La Tragedia dello Space Shuttle Columbia, dieci anni fa, analisi di una catastrofe spaziale che si poteva evitare

“This cause of exploration and discovery is not an option we choose; it is a desire written in the human heart. We find the best among us, send them forth into unmapped darkness, and pray they will return. They go in peace for all mankind, and all mankind is in their debt”(Presidente George W. Bush, […]

“This cause of exploration and discovery is not an option we choose; it is a desire written in the human heart. We find the best among us, send them forth into unmapped darkness, and pray they will return. They go in peace for all mankind, and all mankind is in their debt”(Presidente George W. Bush, 4 Febbraio 2003). Dieci anni fa, il 1° Febbraio 2003, le vite di sette astronauti furono rapite sui cieli d’America nella peggiore tragedia spaziale di sempre. Lo Space Shuttle STS-107 Columbia, in fase di rientro sulla Terra dopo due settimane in orbita, si disintegra nell’atmosfera in uno spettacolare sfarfallio di luci iridescenti e tracce di gas incandescenti. Sopravvivono solo alcuni vermi custoditi in uno speciale “thermos” sperimentale sulla navetta. Scrissi il mio articolo speciale per il settimanale diocesano “L’Araldo Abruzzese” proprio sul Columbia e sui suoi sette valorosi eroi che avevano donato le loro preziose vite in nome della libera Scienza. Preconizzai le pesanti conseguenze che simili catastrofi avrebbero avuto nello sviluppo del programma spaziale umano oltre l’orbita terrestre (non soltanto per la Nasa) durante l’edificazione della prima grande Stazione Spaziale Internazionale. La Nasa non dimentica i suoi eroici astronauti e le loro famiglie. Oggi commemora non solo il decimo anniversario dell’incidente del Columbia con tutti gli Space Shuttle a terra, museificati e imbalsamati per sempre! Quel buon vecchio “mattone volante”, con le sue ali aperte verso il futuro, ha un significato fin troppo importante per gli Americani che non si rassegnano affatto al suo tragico e fatale destino. I pesanti tagli al bilancio pubblico della Nasa, secondo il Presidente Obama, sono serviti a salvare 722216main_dor_360la ISS, le sonde su Marte e le principali missioni automatiche (nucleari, a base di plutonio) interplanetarie verso Giove e Plutone. Ma il tributo alle sette vite del Columbia strappate per sempre ai loro cari in nome del progresso dell’Umanità, è vivo non soltanto negli Usa, in Israele (morì l’astronauta israeliano Ilan Ramon, immortalato nel film “Space Shuttle Columbia: Mission of Hope” di Daniel Cohen) e tra i lavoratori delle Agenzie spaziali pubbliche del mondo, ma anche tra le persone più semplici che amano l’astronomia, lo spazio, la libera impresa, l’astronautica, la salvaguardia del pianeta Terra, le scienze e il nostro futuro di pace nell’Universo. La memoria del Columbia è viva tra gli imprenditori delle missioni cosmiche i quali si apprestano, grazie alla Liberalizzazione dell’Impresa Spaziale Privata Commerciale varata negli Stati Uniti d’America, a conquistare il Sistema Solare per davvero, con più efficienza e in tempi più ragionevoli rispetto alle missioni burocratiche delle Agenzie istituzionali. Questo primo decimo anniversario del Columbia coinvolge tutti e non passerà inosservato neppure ai più asfittici, mefitici e paludati politicanti italiani europei “indifferenti” alle Questioni Spaziali, “incapaci – secondo molti potenziali governanti – di creare vero Pil” stellare anche in Italia. Segnali di speranza giungono dall’Agenda del Premier Mario Monti (www.agenda-monti.it) anche in sede continentale per il Bilancio dell’Unione Europea a favore delle Scienze, delle Tecnologie e dei Brevetti. La memoria del Columbia segna per la Nasa, il 1° Febbraio 2013, anche la commemorazione di altri due tragici anniversari: il disastro dell’Apollo 1 consumato il 27 Gennaio 1967 e la tragedia dello Space Shuttle STS-51 Challenger il 28 Gennaio 1986. Un tributo altissimo, altri dieci astronauti, morti nell’adempimento del loro dovere nel nome della libera Scienza. Ricordare queste tragedie, preservando i valori e i principi di libertà che sottendono l’esplorazione e la conquista dello spazio, può servire infatti all’ideazione, realizzazione e costruzione di navette spaziali commerciali sempre più sicure, grandi, efficienti e potenti. Negli Usa e in Europa. Visto