Aria nuova o fritta?

Oggi il Corriere della Sera pubblica a pagina 2 le foto di Laura Boldrini e Pietro Grasso al momento dell’elezione alla presidenza di Camera e Senato. Una nomina che dà inizio alla XVII legislatura della Repubblica italiana già definita ‘diversa’ e ‘di rottura’, per molteplici motivi. Uno tra questi è evidente nella fotografia del Corriere […]

Oggi il Corriere della Sera pubblica a pagina 2 le foto di Laura Boldrini e Pietro Grasso al momento dell’elezione alla presidenza di Camera e Senato. Una nomina che dà inizio alla XVII legislatura della Repubblica italiana già definita ‘diversa’ e ‘di rottura’, per molteplici motivi.
Uno tra questi è evidente nella fotografia del Corriere di oggi: i neo-presidenti indossano un braccialetto di colore bianco al polso. Boldrini al polso sinistro, Grasso al polso destro, simbolo dell’impegno che hanno preso entrambi contro la corruzione fin dai tempi della campagna elettorale, quando probabilmente non si aspettavano affatto di diventare seconda e terza carica dello Stato.
Ieri i due neopresidenti sono andati a salutare il Capo dello Stato e, al termine dell’incontro soni usciti insieme al presidente e alla moglie Clio nella piazza per il cambio della guardia, sorridenti mentre centinaia di persone intonavano l’inno di Mameli suonato dalla fanfara dei Carabinieri.
Invece, dal suo rientro in Senato, Berlusconi intona minacce al’indirizzo di Bersani e dei “Pentastellati” e bacchetta i suoi perché tornino fra la gente, affermando di essere pronto ad un intervento al giorno, in Parlamento o in piazza, per cambiare una politica che non cambia da 70 anni. Ma senza dire che un terzo di questa lo ha visto assoluto protagonista.
Poi, mentre inforca e toglie gli occhiali scuri antiriverbero per gli occhi malati, dice che il Pdl é pronto ad appoggiare un Governo del Pd a condizione che per il Quirinale sia indicato un esponente del centrodestra e che si definisca come affrontare la situazione economica.
I bene informati dicono che lui immagina una prospettiva negativa, con Bersani che otterrà l’incarico di formare il governo da Napolitano anche se non ha la maggioranza perché si appoggerà ai voti dei grillini e dei montiani e pertanto che da parte dei suoi e degli alleati vi sarà la necessità di un impegno parlamentare superiore alle altre legislature.
Grillo, intanto, è incazzato e chiede, via internet come sempre, pubblica confessione e dimissioni dei votanti per Grasso, mentre, la sera prima della votazione, Il Fatto Quotidiano on line riferiva che Casaleggio aveva telefonato ai senatori del M5S riuniti in conclave per proporre la libertà di voto.
Jacopo Fo insiste e dice che il Pd deve fare una proposta che il M5S non può rifiutare: un governo con un premier che sia una persona di grande valore fuori dai partiti, e un programma dettagliato che vada anche al di là dei punti fin’ora proposti da entrambi gli schieramenti
Ed aggiunge che ci sono tante piccole leggi che non sono elencate in nessun programma ma che avrebbero un impatto straordinario e immediato sulla nostra economia.
Ad esempio adottare per il processo civile la procedura delle cause di lavoro, che è estremamente più rapida e permetterebbe alle aziende che stanno chiudendo, perché non riescono a farsi pagare le fatture, di avere giustizia in tempi rapidi.
Pierluigi Bersani tranquillizza le altre forze politiche e spiega: “Ieri le istituzioni hanno preso una boccata d’aria fresca, tra Paese e istituzioni ora c’è più amicizia”. In realtà, il Pd ha scelto una strada solitaria garantita dalla maggioranza alla Camera (dove però con pochi deputati Sel si assicura la presidenza con Boldrini) e strappato il risultato al Senato mettendo in crisi di coscienza i Grillini con il nome di Grasso. Ma la scelta di rinunciare alla nomenklatura sull’onda del nuovismo grillino è una conseguenza della egemonia che i 5 Stelle riescono ormai a esercitare sui Democrats. In nome della responsabilità e del cambiamento, Bersani chiede ancora un appoggio a tutte le forze politiche su crescita economica e moralizzazione della politica.
Ieri sera a In Onda, Ferrara e Bianca Berlinguer erano in vivo disaccordo su tutto, ma su una cosa concordavano (con gli altri giornalisti): Napolitano darà il mandato a Bersani perché deve, ma gli intimerà di restituirlo se, nel giro delle consultazioni, non troverà una larga intesa.
La ventata di novità portata in Parlamento dalle ultime elezioni ha iniziato a dare i suoi frutti. Di semplicità.
Laura Boldrini ha scelto di lasciare nel parcheggio della Camera l’auto blu ed è salita al Quirinale a piedi con una scorta minima.
Pietro Grasso non ha rinunciato, nonostante sia la sua prima uscita ufficiale da seconda carica dello Stato a partecipare e intervenire a un convegno sull’emergenza sicurezza a Roma programmato da tempo.
Ma tutto questo non è che un venticello che ma non può smuovere da solo la mefitica atmosfera accumulatasi nel tempo dentro agli stanzoni della politica.
Ancora adesso, dopo una elezione di fuoco ed improduttiva, le regole che assicurano  la società democratica sono messe a dura prova, con, da una parte Grillo con le sue offese, la sua volgare violenza, le parole di fuoco contro tutto e tutti, dall’altra il famoso centro,  quello dell’innovatore Monti che nell’arco di qualche mese ha preso i peggiori vizi della vecchia politica; tanto da candidarsi alla presidenza del Senato ignorando che  così avrebbe creato un ingorgo istituzionale degno di miglior causa.
