Due donne

Ricompare ad aprire la puntata numero uno della nuova edizione de “Le invasioni barbariche”, che Daria Bignardi ha voluto rinnovata, subito dopo il monologo d’apertura di Geppi Cucciari, reduce dal “G’Day” e a lavoro per il suo nuovo show in programma per marzo, messa alle strette dalla rete che le ha tolto la fascia pomeridiana […]

Ricompare ad aprire la puntata numero uno della nuova edizione de “Le invasioni barbariche”, che Daria Bignardi ha voluto rinnovata, subito dopo il monologo d’apertura di Geppi Cucciari, reduce dal “G’Day” e a lavoro per il suo nuovo show in programma per marzo, messa alle strette dalla rete che le ha tolto la fascia pomeridiana e spara a zero su Monti e Berlusconi, mentre riconferma la sua lealtà a Bersani, che tuttavia avverte di essere cauto e di non sottovalutare il suo avversario.
Matteo Renzi, dopo una lunga assenza, è di nuovo sul piccolo schermo, nella versione non più talk show, senza fronzoli e con una franchezza che intende sposarsi con l’esigenza di rappresentare l’attualità e i cambiamenti sociali, della fortuna trasmissione della Bignardi, che, con uno share del 5%, ha già superato di un punto quello già buono della scorsa stagione.
La puntata continua spedita con l’intervista a Lorenzo, al figlio del musicista metallaro di Antonio Amurri, che a sedici anni dal suo incidente sulle piste da sci che lo ha reso tetraplegico, ci parla di “Apnea”, il suo romanzo autobiografico nelle librerie dal 21 gennaio e poi ci presenta i prelibati racconti dei tre giudici (Joe Bastianich, Bruno Barbieri e Carlo Cracco) di “MasterChef”: il programma culinario di Sky, con uno share nettamente superiore e molti consimili format.
Per finire Tiziano Ferrio, che replica la bella chiacchierata fatta tempo fa nel salotto della Dandini a “The Show Must Go Off” e ci parla di bisogno di amore e di innamoramento, per commentare “L’amore è una cosa semplice”, il suo ultimo album, re delle classifiche italiane 2012 e vincitore di sei dischi di platino e commuoversi per il suo recente “amore perduto”.
La partenza è buona e ciò che già si vede è che la formula, con quattro interviste a serata ed una copertina, sarà certamente vincente.
Sul resto ancora mistero, a parte il fatto che verranno invitate sia personalità conosciute che ancora da raccontare, con uno sguardo sempre puntato sull’attualità e sul costume del Paese.
E si sa anche che, fra i politici, non vi saranno né Berlusconi né Bersani: il primo non inserito in elenco dalla brava giornalista ferrarese e il secondo che, ancora con grande fair play, ha preferito dare spazio alla versione di chi dalle Primarie del Pd è uscito sconfitto.
Vi sarà invece (almeno pare), Mario Monti, che in fatto di presenza televisiva ora non è secondo a nessuno.
La bravissima Daria Bignardi, nata a Ferrara, giornalista per Vanity Fair, autrice e conduttrice de Le Invasioni barbariche, nel gennaio 2009 ha pubblicato il memoir Non vi lascerò orfani (Mondadori) che ha vinto il premio Rapallo Carige per la donna scrittrice (giugno 2009), il premio Elsa Morante per la narrativa, il premio Città di Padova ed è stato tradotto in diversi paesi.
Nel novembre 2010 ha poi pubblicato il suo primo romanzo Un karma pesante, a cui ha fatto seguito, nel 2012, sempre per Mondadori, L’acustica perfetta: un percorso verso la verità che si cela al fondo di ogni relazione, verso il cuore buio che ciascuno di noi protegge anche dalle persone amate.
L’altra donna che oggi vogliamo esaltare è Hillary Clinton, non solo moglie di Bill, ma grande Segretario di Stato del primo governo Obama, da poco uscita dall’ospedale con un embolo che ne ha minacciato la vita, che ieri, sottoposta a un fuoco di fila di domande da parte delle Commissioni affari esteri sia del Senato che della Camera, non ha avuto paura di alzare la voce e di difendersi come una leonessa, sui fatti di Bengasi dello scorso settembre, quando quattro funzionari americani (fra cui l’ambasciatore Chris Stevens) sono stati uccisi da un gruppo di terroristi che hanno attaccato il consolato.