che la Cina e l’Iran non stanno a guardare. Perché tutti i cittadini liberi hanno il diritto di accedere allo spazio liberamente e privatamente, non solo istituzionalmente. Quel 1° Febbraio 2003 lo Space Shuttle Columbia volava verso la Terra dopo 16 giorni in orbita a 350 Km di quota. Giorni coronati da un grande successo scientifico, durante i quali l’equipaggio aveva condotto, senza mai attraccare alla nascente Stazione Spaziale Internazionale (il Columbia non era dotato dell’apposito modulo di aggancio!), più di 80 esperimenti scientifici in micro-gravità (enfatizzati dal gagliardetto di missione) dalla biologia alla fisica dei fluidi. Il Columbia, tuttavia, era già condannato da 16 giorni. Nessuno apparentemente lo sapeva. Né a bordo né sulla ISS né sulla Terra. L’Orbiter era stato pesantemente danneggiato durante la fase di decollo, il 16 Gennaio 2003, quando dal serbatoio principiale di idrogeno e ossigeno liquidi, un pezzo di schiuma isolante aveva colpito ad elevata velocità l’ala sinistra della navetta spaziale aprendo nello scudo termico uno squarcio largo quanto un piatto, che le analisi e le simulazioni successive avrebbero giudicato “fatale”! Lo Shuttle Columbia per salvarsi non avrebbe mai dovuto fare ritorno sulla Terra, se le misure di sicurezza, poi effettivamente adottate, l’avessero previsto. Da quella falla nell’ala, durante il volo di rientro verso Cape Canaveral, in direzione Ovest-Est, sui cieli degli Stati Uniti sarebbero entrati i gas incandescenti prodotti dall’impatto della navetta con gli strati sempre più densi dell’atmosfera terrestre. Gas che in pochi istanti avrebbero liquefatto e disintegrato sopra il Texas (lo Stato del Presidente Bush) il Columbia e il suo equipaggio (il comandante Rick Husband, il pilota Willie McCool e gli speciali di missione Michael Anderson, Kalpana Chawla, David Brown, Laurel Clark e Ilan Ramon) seminando di detriti una vasta regione. I voli degli Shuttle furono sospesi per due anni e mezzo. Bisognava investigare sull’incidente. L’inchiesta della Nasa, a cura del Columbia Accident Investigation Board (CAIB), rivoluzionò la cultura della sicurezza nelle missioni spaziali umane, condannando per sempre il “mattone volante”, la cui obsoleta ingegneria aveva causato il disastro e il pensionamento anticipato deciso dal Presidente George W. Bush. La flotta degli Shuttle, dopo più di 30 anni di onorato servizio, sarebbe passata alla storia non appena completata la costruzione della International Space Station. Gli Shuttle superstiti furono smontati, riprogettati, rivoluzionati ed assemblati di nuovo grazie alle tecniche ed alle esperienze acquisite dalla tragedia del Columbia. I lanci ricominciarono nel Luglio 2005 per concludersi definitivamente nell’Estate 2011 con la missione finale dello Space Shuttle STS-135. Ultimata l’edificazione della ISS a 400 Km di quota, per il “mattone volante” era giunta la fine. Nel 2012 le tre navette, Discovery, Atlantis e Endeavour, una volta “bonificate”, sono state spedite ai musei della scienza di Washington, D.C., della Florida e della California, mentre lo Space Shuttle sperimentale Enterprise, che non aveva mai volato nello spazio, è stato inviato a New York City. Con la presidenza democratica di Barack Hussein Obama, subito dopo la cancellazione del Programma Constellation del Presidente repubblicano G.W.Bush (annunciato nel 2004, avrebbe dovuto riportare l’Uomo sulla Luna entro il 2020 per fondare una colonia permanente), grazie all’ingresso delle imprese spaziali commerciali private nell’Affare del nuovo terzo millennio, la Nasa ha affidato ad alcune industrie la progettazione e realizzazione di navette private per il lancio di astronauti Americani verso la Stazione Spaziale Internazionale e il loro rientro sulla Terra in totale sicurezza. Le prove sono in corso e tra alcuni mesi nuovi avveniristici Space Shuttle, degni del kolossal “2001 Odissea nello Spazio”, solcheranno i cieli del pianeta. Molte aziende, anche italiane europee, hanno risposto all’appello della Nasa, visto che sul vecchio continente ancora si dorme in tema di liberalizzazione dell’impresa spaziale privata! Nel frattempo la Nasa sta sviluppando un nuovo potente razzo vettore (decisamente concorrenziale all’europeo Vega), lo Space Launch System, e la capsula Orion per eventuali future (bilancio Nasa permettendo) missioni umane