E’ comunque questa doppia elezione fuori dagli apparati di partito, che si ricorda che il 40% dei parlamentari di centro-sinistra è donna e che la sinistra ha sempre ragionato in termini di meritocrazia, non può certo essere trascurata, come invece fa la più parte della stampa di sinistra.
Se si può capire la destra che biascica e denuncia il colpo di stato (in quante legislature l’hanno fatto loro, in quante legislature si è già fatto?), se posso capire quei grillini, per fortuna non tutti, che danno fiato alla tromba del comandante invocando la pelle di chi ha votato in coscienza, non si riesce a capire i rappresentati di quel popolo che si dice di sinistra, ma è tanto, politicamente e economicamente soprattutto, lontano da un’idea di sinistra, che neanche per un secondo è riuscito ad esultare di questa ventata d’aria nuova, che se non è risolutiva ci lascia almeno respirare.
Ostinatamente i partiti non hanno voluto cambiare legge elettorale, l’odiato Porcellum. Ma ancora di più ne hanno voluto forzare i cardini, portando così a quattro i blocchi presenti in aula. Il risultato è che nemmeno dopo l’avvilente naufragio della governabilità, il 25 febbraio, adesso si vogliono leggere con coraggio e rigore i numeri per trarne le doverose deduzioni. Così, l’orizzonte del necessario governo per il Paese è assolutamente incerto ed esposto ai pericoli di una vita breve, se non brevissima.
Nell’aprile del 1994, al Senato, tra Scognamiglio e Spadolini si finì sul filo dei numeri facendo intuire a tutti quanto fosse traballante e perciò destinata all’insuccesso la legislatura che si apriva all’insegna del maggioritario. E sappiamo come è finita.
Siamo felici dell’aria nuova nelle due Camere e sono stati bellissimi i discorsi di insediamento ed i nuovi atti dei due Presidenti. Ma va detto che, il Pd che ha ottenuto il successo ora va verso un cammino ancor più accidentato e Bersani sa benissimo come non basti calibrare le figure dei nuovi ed eventuali ministri su figure della società civile di area e non di partito, per riuscire nell’impresa. Insomma, le spaccature dei grillini sull’elezione di Grasso non sono un viatico sufficiente per garantire il futuro, poiché anche se bello e significativo, non si tratta di un patto politico o di una riuscita operazione di ”scouting”.
La strada scelta complica semmai altri tentativi di governo tecnico-sistituzionale che Napolitano potrebbe esplorare perché ha finito con l’irrigidire ulteriormente i rapporti tra le coalizioni rinsecchite consegnateci dalle urne.
Anche di recente, nel 2006, vi fu una situazione analoga e i partiti, una volta fotografato l’arido pallottoliere si misero al lavoro per una soluzione istituzionale che garantiva l’approvazione urgente di un programma in pochi punti, per poi tornare al voto. Lo scioglimento delle Camere non è tecnicamente possibile prima di metà maggio, quando sul Colle siederà il successore di Napolitano. Quindi ci sarebbe il tempo per quel pronto soccorso istituzionale di cui il Paese necessita per ripartire all’insegna della governabilità e dunque della stabilità necessarie, con un accordo su punti da tutti condivisi: legge elettorale, costi della politica fino e varo di un documento di programmazione economica prima dell’estate.
In apertura di Camere, il 15 marzo, mancava solo Berlusconi, per la terza volta in clinica e la seconda che tutte le sue amazzoni, salvate dalle urne, sedevano senza vederlo.
Mancava anche Maria Rosaria Rossi, assistente personale e perciò anche lei ricoverata, ma c’erano Pietro Longo, avvocato in seconda, e Ghedini, avvocato in prima, Verdini e Scilipoti, il preistorico e il post moderno che si somigliano e poi ancora Cirino Pomicino e Bossi e ancora Bruno Vespa, con Cicchitto che correva a congratularsi, mentre Alberto Orellana, candidato del Movimento 5 stelle alla presidenza del Senato, gli chiede perché si trovi lì.
E c’era l’ intero condominio dei “Pentastellati”, con brocche d’acqua portate da casa ed apriscatole in bella vista, infiltrati nelle mura del Parlamento, esattamente come quei rivoli che partono sotto traccia e poi irrompono nelle pareti del salotto, avanzanti a cuspide, tenendosi l’un l’altro, per prendere posto sulla fila in alto dell’emiciclo, perché da “lì si controlla meglio” e meglio, forse, si è controllati.
Ciò che adesso, dopo il voto di coscienza e le urla di Grillo è evidente e che essi non hanno l’immunità diplomatica che li renda capaci di libere scelte, ma restano solo, a conti fatti, lo strumento visivo ed operativo di un ex comico passato in politica, ma che se ne sta fuori e lontano dal posto dove la si dovrebbe esercitare.
La loro posizione mi ricorda quella dell’ambasciatore Mancini, che non avrebbe titolo all’immunità diplomatica, secondo quanto sentenziato dalla Suprema Corte indiana che aveva già ordinato al massimo rappresentante dell’Italia di non lasciare il Paese dopo la decisione del governo di Roma di non far rientrare in India Salvatore Girone e Massimiliano Latorre e che è il più esposto in terra straniera, in un contenzioso che imbarazza l’Europa intera ed anche gli Stati Uniti e che l’Italia, comunque, continua a gestire male.

Carlo Di Stanislao

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