Una questione spinosa

Polemiche su un governo ormai dimissionario ad horas, con un ministro, la Fornero, che, dimenticando il detto islamico di far girare la lingua 7 volte 77 in bocca prima di rispondere, dice che nella vicenda dei Marò l’esecutivo “ha un po’ perso la faccia”. Intanto emergono i retroscena della decisione: i ministri Terzi e Di […]

Polemiche su un governo ormai dimissionario ad horas, con un ministro, la Fornero, che, dimenticando il detto islamico di far girare la lingua 7 volte 77 in bocca prima di rispondere, dice che nella vicenda dei Marò l’esecutivo “ha un po’ perso la faccia”.

Intanto emergono i retroscena della decisione: i ministri Terzi e Di Paola avrebbero spinto per una posizione di chiusura nei confronti di Nuova Delhi; mentre la responsabile della Giustizia Paola Severino e il Quirinale sarebbero stati più orientati al dialogo e al rispetto dei patti (l'”affidavit” sottoscritto dall’ambasciatore italiano, che prevedeva il rientro in India dei marò al termine del permesso ottenuto per le elezioni).

Chi è soddisfatto è premier indiano Manmohan Singh, mentre il ministro Terzi difende lo “strappo” diplomatico su Repubblica e dice: “non avremmo potuto concordare col governo indiano le condizioni attuali”.

Nella notte fra il 20 ed il 21 i marò sono ripartiti per l’India, con la garanzia, da parte di New Delhi, che in caso di condanna non sarà applicata loro la pena di morte e che potranno risiedere nell’ambasciata italiana.

La Stampa di destra parla di un governo che perde la faccia e di una svolta ad U definita in una riunione del Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, con i vertici della Difesa, Esteri, Interno e Giustizia, che aveva deliberato nonostante le pressioni di Napolitano per far rimanere i marò in Italia.

Chi tira un respiro di sollievo è l’ambasciatore Daniele Mancini, che la Corte suprema indiana aveva bloccato e voleva punire per l’affidavit firmato, mentre le famiglie dei marò hanno spiccicato poche parole, frastornate: “Una cosa troppo grande” e con “morale a zero”.

Foglio e Giornale parlano di una “pagliacciata”, mentre La Lega, in una dichiarazione congiunta dei capigruppo Massimo Bitonci e Giancarlo Giorgetti, chiede che “il Governo riferisca urgentemente» in aula alla Camera e al Senato”.

Mentre Daniela Santanché urla “Vergogna!”, invitando a una manifestazione “contro chi calpesta la Costituzione e infanga la patria”, “Il governo gioca sulla pelle dei militari”, accusa il sindaco di Roma Alemanno e di “decisione surreale, PARLA LA vice presidente del Ppe Roberta Angelilli, che chiede al ministro degli Esteri Giulio Terzi di spiegare.

Mentre il presidente della Repubblica ha espresso ‘l’apprezzamento per il senso di responsabilità con cui i due marò hanno accolto la decisione del Governo, augurandosi un sollecito, corretto riconoscimento delle loro ragioni”, Terzi dichiara che in questo modo la “parola data da un italiano resta sacra”.

Antonio Padellaro su Il Fatto Quotidiano critica per intero l’atteggiamento del nostro governo sulla vicenda e scrive che il governo Monti ha scelto la strada peggiore e quella più disonorevole.

Relativamente poi agli ultimi fatti, parla di una vera idiozia, con tanto di firma di un impegno scritto che ha trasformato l’ambasciatore Mancini in una sorta di ostaggio.

La vicenda fa tornare in primo piano la questione di sempre: quanto valga la parola italiana.

Dal punto di vista dell’India, l’Italia ha commesso un vero e proprio atto di bullismo. C’era un accordo firmato dall’ambasciatore italiano a Nuova Delhi. Quanto vale la parola italiana? Furono gli stessi marò a dichiarare: “torneremo perché siamo italiani. Manteniamo la parola data”, quando fu permesso loro di rientrare in patria per un breve periodo, a Natale. E infatti tornarono. Ma a questo punto che vuol dire “mantenere la parola perché si è italiani” se l’Italia per prima non mantiene la sua parola?

Sull’altro piatto della bilancia c’è l’Italia, un Paese che comprensibilmente teme per i propri diritti e quelli dei suoi cittadini all’estero e che si è visto ripetutamente ostacolare tali diritti, in questo procedimento, prima con il rifiuto dell’India a tradurre gli atti del processo in Italiano, poi con il rigetto del riconoscimento della giurisdizione del caso al Tribunale internazionale, successivamente all’opposizione ad una perizia balistica di parte italiana sulle armi sequestrate sulla Enrica Lexie.

Secondo il nostro di punto di vista, l’India ha provato a mettere in atto una sorta di rappresaglia contro il mondo occidentale, prendendo come pretesto l’omicidio di due pescatori da parte di due soldati italiani, per sublimare un senso di rivincita contro chi pensa di poter fare con lei il bello e il cattivo tempo. Una sorta di: “punirne uno per educarne 100”.

In ogni caso la questione resta aperta e molto spinosa.

 Carlo Di Stanislao

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