nello spazio profondo. Forse verso i più vicini asteroidi e comete o sulle lune di Marte. L’inchiesta sul Columbia mise in luce anche i molti “peccati” della Nasa, un’Agenzia pubblica inventata nel 1958, durante la Guerra Fredda, per portare l’Uomo sulla Luna e rispondere alla minaccia comunista sovietica di conquista del Cosmo. Il problema dell’isolante termico staccatosi dal serbatoio principale dello Space Shuttle Columbia, era noto da tempo. Anche quando gli uccelli della Florida erano soliti danneggiarlo, beccandolo e perforandolo con fin troppa facilità, poco prima di ogni lancio, tra lo stupore generale di tutti! Il Congresso e i media degli Stati Uniti, in questi 10 anni, non hanno mai cessato di investigare sul comportamento della Nasa e dei suoi impiegati addetti al programma spaziale. A cominciare dalla natura della missione del Columbia che, a differenza degli altri voli, non era destinata alla costruzione della Stazione Spaziale Internazionale. Bensì alla realizzazione di particolari esperimenti scientifici di ricerca “pura”, in orbita. In pratica i setti membri dell’equipaggio del Columbia, tra cui il colonnello Ilan Ramon dell’Agenzia Spaziale Israeliana, avrebbero dovuto spendere, secondo la Nasa, le loro 24 ore quotidiane, in due turni, nell’esecuzione degli 80 esperimenti in programma, analizzando esperienze di scienza dei materiali, geni e forme di vita. La Commissione istituzionale incaricata di far luce sulla triste vicenda, avrebbe appurato che in realtà la Nasa, durante quei sedici giorni di volo del Columbia, era effettivamente già al corrente dell’imminente tragedia in quanto alcuni specialisti a terra stavano investigando sul distacco del famoso pezzo di schiuma isolante, avvenuto precisamente 82 secondi dopo il lancio della navetta Columbia dalla base di Cape Canaveral. Quel frammento distaccatosi dalla rampa bipede che collega il serbatoio esterno allo Shuttle, avrebbe condannato i sette astronauti. La prova sarebbe tutta nel video del lancio analizzato dagli scienziati della Nasa dopo ogni decollo degli Shuttle, che mostra chiaramente l’istante in cui il blocco di schiuma colpisce l’ala sinistra del Columbia. Se ciò corrisponde a verità, non è da escludere che anche i sette astronauti a bordo avessero visionato il filmato. Consapevoli di essere definitivamente costretti alla fatale scelta di rimanere in orbita comunque condannati o di morire subito al rientro nell’atmosfera. Dai video realizzati sulla navetta durante quei 16 giorni e poco prima della catastrofe, nulla traspare! Gli astronauti appaiono tranquilli e felici. Non rassegnati. Non sembrano consapevoli del disastro imminente. Molte persone all’interno ed all’esterno della Nasa, sempre secondo il Rapporto, avrebbero fatto pressioni per ottenere in orbita immagini dettagliate dell’ala danneggiata. Si disse che il Dipartimento della Difesa fosse non soltanto interessato ma pronto a far uso di ogni tecnologia allora disponibile, anche dei propri satelliti spia, per ottenere immagini ad altissima risoluzione del Columbia. Tuttavia, colpevolmente, degli ufficiali della Nasa avrebbero declinato l’offerta, secondo quanto scoperto dal Columbia Accident Investigation Board (CAIB, www.nasa.gov/columbia/home/CAIB_Vol1.html) e cristallizzato nel Rapporto ufficiale “Comm Check” sul disastro. Per quale ragione? Forse perché i sette astronauti erano comunque condannati? Non avrebbero mai potuto raggiungere la ISS per mettersi in salvo, in attesa del volo Shuttle di emergenza! O forse sì? Secondo il Columbia Accident Investigation Board, non fu fatto l’impossibile né il possibile per evitare la tragedia. In pratica, venne meno la genialità della Nasa che aveva salvato l’equipaggio dell’Apollo 13. L’approccio orbitale del Columbia durante la fase di “de-orbiting” inizialmente fu da manuale. La navetta puntava decisamente verso il Kennedy Space Center con la corretta manovra atmosferica finale, cercando di frenare la sua incredibile velocità orbitale. Solo poco prima delle ore 9 A.M. (East Coast) delle letture anomale allarmarono i tecnici Nasa del Controllo Missione. Alcuni sensori di temperatura che tappezzavano l’ala sinistra dello Shuttle avevano smesso improvvisamente di funzionare. Le letture erano sparite insieme a quelle della pressione del carrello sinistro. Il Capcom, responsabile delle comunicazioni con lo