Hillary si è presentata in un tailleur verde brillante, indossando occhiali dalla montatura pesante blu e non ha mai dato segno di stanchezza, mostrandosi a volte irritata e sul punto di perdere le staffe. Ad accusarla più severamente sono stati i senatori Marco Rubio e Rand Paul, due giovani astri del Tea Party, entrambi con ambizioni presidenziali, e l’anziano John McCain, il rivale di Obama alle elezioni del 2008. Tutti e tre hanno fondamentalmente sostenuto di non credere che il Dipartimento di Stato abbia agito in modo corretto durante l’attacco contro il consolato, che abbia ignorato i cablogrammi dell’ambasciatore che chiedeva maggiori misure di sicurezza, e che abbia poi mentito al popolo Usa, nascondendo che il massacro era stato conseguenza di una missione terroristica e non di una spontanea manifestazione di protesta.
Molte domande si sono concentrate sulle spiegazioni dei primi giorni, e sulla testimonianza dell’ambasciatrice Usa all’Onu, Susan Rice, che in tv aveva spiegato l’attacco di Bengasi come una forma di protesta degenerata nella violenza e non come un attacco premeditato. A un certo punto, davanti al ripetersi di queste domande, Hillary ha alzato le braccia al cielo ed è sbottata: “Che differenza c’è a questo punto, se erano terroristi o un gruppo di persone uscite per una camminata che hanno deciso di ammazzare qualche americano? Quattro americani sono stati uccisi e il nostro compito ora è di accertarci che non avvenga di nuovo”.
E poi si è commossa ricordando la figura di Stevens ed il valore degli altri tre funzionari uccisi, aggiungendo che anche se il cuore di al Qaeda è stato sgominato, non si può abbassare la guardia, soprattutto alla luce dei fatti che stanno avvenendo in Nord Africa e in Mali.
Prima di rispondere alle domande, nel suo discorso introduttivo, la Clinton si era presa la responsabilità di quanto successo e di essere “determinata a lasciare il dipartimento di Stato ed il Paese più sicuro e forte”, aggiungendo poi che, comunque: “Gli attacchi terroristici che hanno tolto la vita a quattro americani coraggiosi sono parte di una strategia più ampia per sfidare gli Stati Uniti e i suoi partner in nord Africa”.
Commentando quella che potrebbe essere l’ultima uscita pubblica della Clinton come membro della amministrazione Obama, Lucina Di Meo sul Corriere oggi scrive che Hillary rappresenta tutto quello che una donna in politica può e deve essere: competente, libera, autorevole, capace di portare avanti i diritti delle donne sempre e comunque, e di gettare le fondamenta per un cammino verso la parità che non finisce con il suo mandato.
Ed aggiunge amara: “In Italia, una Hillary Clinton non esiste, non perché le italiane siano meno intelligenti o capaci delle americane, ma perché il sistema politico e la società penalizzano gravemente le donne, tagliando le loro ambizioni e vilificando la loro immagine. A febbraio abbiamo la possibilita’ di fare un piccolo passo in avanti, iniziare un cammino che permetta alle donne di essere piu’ degnamente rappresentate e servite dalla politica. Eppure, perche’ questo passo accada, quote a parte, e’ necessario pretendere dalle donne e dagli uomini che si candidano posizioni chiare su temi scomodi e necessari come l’aborto, la violenza domestica, la prostituzione e la licenza di paternità”.
Daria e Hillary, due donne diverse, che esprimono il meglio in ambiti differenti e ci ricordano che le grandi donne, brillano da sole a dispetto della costola di Adamo.
A maggio scorso, al Teatro Accènto di Roma, è andata in scena lo spettacolo di Angela Di Noto e Pascal La Delfa: “Roma: Singolare, femminile”; frammenti di una storia al femminile di coloro che hanno lasciato una traccia indelebile e, sfidando la cultura maschile, hanno contribuito a rendere unica la nostra Capitale.
Adesso pensando alla Bignardi, ma anche ad Hillary Clinton o a Michelle Obama, ci è più facile capire che, in ogni luogo e tempo, vi sono in giro, in ambiti diversi, le figlie e le nipoti di Giovanna La Papessa, Afrania, Ottavia, Paolina, Santa Prassede, Santa Cecilia, Donna Olimpia, Anna Magnani Elsa Morante e tante altre.

Carlo Di Stanislao

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