BombAmerica /Reportage Fotografico

Non si sa ancora se la matrice è interna o internazionale, la prima suffragata dalle molteplici minacce agli Usa di al Qaida in tutte le sue ramificazioni; la seconda che poggia soprattutto su una serie di coincidenze temporali: l’anniversario della strage a Oklahoma City (il 19 aprile 1995, con 168 i morti), il termine per […]

Non si sa ancora se la matrice è interna o internazionale, la prima suffragata dalle molteplici minacce agli Usa di al Qaida in tutte le sue ramificazioni; la seconda che poggia soprattutto su una serie di coincidenze temporali: l’anniversario della strage a Oklahoma City (il 19 aprile 1995, con 168 i morti), il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi, che scadeva proprio ieri e il Patriots Day in Massachusetts.
Di certo c’è il numero delle vittime: tre fra cui un bambino di otto anni ed il fatto che l’America è ancora una volta sotto shock dopo le due esplosioni, a 12 secondi di distanza, che hanno trasformato in tragedia la maratona di Boston, che si corre da 117 anni ed è la più antica del mondo moderno.
Le misure di sicurezza sono state rafforzate in tutto il Paese, con la Federal Aviation Authority che ha imposto, per un breve periodo, la ‘no-fly zone’ sull’area dell’attentato.
Il sindaco di New York, Michael Bloomberg, ha detto che la sicurezza è stata aumentata “nei luoghi strategici e nelle principali infrastrutture, comprese le metropolitane” ed anche a Washington e Los Angeles la polizia presidia i luoghi più a rischio, mentre a Chicago, S. Francisco e nella altre grandi metropoli: “sta monitorando la situazione con attenzione”.
Gli USA si scoprono di nuovo vulnerabili, minacciati , nonostante i controlli ad alta tecnologia, da cellule dormienti, frange impazzite, e terroristi sciolti.
Ed anche l’Inghilterra si sente in pericolo, con Scotland Yard che ha rivisto le misure di sicurezza in vista della maratona di domenica a Londra.
Questo nuovo incubo americano è cominciato ieri, poco prima delle 15, due ore dopo che il primo maratoneta aveva tagliato il traguardo. Si sono uditi due potenti esplosioni, poi il fumo si è levato fitto davanti al palco degli arrivi e la gioia della gara si è trasformata in tragedia. Feriti tra i corridori, feriti tra il pubblico che si è alzato in preda al terrore in un fuggi fuggi convulso e generale.
Impressionanti le immagini riprese dalle telecamere, con la nuvola di fumo che si alza al lato della strada, lo spostamento d’aria, gli atleti che cadono a terra. E le grida di paura che, dopo pochi istanti, diventano il rumore predominante. I marciapiedi sono sporchi di sangue. Altri ordigni sono stati fatti brillare dagli artificieri. Evacuato il centro della città, chiuse le linee di telefonia mobile, per evitare l’innesco di nuove bombe via cellulare.
L’America è di nuovo precipitata nella paura e si sente, come accadde dopo l’11 settembre di 12 anni fa, un colosso dai piedi d’argilla, capace di immaginare ogni possibile dettaglio, ma in pericolo costante di fronte agli imprevisti.
Come scrive Alberto Negri, il primo obbiettivo del terrorismo, di qualsiasi tipo e matrice, è alterare la vita quotidiana, anche i momenti più innocui, diffondere il panico, la confusione, disorientare, propagare un timore del rischio incontrollato e incontrollabile; costringere la società e le istituzioni a reagire, magari con misure di controllo ancora più approfondite e invasive, che insieme alla paura creano la sensazione, reale o percepita, che i nostri spazi d’azione siano sempre meno liberi.
L’Fbi conferma: è terrorismo e l’America torna a sentirsi fragile e insicura.
La memoria torna, come sempre in questi casi, al fatto più tragico e luttuoso: all’11 settembre del 2001, quando il colpo al cuore dell’America segnò una svolta epocale per gli Stati Uniti e il resto del mondo trascinando l’Occidente sul fronte di guerra dell’Afghanistan contro Al Qaida e generò un clima di terrore che non si è mai completamente spento.
Ma anche la pista interna non è da escludere. Anzi, qualcuno intravede degli indizi per dare consistenza a questa ipotesi, come il dibattito aperto in America sul porto d’armi.