Shuttle, chiamò il Columbia per sincerarsi della situazione e discutere della caduta del segnale dai sensori. Alle ore 8:59:32 A.M., dal comandante Husband fu ricevuto il seguente messaggio:“Roger”, seguito da una parola soffocata a metà frase. Pare ragionevole pensare che sia l’istante della morte dei sette astronauti. A quel punto, 16 minuti prima dell’atterraggio, il Columbia sorvolava Dallas viaggiando a Mach 18, cioè a una velocità 18 volte superiore a quella del suono, a 200.700 piedi (61.170 metri) di quota. Il Controllo Missione effettuò diversi tentativi per entrare in contatto con gli astronauti, senza successo. I gas incandescenti della bolla di plasma che aveva avvolto il Columbia, erano penetrati nella navetta disintegrando sensori, astronauti e tutto il resto. Venti minuti dopo, quando il Columbia avrebbe già dovuto toccare terra, un responsabile della missione ricevette una telefonata. Dall’altro capo del telefono qualcuno lo informava del video scioccante che mostrava la navetta in fase di disintegrazione. Subito dopo la Nasa dichiarò la “contingenza” per uno Shuttle ormai perso e ridotto a pezzi sui cieli del Texas e della amos-columbia-orbitLouisiana. Furono spedite squadre di soccorso soprattutto perché si temeva per l’incolumità delle persone dei due stati, a causa della caduta dei frammenti del Columbia. La Nasa dichiarò ben presto persi anche i sette astronauti. Fu un tragico giorno per la grande “famiglia” della Nasa, per le famiglie degli eroi dello spazio, per la nazione Americana, per Israele e il mondo intero. La ricerca dei pezzi dello Shuttle Columbia durò settimane, estesa su un’area di 5.180 chilometri quadrati nel Texas orientale. La Nasa recuperò 84mila frammenti del Columbia, ossia il 40 per cento della navetta spaziale. Tra quei pezzi anche i poveri resti dei sette astronauti che furono identificati grazie al loro Dna. Nel 2008 la Nasa pubblicò ufficialmente un Rapporto dettagliato sugli ultimi istanti di vita dell’equipaggio del Columbia. Gli astronauti furono coscienti, fino alla fine, del loro fatale destino. Sopravvissero alla disintegrazione iniziale della navetta, sotto i loro stessi occhi. Persero coscienza solo pochi secondi dopo la caduta di pressione nella cabina di comando e morirono inceneriti. Nelle settimane che seguirono il disastro del Columbia, una dozzina di ufficiali iniziò il vaglio delle registrazioni di bordo e da terra. A capo del team, Harold W. Gehman Jr., comandante in capo della U.S. Joint Forces Command. Il Columbia Accident Investigation Board avrebbe realizzato un Rapporto ufficiale in più volumi per spiegare al mondo le cause dell’incidente. Il Columbia poteva salvarsi? Oltre alla causa fisica, il pezzo di schiuma isolante, il Rapporto fece una schiacciante valutazione sulla cultura della sicurezza alla Nasa con l’analisi dei rischi all’epoca giudicati “accettabili” per quel genere di missioni umane nello spazio orbitale terrestre. Per intendersi, i parametri fisici accettati alla Nasa che, fino ad allora, avevano sempre consentito non soltanto il distacco di pezzi di Shuttle, a terra e in volo, ma anche altri problemi sempre minimizzati dall’ente spaziale americano. È quel che accade in Italia per la messa in sicurezza del territorio: un’ignoranza colossale che, grazie alla complicità dell’intera classe politico-burocratica, ha causato direttamente la morte di 309 persone a L’Aquila nel terremoto del 6 Aprile 2009 per un sisma di magnitudo momento 6.3 che avrebbe altrimenti fatto solo danni superficiali. Il “rischio accettabile”, valutato politicamente, è lo spartiacque tra la catastrofe e la salvezza. La Scienza pone sempre dei limiti. Ma spetta alla politica decidere quali assumere. Nel Rapporto sul disastro del Columbia si legge che “furono consentiti atteggiamenti culturali e pratiche organizzative a totale discapito della sicurezza” degli astronauti, sulla base della “dipendenza da successi passati” citati come “un sostituto per le corrette pratiche di ingegneria” e come “barriere organizzative che hanno impedito una comunicazione efficace delle informazioni critiche di sicurezza”. E problemi simili. Il Rapporto raccomandò alla Nasa di cercare spietatamente di eliminare i problemi di sicurezza, come quello del distacco dei pezzi di Shuttle, per salvaguardare la vita degli astronauti nelle future missioni. Fu chiesto alla