All’ILVA urge drastico cambiamento di rotta nelle politiche per l’azienda e la città

L’USB Taranto scrive una lettera aperta al ministro Clini per denunciare quanto sta avvenendo all’ILVA e chiedere un drastico cambiamento di rotta nelle politiche per l’azienda e la città. “In occasione della Sua venuta a Taranto – scrive Francesco Rizzo, coordinatore USB per l’ILVA – Lei espressamente faceva riferimento al principio di ‘chi inquina, paga’, […]

L’USB Taranto scrive una lettera aperta al ministro Clini per denunciare quanto sta avvenendo all’ILVA e chiedere un drastico cambiamento di rotta nelle politiche per l’azienda e la città. “In occasione della Sua venuta a Taranto – scrive Francesco Rizzo, coordinatore USB per l’ILVA – Lei espressamente faceva riferimento al principio di ‘chi inquina, paga’, riferendosi, naturalmente, ai danni prodotti dalla proprietà Ilva in questi ultimi diciassette anni”. “Le vorrei far presente quello che accade qui, in fabbrica – prosegue la lettera aperta – L’Ilva, continua a seminare panico tra i lavoratori, angosciati dal sistematico ricatto posto in essere dalla famiglia Riva, in particolar modo da quando essa è oggetto di attenzione da parte della magistratura tarantina. E’ già divenuta prassi la frase del Presidente Ferrante: ‘non garantiamo lo stipendio del prossimo mese’. (…) 1393 è il numero totale dei lavoratori Ilva che si vogliono aggiungere agli altri, già penalizzati e usati come scudi umani da molto tempo”, evidenzia Rizzo, in riferimento alla ulteriore cassa integrazione annunciata. Aggiunge il coordinatore USB: “Questa città, questa collettività, gli oltre 11.000 lavoratori dell’Ilva e i 4.000 dell’appalto, non possono più essere tenuti in ostaggio, utilizzati per forme di ricatto e di gratuita violenza psicologica, allo scopo di ostacolare il percorso della giustizia: in tribunale, gli imputati vanno difesi dagli avvocati”. “Sig. Ministro – conclude Rizzo – non vi è più spazio per gli escamotage e, per questo, si rende indispensabile una drastica terapia d’urto, un cambio di rotta rapido, prima che sia troppo tardi”. (…) Riva “non andrebbe più considerato come interlocutore, ma estromesso dal circuito industriale, prelevando e confiscando preventivamente i beni di sua proprietà, riportando nelle mani dello Stato ogni sito in suo possesso. Da qui ripatire nel rispetto delle prescrizioni di legge, per recuperare salubrità, serenità e sano sviluppo in un territorio che non meritava tanta cattiveria”.

Una risposta a “All’ILVA urge drastico cambiamento di rotta nelle politiche per l’azienda e la città”

  1. Niclas ha detto:

    L’Ilva ha più di cento anni, anche se lo stabilimento di Taranto ne ha poco più di cinquanta, preceduto, però, dall’arsenale che molto probabilmente non era meno inquinante. Il problema non è cercare dei responsabili a tutti i costi perché il diritto, per fortuna, richiede che ci sia un nesso causale fra la responsabilità e il danno e, le tanto sbandierate indagine epidemiologiche, non danno tale prova (si legga qualsiasi manuale di diritto penale). Dunque, ripeto che è tutto da dimostrare che l’inquinamento dell’Ilva, che ha provocato e provoca malattia e morte a Taranto, sia responsabilità dei Riva, senza considerare la massa inquinante pregressa, per la qual cosa è appena il caso di rammentare che una delle cause principali di inquinamento sono le polveri ammucchiate a cielo aperto, le quali non si sono certo formate esclusivamente dal 1996 ad oggi.
    Lo Stato ha le sue responsabilità visto che fino al 1995 era proprietario dell’acciaieria. La Magistratura è intervenuta dopo ben 55 anni e vorrebbe che da un giorno all’altro un problema di tale complessità venisse risolto. Ad ogni modo, a fronte di un giudizio pendente innanzi alla Corte Costituzionale e con un quadro giuridico altamente incerto e tipicamente italiano, nessun imprenditore è e sarebbe disposto ad investire. Per di più va considerato che l’acciaio prodotto per un valore di 800 milioni di Euro è sotto sequestro: tali beni sono stati prodotti quando gli impianti erano sotto la completa diponibilità dei custudi giudiziari. Perché la magistratura non ha spento gli impianti in quei quattro mesi? Se un impresa non può vendere ciò che ha prodotto e soggiace al rischio continuo di confisca, deve necessariamente ridurre il personale fino ad arrivare alla chiusura. Scandaloso come sempre l’uso e l’abuso della custudia cautelare in carcere e degli arresti domiciliari prima del terzo grado di giudizio in barba alla nostra Costituzione. Ancora più scandalose le dichiarazioni all’apertura dell’anno giudiziario presso la corte d’appello di Lecce, prese di posizioni in grado di determinare un processo che non è neanche alla prima fase di giudizio. Scusate , ma credo si sia perso il lume della ragione.
    Anche i giornalisti, così come tutte le televisioni , non hanno saputo ascoltare e criticato il discorso di Buffa.
    A mio modesto parere si è sbagliato l’obbiettivo, degno di merito è un processo chiuso, dove c’é la “quasi” certezza della responsabilità o dell’innocenza degli imputati.
    Portare come cavallo di battaglia processi appena aperti, oppure ancora da aprire(vedi ILVA) è davvero triste, se pensiamo che c’è gente che aspetta giustizia da anni ed anni.
    Che vergogna.E così l’Italia perderà anche la filiera dell’acciaio: povera Italia ma, soprattutto, povera Taranto.

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