Un altro fatto è certo, a parte i morti ed i 144 feriti: negli Stati Uniti, prima di ieri, il dibattito sulla sicurezza nazionale sembrava passato in secondo piano, anche durante la campagna per le presidenziali.
Adesso torna d’attualità in America e, forse, nel resto del mondo.
C’è un film del 1975, di Joseph Sargent, intitolato: “La notte in cui l’America ebbe paura”, che ricostruisce il clima di panico generale la notte di Halloween del 1938, quando Orson Welles trasmise alla radio l’adattamento teatrale de “La guerra dei mondi” di H. G. Wells e milioni di americani si riversarono nelle strade convinti che la nazione fosse stata invasa dagli alieni.
Credo che oggi il clima sia lo stesso, ma che nessuno giunca a tranquillizzare i cittadini sul fatto che si è trattato di un montaggio.
Valerio Zucconi, grande giornalista e grande esperto di fatti statunitensi, dice che da sempre la paura tiene in ostaggio gli americani, deboli in uno stato forte, diversi ed anzi contrari a noi italiani, nonostante la loro ideologia dica l’opposto.
Come scriveva mesi fa Paola Righi, dovrebbe far riflettere il fatto che, negli Stati Uniti, i casi di cronaca nera sono complessivamente diminuiti, ma che lo spazio che viene loro dato nei mezzi di comunicazione è sempre maggiore (il sospetto è sempre l’uomo di colore, ripreso a terra, avvinghiato al poliziotto, come nelle serie tv).
Il fatto è, al di là del terrorismo, che, come ci dice l’ultimo film di Michael Moore, che la rivoluzione armata è sempre stata all´origine della storia americana e che quindi gli americani vivono nel terrore di essere sterminati, sin dai tempi dei Padri Pellegrini.
Inoltre, oggi, la psicosi della paura e della violenza è legata al senso di inadeguatezza e non accettazione che accompagna la vita sociale di molti americani, ossessionati da modelli irraggiungibili. Ed è alimentata ogni giorno dai mass media con i bollettini di cronaca nera,  da una politica estera basata sull’attacco e da un Presidente (di qualsiasi tipo, conservatore o democratico), pronto a inseguire cattivi in tutto il mondo e ad annientarli, alimentando così la paranoia collettiva contro idee non conformi alla normalità americana.
Si consideri poi, che uno statunitense su sei ricorre agli aiuti alimentari e lo scorso giugno è stata raggiunta la cifra record di 46,7 milioni di cittadini costretti a ricorrere ai “food-stamp” (i buoni pasto governativi) su 310 milioni di abitanti.
L’8 febbraio 2012 sul sito della Bbc un importante ex premier malese Mohamad Mahathir dichiarava che “l’Europa è povera, vive al di sopra dei propri mezzi e deve imparare dall’Asia a lavorare di più, perché la moneta non è una merce, è solo carta stampata se dietro non ha oro, petrolio o qualcosa di solido”, e aggiungeva che questo riguarda anche gli USA, che da sempre si sono sentiti superiori a tutto.
Ricordava quel campione di realismo storico che fu Benedetto Croce, che le alleanze cambiano secondo gli interessi e gli Stati preferiscono la potenza all’impotenza e che, qualche tempo fa, la Cina ha firmato un trattato commerciale-finanziario col Giappone (il secondo tra i creditori Usa), per il quale le due potenze si sono impegnate a non usare per i loro scambi né dollaro, né euro.
Forse è il momento di rivedere certe alleanze e certe condotte e strategie e guardare non al modelo americano come esempio, ma, ad esempio, a quello Brasiliano che oggi, in fatto di Pil, ha superato addirittura la Gran Bretagna.
Attacchi asimmetrici in Iraq e Afghanistan hanno messo in ginocchio il più potente apparato bellico del pianeta. La crisi del liberismo finanziario sfrenato ha fatto crollare le sicumere certezze di USA ed Europa nel 2008.
La politiche adottate non hanno né vinto il terrorismo né ridotto il rischio di povertà. Tutto questo ci dice che la rotta fin qui seguita è da considerarsi sbagliata.

Carlo Di Stanislao

Tutte le foto del giorno del terrore di Boston su http://www.improntalaquila.org/grandireportage/2013/04/terrore-alla-maratona-di-boston-foto/#more-741

 

 

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