politica di fare il suo dovere (più fondi certi alla Nasa) per sostenere l’Agenzia. Si consigliò di sostituire al più presto gli obsoleti Space Shuttle con nuovi vettori, senza tradire la vocazione “delle ali nello spazio”. Infatti, secondo il Rapporto, gli Shuttle sono un sistema di trasporto antiquato sul piano della realizzazione tecnologica, ma il loro “carattere” di navetta spaziale deve essere sviluppato, senza rinunziarvi, nell’interesse nazionale. Nell’immediato non si poté fare altro che reinventare il serbatoio esterno degli Shuttle, implementando le misure di sicurezza nella fusoliera e nella cabina (“muso”). Il 13 Luglio 2005 lo Space Shuttle STS-114 Discovery fu lanciato in orbita per testare le nuove procedure di sicurezza. Esse includevano l’uso costante di videocamere di bordo, anche in luce infrarossa. Consentivano agli astronauti, per la prima volta, di poter osservare ogni millimetro quadrato della navetta, grazie al braccio robotico in grado effettuare scansioni complete della pancia dello Shuttle, alla ricerca di eventuali piastrelle isolanti rotte, sia subito dopo la fase dell’ingresso in orbita sia poco prima del rientro. Aiutati anche dai colleghi della ISS, prima e dopo l’attracco orbitale. A terra la Nasa mise in azione una serie di videocamere in grado di riprendere il decollo degli Shuttle da più angolazioni per monitorarne la delicata partenza e navigazione. Misure che sarebbero state adottate sempre. Ma i problemi perdurarono. A causa della costante perdita di schiuma dal serbatoio esterno, più del previsto e dell’accettabile, il volo successivo dello Shuttle fu rinviato al Luglio 2006. Dopo il successo della missione STS-121, la Nasa giudicò il programma ormai maturo per andare avanti: le navette avrebbero ripreso a volare più volte l’anno. La perdita del Columbia viene commemorata ogni anno nel “Day of Remembrance”(www.nasa.gov/externalflash/DOR2013/index.html). Una data “estesa” tra la fine di Gennaio e gli inizi di Febbraio, per tributare l’omaggio anche agli equipaggi dell’Apollo 1 e dello Space Shuttle Challenger persi proprio in quella tragica settimana del calendario. Un tributo alla memoria di eroi che ora vengono celebrati anche su Marte. Il sito di atterraggio del rover Spirit è diventato il Columbia Memorial Station. Sette asteroidi in orbita nella Fascia Principale, tra i pianeti Marte e Giove, portano oggi il nome degli astronauti del Columbia. Il National Geographic Channel ha dedicato uno Speciale alla tragedia della navetta spaziale per il decennale:“Seconds to Disaster: Columbia’s Last Flight”. Grazie all’uso delle più moderne tecnologie informatiche oggi sappiamo tutto quel che accadde il 1° Febbraio 2003. Sono stati ricreati non solo gli ultimi minuti fatali del volo ma anche le procedure eseguite a terra e in orbita prima, durante e dopo la tragedia, offrendo uno spaccato sensazionale e senza precedenti di ogni fase dell’avventura dello sfortunato Columbia. Perché la storia di questa tragedia serva ad evitarne di altre e peggiori. Anche sulla Terra. Documentari più tecnici illustrano la vicenda da punti di vista differenti nei film “Columbia’s Last Flight” e “Astronaut Diaries: Remembering the Columbia Shuttle Crew”. Dal ritratto più intimo dei sette astronauti alla meccanica ed alla fisica della missione condannata dal fatale lancio del 16 Gennaio 2003. “Last Flight” offre un’esaustiva ricerca sui frammenti del Columbia e sul lavoro della commissione d’inchiesta. Nulla è lasciato al caso. Anche le interviste ai controllori di volo della missione che appaiono come “esperti” astronauti, e le comunicazioni interne con il Columbia, con il comandante Rick Husband e la sua disperata lotta per il controllo finale dell’Orbiter (ricordate i film “Core” e “Space Cowboys”?) poco prima della tragedia. Questi documenti offrono una toccante analisi di come la Nasa nel suo complesso affronta i disastri (a differenza di quel che accade nella politica italiana) per risorgere sempre dalle sue ceneri, come la Fenice. E sono le famiglie degli astronauti caduti, ad offrire il migliore esempio di cosa significa essere Americani oggi, sul territorio, indipendentemente dall’Amministrazione politica al potere alla Casa Bianca. L’impatto umano dell’incidente del Columbia, come rivela Jon Clark, marito della specialista di missione Laurel Clark, fu terribile. “Molte