di maggioranza nelle quattro regioni in bilico – Sicilia, Lombardia, Campania e Veneto – per poter costringere Bersani alla trattativa sulla giustizia, perché, dietro a tutti gli stratagemmi e le parole, è questo il suo obiettivo strategico: uno scudo, un salvacondotto, per mettersi al riparo dalle tre sentenze di condanna che vede arrivare sempre più vicine, quelle dei processi Ruby, Mediaset e Unipol.

Carlo Di Stanislao

2 risposte a “La bella società”

  1. Gianpaolocugno ha detto:

    Pensi che io sono di sinistra, progressista, non ho mai incontrato nessuno del pdl, ho gia’ fatto un film cob la Disney visto in tutto il mondo e vincitore del Globo d’oro. E La bella societa’ non ha a che fare con la politica se non da punto di vista di un ragazzo Giuseppe che vive e soffre nella Sicilia povera di quegli anni. Solo il dialogo in cui dice che loro, i contadini del sud estremo e dimenticato, non hanno nessuno da cui scioperare rispetto agli operai della Fiat, che stimo e mi sento uno di loro, dato che mio nonno lo era.
    Ho fatto un film di montaggio, sperimentale. Ho osato invece della solita storia lineare. Tutto qui. Con professionalita’ e convinzione. Senza politica e condizionamenti.
    Con rispetto per ogni critica costruttiva sul cinema e per quelli che lavorano.
    Grazie
    Gian Paolo Cugno
    Gian Paolo Cugno

  2. Romano_f ha detto:

    All’autore di questo articolo rivolgo l’invito a precisare che il 6 gennaio 2013 la procura della repubblica di Palermo ha chiesto l’archiviazione dell’indagine per corruzione in capo a Saverio Romano. Puo’ consultare facilmente il giornale di Sicilia oppure repubblica Palermo del 7 gennaio 2013.

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