persone hanno commesso grandi, enormi errori – rivela Jon Clark nel film “Last Flight” frutto di cinque mesi di indagini parallele al lavoro della commissione d’inchiesta – avete avuto modo di vedere gli errori e di correggerli. Questa è la mia speranza per il volo spaziale umano”. Sì perché tra le cause della tragedia vi furono fallimenti culturali, di natura non solo meccanica ma umana, evidenziati da clamorosi punti-ciechi sulla sicurezza del volo spaziale. “Ma se i funzionari della Nasa fossero stati completamente al corrente della natura fatale del danno subito dal Columbia al momento del lancio, non avrebbero certamente rischiato il rientro atmosferico”, sostengono alcuni esperti della commissione. “Avremmo fatto sicuramente qualcosa” – afferma nel film, Hal Gehman, Ammiraglio in pensione della Marina Americana, a capo del Columbia Accident Investigation Board. Una cosa è certa. La tragedia avrebbe condannato tutti gli Shuttle. Per dare inizio a una nuova era nell’esplorazione spaziale privata dell’Universo. Anche per finalità commerciali. “Senza l’incidente del Columbia – rivela Wayne Hale, direttore di volo in 40 missioni Shuttle al Johnson Space Center della Nasa presso Houston, prima di diventare manager del programma spaziale nel 2005 – probabilmente oggi gli Space Shuttle volerebbero ancora”. Il Columbia fu il primo Space Shuttle a conquistare l’orbita bassa della Terra, nel suo volo inaugurale del 12 Aprile 1981. La navetta spaziale fu lanciata più di 27 volte nello spazio senza problemi apparenti per gli equipaggi. Nella sua ultima missione, era stata trasformata in un enorme laboratorio scientifico. I suoi sette astronauti sono morti da Scienziati. La prima tragedia a uno Space Shuttle si verificò il 28 Gennaio 1986 quando nella fase di lancio il Challenger, condannato dal cedimento di un anello “O” sul razzo “booster” destro a propellente solido — si disintegrò 73 secondi dopo il decollo, uccidendo i sette astronauti a bordo: il comandante Francis R. Scobee, il pilota Michael J. Smith e gli specialisti di missione Ellison S. Onizuka, Judith A. Resnik, Ronald E. McNair, Christa McAuliffe e Gregory B. Jarvis. L’Ammiraglio Hale sostiene che gli incidenti sono prevedibili, frutto di errori umani e di scarsa attenzione ai particolari. Lo studio dei dettagli è decisivo. “Pensavamo di non essere in errore – afferma Hale riferendosi al Columbia – pensavamo di aver fatto bene il nostro lavoro, eravamo troppo sicuri. Pensavamo di avere la navetta spaziale migliore di sempre, matura e in ambiente ben controllato e compreso. Nulla avrebbe potuto essere più lontano dalla verità”. Gli Shuttle rimasero a terra per due anni e mezzo prima di tornare a fendere l’atmosfera e raggiungere lo spazio. Il problema principale fu sempre quello dello scudo termico. Ne occorreva uno di nuova concezione. I protocolli di sicurezza furono perfezionati ma il problema non fu mai risolto. Così il Presidente Bush decise l’inevitabile, annunciando nel 2004 il ritiro delle navette, formalizzato nel 2011. Oggi l’America, in attesa delle astronavi private, dipende dalla Russia per raggiungere la ISS. “Il Presidente George W. Bush a quel tempo decise che avevamo bisogno di fare altre cose – sottolinea l’Ammiraglio Hale – bisognava cambiare la strategia nel suo complesso. Così fu fatto. Non solo fu deciso di ritirare gli Shuttle ma il Presidente si assunse la responsabilità del rilancio della conquista spaziale su altre basi e con altre prospettive, verso lo spazio profondo, e grazie a sistemi privati di lancio e trasporto di astronauti”. Oltre l’orbita bassa terrestre. “Tutto questo dopo la tragedia del Columbia”. Dai frammenti della navetta si salvarono dei amos-columbia-2piccoli vermi noti con il nome scientifico “Caenorhabditis elegans”. I nematodi parassiti sulla Terra infestano un gran numero di animali e di piante. Fu una sorpresa assoluta. Nessuno, prima del 1° Febbraio 2003, avrebbe mai scommesso un dollaro sulla loro sopravvivenza all’inteso calore sprigionato dalla disintegrazione del Columbia. I “Caenorhabditis elegans” della navetta spaziale Columbia, “sono stati fortunati” – ammette Nathaniel Szewczyk che si è occupato di loro dopo la tragedia. “Hanno subito delle bruciature esterne, tutto qui” – rivela lo scienziato. Il contenitore metallico delle dimensioni di un thermos che li proteggeva, era custodito all’interno di un compartimento specificamente rinforzato all’uopo. Una volta rotto, i vermi sono sopravvissuti sia alla disintegrazione sia allo schianto a terra grazie alla resistenza del contenitore. Sono rimasti in vita al momento dell’impatto, perché quando i frammenti della navetta sono caduti al suolo, avevano già ridotto considerevolmente la loro velocità, permettendo ai nematodi di atterrare più dolcemente. Bisogna anche considerare la loro resistenza dal momento che gli esperimenti non furono riconsegnati subito ai ricercatori: i frammenti del Columbia furono prima raccolti e poi sottoposti ad analisi e investigazioni. La maggior parte delle esperienze effettuate dall’equipaggio del Columbia era, infatti, di natura biologica. Furono osservate le differenti “espressioni” di certi geni nello spazio rispetto al loro comportamento sulla Terra. Poiché gli scienziati non ebbero subito accesso a quegli esperimenti dopo il disastro, la maggior parte dei risultati conseguiti dagli eroici astronauti del Columbia, andarono perduti per sempre. Ma non tutto. Si è finalmente capito, come rivelano gli studi Szewczyk e di Jay Melosh, che la vita può sopravvivere nello spazio e si può trasmettere da un mondo e da un sistema solare all’altro e viceversa. Una comunicazione vitale interplanetaria tra organismi viventi multicellulari che possono attraversare indenni la nostra atmosfera terrestre, magari nelle meteoriti, nel pulviscolo e dei piccoli frammenti cometari. Grazie agli eroi del Columbia. Le più grandi scoperte dell’Umanità giungono dal totalmente inatteso. Anche da circostanze tragiche e sfortunate come un disastro spaziale. Quella popolazione di vermi extraterrestri del Columbia ancora oggi è latrice di un messaggio potentissimo. La vita è più forte della morte. Le popolazioni di vermi simili, a bordo delle successive missioni Shuttle, sull’Atlantis e sulla Stazione Spaziale Internazionale, aiutano oggi gli scienziati a capire come la vita possa svilupparsi in microgravità. Non solo. Gli studi su quei vermi così apparentemente repellenti, aiutano direttamente anche lo sviluppo del Programma spaziale umano per il volo interplanetario. Come gli astronauti, infatti, perdono la loro massa muscolare in assenza di gravità, così i nematodi mostrano chiari segnali analoghi. Idem per i sintomi di diabete. I preziosi vermi della navetta spaziale Columbia, sono oggi gelosamente custoditi nel “Caenorhabditis elegans Genetic Center” dell’Università del Minnesota. Alcuni dei loro discendenti sono stati lanciati di nuovo nello spazio nel Maggio 2011 a bordo dell’ultimo volo dello Space Shuttle Endeavour. A riprova del fatto che la missione scientifica del Columbia fu coronata da un grande successo. Anche umanitario. Grazie al primo astronauta israeliano nello spazio, Ilan Ramon, che portò a bordo una piccola Torah sopravvissuta all’Olocausto perpetrato dai nazisti contro il popolo ebraico. Ne parla il film “Space Shuttle Columbia: Mission of Hope” che finalmente rende giustizia ai fatti, illuminando l’intera vicenda. “Il nostro documentario segue la storia della piccola Torah dal campo di sterminio di Bergen-Belsen al Columbia – rivela il regista Daniel Cohen – questa storia è molto potente. E farà su di voi lo stesso affetto che ha fatto su di me”. Ilan Ramon, un pilota dell’aeronautica militare dello Stato di Israele, sul Columbia era un “payload specialist” per la Israeli Space Agency. La madre e la nonna di Ramon erano sopravvissute al campo di sterminio di Auschwitz, la famiglia di suo padre era sfuggita alla persecuzione nazista in Germania poco prima della guerra. Prima di imbarcarsi sul Columbia per il suo ultimo volo, Ramon apprese dell’esistenza di un piccolo rotolo della Torah in miniatura che era stata usata durante la Seconda Guerra Mondiale, in gran segreto, per la “Mitzvah” (la cerimonia di maturità dei ragazzi Ebrei) di Joachim “Yoya” Joseph, all’età di 13 anni prigioniero nel campo di Bergen-Belsen. Un maestro rabbino gli insegnò le preghiere ebraiche in segreto ed eseguì il rito una mattina, all’alba, all’interno del campo, mentre gli altri prigionieri Ebrei mettevano coperte sulle finestre sorvegliando l’ingresso delle loro baracche. Joseph sopravvisse alla Guerra, allo sterminio, e diventò uno scienziato israeliano che lavorò nella missione Columbia insieme a Ramon. Il quale chiese a Joseph il permesso di far volare nello spazio quel prezioso rotolo come tributo alla nazione di Israele ed alle milioni di vittime innocenti dell’Olocausto. Ramon era consapevole dell’importanza degli oggetti personali che gli astronauti erano soliti portare nello spazio. Come figlio e nipote di sopravvissuti all’Olocausto era particolarmente sensibile al tema della Shoah. La sua missione doveva dimostrare al mondo chi fosse e da dove giungesse e cosa l’Olocausto rappresentasse per il suo popolo. Con la benedizione di Joseph, Ramon portò con sé sul Columbia la piccola Torah insieme a un disegno della Luna realizzato da un ragazzo di 14 anni ucciso ad Auschwitz dai nazisti, una copia della Torah offerta dal Presidente di Israele Moshe Katsav, e un “mezuzah”, il tipico oggetto rituale ebraico destinato ad essere opposto sullo stipite della porta di casa (è un contenitore che racchiude una pergamena, “claf”, su cui sono stilati i passi della Torah corrispondenti alle prime due parti dello “Shema”, la preghiera fondamentale della religione ebraica, con l’asserzione dell’unicità di Dio: “Ascolta, Israele: il Signore Dio nostro, il Signore è uno”, e gli obblighi), che aveva ricevuto a Los Angeles da alcuni Ebrei sopravvissuti all’Olocausto. Dallo spazio Ramon mostrò al mondo i suoi oggetti sacri, spiegandone il significato durante una diretta televisiva con la Terra. Il Decennale del Columbia assume quindi un significato molto particolare per la comunità ebraica, per i sopravvissuti della Shoah e per l’umanità intera. Il regista Cohen ha iniziato a lavorare al suo film subito dopo il disastro, impegnando gran parte del suo tempo e della sua professionalità. “L’incidente del Columbia ha segnato la nostra storia e le nostre vite per sempre – spiega Cohen – penso che dopo dieci anni possiamo guardare oltre e ricordare l’evento, con un tributo a quelle eroiche persone, riflettendo sul significato che esse rappresentano per tutti noi, sul dono che ci hanno portato, la speranza. È il modo migliore per ricordare il Columbia”. Il film è prodotto da Christopher G. Cowen, Herzog & Company/HCO e West Street Productions, per casa di produzione Playtone. Tom Hanks, Gary Goetzman e Mark Herzog compaiono tra i produttori esecutivi. “Space Shuttle Columbia: Mission of Hope” è la vera Storia del colonnello Ilan Ramon. “Il volo spaziale sarà sempre rischioso – ammette l’astronauta Charles Bolden, quattro volte nello spazio a bordo di uno Space Shuttle ed oggi amministratore della Nasa – ma gli eroi caduti, come Ilan, sono disposti a rischiare l’estremo sacrificio della vita pur di fare scoperte scientifiche importanti e spingere sempre più in là la frontiera delle conquiste umane”. Il film include interviste alla vedova di Ilan Ramon, Rona Ramon, ad altri familiari dei membri dell’equipaggio del Columbia, all’astronauta Garrett Reisman ed altri del Programma Spaziale della Nasa; all’astronauta canadese Steve MacLean; al Presidente di Israele, Shimon Peres ed a molte altre personalità. Il film è girato in varie località del mondo, da Gerusalemme al Kennedy Space Center a Washington D.C., e nello spazio. Include video privati di David Brown, uno degli astronauti del Columbia. “La storia è un viaggio nello spirito umano – fa notare Cohen – è uno straordinario racconto della speranza per il futuro, di fronte alla tregedia”. È costoso, difficile e pericoloso volare nello spazio? Le Agenzie pubbliche sono vincolate dai bilanci e dalla spesa corrente. Spetta alle multinazionali private come la SpaceX, la Virgin Galactic e tante altre, fare la differenza negli Usa, in Europa e nel mondo. Ora. Perché il nobilissimo sacrificio di uomini e donne che hanno offerto le loro esistenze per il progresso del genere umano nell’Universo, non vada assolutamente sprecato. Ma perduri per sempre. Dal profondo degli abissi della Terra alle altezze dello spazio e dei cieli, possa il semplice gesto di questi nostri eroi servire ad onorare la speranza di una Umanità in Pace sulla Terra e nei cieli, capace di adempiere alla promessa fatta alle generazioni passate e future. Di trasmettere la memoria e la conoscenza delle loro magnifiche vite.

Nicola Facciolini

Una risposta a “La Tragedia dello Space Shuttle Columbia, dieci anni fa, analisi di una catastrofe spaziale che si poteva evitare”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *