Un Conservatore alla Presidenza della Repubblica Italiana

“Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservarne lealmente la Costituzione”(Articolo 91, Costituzione Italiana). Un Conservatore al Quirinale. Le speranze degli Italiani sono tutte riposte nella nuova Presidenza della Repubblica. Alla ricerca dell’indiscussa figura istituzionale di altissimo profilo intellettuale e morale che salvi la Nazione dal baratro, l’Italia ha bisogno di un Partito Conservatore […]

“Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservarne lealmente la Costituzione”(Articolo 91, Costituzione Italiana). Un Conservatore al Quirinale. Le speranze degli Italiani sono tutte riposte nella nuova Presidenza della Repubblica. Alla ricerca dell’indiscussa figura istituzionale di altissimo profilo intellettuale e morale che salvi la Nazione dal baratro, l’Italia ha bisogno di un Partito Conservatore che faccia da contraltare in Parlamento al Partito Democratico, come succede nelle più grandi Democrazie occidentali. È il senso più autentico del Giuramento del neo eletto Presidente della Repubblica Italiana nell’Anno Domini 2013: l’atto ufficiale col quale ufficialmente il Presidente assume la carica ed i relativi poteri, prestando giuramento davanti al Parlamento in seduta comune ed ai delegati regionali, presso la Camera dei deputati, al Palazzo di Montecitorio. La cerimonia del Giuramento del Presidente della Repubblica si svolge a Roma nel giorno dell’effettiva presa dei poteri e dell’insediamento. Il Segretario Generale della Camera dei deputati accompagna l’eletto a Montecitorio, mentre la campana del Palazzo della Camera dei deputati rintocca fino all’arrivo del Presidente della Repubblica. Qui il nuovo capo dello Stato giura fedeltà alla Costituzione della Repubblica. Dopodiché, come da tradizione, 21 colpi di cannone salutano il nuovo Presidente. Dopo il Giuramento il capo dello Stato pronuncia il discorso di insediamento dinanzi al Parlamento riunito in seduta comune. Il Presidente della Camera invita il nuovo capo dello Stato a giurare secondo l’Articolo 91 della Costituzione Italiana, con la seguente formula: “Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservarne lealmente la Costituzione”. All’inizio della seduta i Presidenti di Senato e Camera con il neo Presidente della Repubblica siedono insieme, nella postazione propria del Presidente della Camera. Il Presidente di Montecitorio, come Presidente secondo la Costituzione del Parlamento in seduta comune, siede al centro, mentre il Presidente del Senato è alla sua sinistra e il neo Presidente della Repubblica alla sua destra. Dopo che il Presidente della Repubblica ha giurato, questi si scambia di posto con il Presidente della Camera, per leggere il suo primo Messaggio alle Camere ed alla Nazione. Al termine del giuramento il nuovo Presidente si reca a rendere omaggio all’altare della Patria, al Milite Ignoto, dove il Sindaco di Roma gli porge il saluto della Capitale. Di seguito, a bordo di una Lancia Flaminia, scortata dal Corpo dei Corazzieri e in compagnia del Presidente del Consiglio in carica, il nuovo capo dello Stato sfila per le vie di Roma verso il Quirinale. La cerimonia si conclude con un nuovo Discorso del Presidente dinanzi alle più alte autorità civili e militari della Repubblica, con il commiato del Presidente emerito della Repubblica, e con la consegna da parte di quest’ultimo al nuovo Presidente delle Insegne di Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell’OMRI. Ma quali sono le funzioni del capo dello Stato? Il Presidente della Repubblica è un organo costituzionale eletto dal Parlamento in seduta comune, integrato da rappresentanti delle regioni (tre per ognuna, ad eccezione della Valle d’Aosta, che ne ha uno solo, per un totale di 58) e dura in carica per sette anni. Nell’Aprile 2013 i Grandi Elettori sono stati 1007. La Costituzione stabilisce all’Articolo 84 che può essere eletto Presidente qualsiasi cittadino/a italiano/a che abbia compiuto i cinquant’anni di età e che goda dei diritti civili e politici. La residenza ufficiale del Presidente della Repubblica è il Palazzo del Quirinale di Roma, che indica spesso la stessa Presidenza. Dal 2006 al 2013 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, è stato l’undicesimo capo dello Stato. Ai sensi dell’Articolo 83 della Costituzione, “il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato. L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta”. Per garantire un consenso il più possibile esteso intorno a un’Istituzione di garanzia, nelle prime tre votazioni è necessaria l’approvazione dei 2/3 dell’assemblea (maggioranza qualificata). Per le votazioni successive è sufficiente la maggioranza assoluta. La carica dura sette anni per impedire che un Presidente della Repubblica possa essere rieletto dalle stesse Camere, che hanno mandato quinquennale, e per contribuire a svincolarlo da eccessivi legami politici con l’organo che lo vota. Non è previsto alcun divieto alla rieleggibilità dello stesso Presidente uscente. La sede per la votazione è quella della Camera dei deputati. Il Presidente entra in carica dopo aver prestato giuramento al Parlamento al quale si rivolge tramite un messaggio presidenziale. La Costituzione enumera le attribuzioni e le facoltà del Presidente della Repubblica, che, ai sensi dell’Articolo 87. In relazione alla rappresentanza esterna, il Presidente accredita e riceve funzionari diplomatici, ratifica i trattati internazionali su proposta del governo e previa autorizzazione delle Camere quando occorre, effettua visite ufficiali all’estero accompagnato da un esponente del governo, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. In relazione all’esercizio delle funzioni parlamentari, il Presidente nomina fino a cinque senatori a vita, invia messaggi alle Camere, le convoca in via straordinaria, le scioglie salvo che negli ultimi sei mesi di mandato (semestre bianco) a meno che non coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi di legislature, indice le elezioni e fissa la prima riunione delle nuove Camere. In relazione alla funzione legislativa e normativa, il Presidente autorizza la presentazione in Parlamento dei disegni di legge governativi, promulga le leggi approvate in Parlamento, rinvia alle Camere con messaggio motivato le leggi non promulgate, ne chiede una nuova deliberazione (se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata), emana i decreti-legge, i decreti legislativi e i regolamenti adottati dal governo. In relazione all’esercizio della sovranità popolare, il Presidente indice i referendum e in caso di esito favorevole dichiara l’abrogazione della legge ad esso sottoposta. In relazione alla funzione esecutiva e di indirizzo politico, il Presidente nomina dopo opportune consultazioni il presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri; accoglie il giuramento del governo e le eventuali dimissioni, emana gli atti amministrativi del governo, nomina alcuni funzionari statali di alto grado, presiede il Consiglio Supremo di Difesa e detiene il comando delle forze armate, benché in qualità di ruolo di garanzia, non di comando effettivo; decreta lo scioglimento di consigli regionali e la rimozione di presidenti di Regione. In relazione all’esercizio della giurisdizione, il Presidente presiede il Consiglio Superiore della Magistratura, nomina un terzo dei componenti della Corte costituzionale; concede la grazia e commuta le pene. Dal 1992 questi compiti vengono disposti con Legge dello Stato, votata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera. Il capo dello Stato conferisce inoltre le onorificenze della Repubblica Italiana tramite decreto presidenziale. La Costituzione all’Articolo 89 prevede che ogni atto presidenziale per essere valido debba essere controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità, e richiede la controfirma anche del presidente del Consiglio dei ministri per ogni atto che ha valore legislativo o nei casi in cui ciò viene previsto dalla legge. Come avviene per esempio per la nomina dei giudici costituzionali. Come stabilisce l’Articolo 90 della Costituzione, il Presidente della Repubblica non è responsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne per alto tradimento o per attentato alla Costituzione, per cui può essere messo sotto accusa dal Parlamento. L’assenza di responsabilità, principio che discende dall’irresponsabilità regia nata con le monarchie costituzionali, nota sotto la formula “The King can do no wrong” (“il Re non può sbagliare”), consente al Presidente di poter adempiere alle sue funzioni di garante delle istituzioni stando al di sopra delle parti. La controfirma del ministro evita che si crei una situazione in cui un potere non sia soggetto a responsabilità: il ministro che partecipa firmando all’atto del presidente potrebbe essere chiamato a risponderne davanti al Parlamento o davanti ai giudici se l’atto costituisce un illecito. L’istituto della controfirma assume diversi significati a seconda che l’atto del Presidente della Repubblica sia sostanzialmente presidenziale, ovvero derivi dai “poteri propri” del Presidente e non necessitano della “proposta” di un ministro, oppure sostanzialmente governativi come si verifica nella maggior parte dei casi. Nel primo caso la firma del ministro accerta la regolarità formale della decisione del capo dello Stato e quella del Presidente ha valore “decisionale”, nel secondo quella del Presidente accerta la legittimità dell’atto e quella del ministro ha valore “decisionale”. Questioni in dottrina nascono in merito alla distinzione tra atti sostanzialmente presidenziali e atti formalmente presidenziali. Un vero e proprio conflitto si è creato in merito alla titolarità del potere di grazia e al ruolo del ministro della Giustizia, tra l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e l’ex guardasigilli Castelli: la Corte costituzionale nel Maggio 2006 ha stabilito che il potere di concedere la grazia è prerogativa presidenziale e che il ministro della Giustizia è tenuto a controfirmare il decreto di concessione, pur mantenendo questi un controllo sul requisito delle “ragioni umanitarie” per la concessione della grazia. Gli unici “atti” che il Presidente della Repubblica può compiere senza l’obbligo di controfirma sono quelli che il capo dello Stato compie nell’esercizio delle sue funzioni di presidenza del CSM e del Consiglio Supremo di Difesa, le dichiarazioni informali (o esternazioni), la nomina di senatori a vita, lo scioglimento delle Camere. E, ovviamente, nel dare proprie dimissioni. Nella prassi ogni Presidente ha interpretato in modo diverso il proprio ruolo e la propria sfera di influenza, con maggiore o minore attivismo. In generale la potenziale rilevanza delle prerogative a essi conferite è emersa soprattutto nei momenti di crisi dei partiti e delle maggioranze di governo, rimanendo più in ombra nelle fasi di stabilità politica. In stretta connessione con questo fenomeno “interventista”, sicuramente “rivoluzionario” per la nostra Carta, è emersa anche la critica, inusitata in passato, alla natura “super partes” del capo dello Stato, negata da chi vi ha visto comunque l’espressione di un’esperienza politica riconosciuta e premiata dalla maggioranza che l’ha votato. A tale critica risponde il Presidente Giorgio Napolitano, affermando anzitutto che “quella del capo dello Stato ‘potere neutro’, al di sopra delle parti, fuori della mischia politica, non è una finzione, è la garanzia di moderazione e di unità nazionale posta consapevolmente nella nostra Costituzione come in altre dell’Occidente democratico”. Quindi ciò non va confuso con l’estrazione politica di provenienza, come precisa lo stesso Napolitano: “Tutti i miei predecessori – a cominciare, nel primo settennato, da Luigi Einaudi – avevano ciascuno la propria storia politica: sapevano, venendo eletti capo dello Stato, di doverla e poterla non nascondere, ma trascendere. Così come ci sono stati Presidenti della Repubblica eletti in Parlamento da una maggioranza che coincideva con quella di governo, talvolta ristretta o ristrettissima, o da una maggioranza eterogenea, e contingente. Ma nessuno di loro se ne è fatto condizionare”. Oltre che alla naturale scadenza di sette anni, il mandato del Presidente della Repubblica può essere interrotto per dimissioni volontarie, morte, impedimento permanente dovuto a gravi malattie, destituzione nel caso di giudizio di colpevolezza sulla messa in stato d’accusa per reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione, e decadenza per il venir meno di uno dei requisiti di eleggibilità. In caso di impedimento temporaneo, dovuto a motivi transitori di salute o a viaggi all’Estero, le funzioni vengono assunte temporaneamente dal Presidente del Senato. Gli ex Presidenti della Repubblica prendono il nome di Presidenti emeriti della Repubblica e assumono di diritto la carica, salvo rinunzia, di Senatore di diritto ed a vita. Per garantire la sua autonomia e libertà, è riconosciuta al Presidente della Repubblica la non-responsabilità per qualsiasi atto compiuto nell’esercizio delle sue funzioni. Le uniche eccezioni a questo principio si configurano nel caso che abbia commesso due reati esplicitamente stabiliti dalla Costituzione: l’alto tradimento, cioè l’intesa con Stati esteri nemici, o l’attentato alla Costituzione, cioè una violazione delle norme costituzionali tale da stravolgere i caratteri essenziali dell’ordinamento al fine di sovvertirlo con metodi non consentiti dalla Costituzione. In tali casi il Presidente della Repubblica viene messo in stato di accusa dal Parlamento riunito in seduta comune con deliberazione adottata a maggioranza assoluta, su relazione di un Comitato formato dai componenti della Giunta del Senato e da quelli della Camera competenti per le autorizzazioni a procedere. Una volta deliberata la messa in stato d’accusa, la Corte Costituzionale integrata da 16 membri esterni ha la facoltà di sospendere il capo dello Stato in via cautelare. Nella storia repubblicana si è giunti in un solo caso alla richiesta di messa in stato d’accusa, nel Dicembre 1991 contro il Presidente Francesco Cossiga. Il caso si chiuse con la dichiarazione di manifesta infondatezza delle accuse da parte del Comitato Parlamentare, peraltro giunta quando il settennato si era già concluso. Per i reati commessi al di fuori dello svolgimento delle sue funzioni istituzionali (come un’infrazione al Codice della strada), il Presidente è responsabile come qualsiasi cittadino. In concreto, però, una parte della dottrina ritiene esista improcedibilità in ambito penale nei confronti del Presidente durante il suo mandato. Nel caso del Presidente Oscar Luigi Scalfaro, sotto accusa per peculato, di fronte al suo rifiuto di dimettersi ed alla mancanza di iniziative da parte del Parlamento, il processo fu dichiarato improcedibile. Il capo dello Stato può dar vita a illeciti compiuti al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni: in questi casi varrà l’ordinaria responsabilità giuridica. In particolare, se è difficile immaginare un vero e proprio illecito amministrativo coincidente con un reato funzionale, non si può invece escludere che il Presidente sia chiamato, sul piano civile, a risarcire un danno, per esempio per un incidente stradale. Secondo parte della dottrina, non sarebbe accettabile la tesi, rigettata a suo tempo in Assemblea Costituente da Umberto Elia Terracini, che il Presidente risponda di eventuali comportamenti criminosi solo alla fine del settennato: si dimetta o meno, egli deve rispondere subito per i reati di cui è accusato, pena l’ammissione di un privilegio inammissibile per gli Articoli 3 e 112 della Costituzione. Altra autorevole dottrina è favorevole al giudizio alla fine del settennato, sempre che nel frattempo non siano decorsi i termini di prescrizione, non escludendo le dimissioni del capo dello Stato sia pur solo qualora il reato commesso sia particolarmente grave. Si è cercato di porre riparo a questa incertezza con il cosiddetto “Lodo Schifani”, disponendo che i presidenti della Repubblica, del Consiglio, della Camera, del Senato e della Corte Costituzionale non possano essere sottoposti a procedimenti penali per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione fino alla cessazione delle medesime. Ne discendeva la sospensione dei relativi processi penali in corso in ogni fase, stato o grado. Secondo la Legge 140 del 2003 che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima, almeno in questa parte, per violazione degli Articoli 3 e 24 della Costituzione. Un provvedimento simile, con alcune correzioni dovute ai rilievi della Corte costituzionale, denominato “Lodo Alfano”, è stato proposto ed approvato durante la XVI Legislatura, ma anch’esso dichiarato illegittimo per violazione degli Articoli 3 e 138 della Costituzione. Al pari degli altri organi costituzionali, anche la Presidenza della Repubblica dispone di uffici e servizi dotati di una peculiare autonomia. Al vertice degli uffici della Presidenza è posto il Segretario generale, nominato e revocato dal Presidente in carica. Il valore aggregato degli stanziamenti per la Presidenza della Repubblica è contabilizzato in un’apposita voce di costo nel bilancio dello Stato. Formalmente la residenza ufficiale del Presidente della Repubblica Italiana è il Palazzo del Quirinale. Tuttavia non tutti i presidenti hanno scelto di abitare sul Colle, usandolo più che altro come Ufficio. Giovanni Gronchi fu il primo Presidente della Repubblica che nel 1955 non si trasferì stabilmente con la famiglia nel Palazzo del Quirinale come anche Sandro Pertini nel 1978. La tradizione di abitare al Quirinale è stata ripresa dal Presidente Scalfaro, a metà del suo mandato, ed è poi proseguita con i suoi successori. Il Presidente della Repubblica ha a disposizione anche la splendida Tenuta Presidenziale di Castelporziano, anche se raramente viene utilizzata: era la riserva di caccia della Famiglia Reale dei Savoia ed è stata incorporata nel patrimonio della Repubblica dopo la caduta della Monarchia. Una terza residenza del Presidente della Repubblica è Villa Rosebery, situata a Napoli, utilizzata in occasione delle visite nella città partenopea. Ma occorre un gesto di concordia e di saggezza nazionali per celebrare degnamente la Festa del 25 Aprile. Ossia, un atto di geniale lucidità politica. Per il puro e semplice servizio degli Italiani. Ne abbiamo bisogno adesso. Per alimentare in Parlamento la massima divisione politica democratica possibile tra chi vuole governare l’Italia per davvero (Maggioranza) e chi vuole stare all’opposizione (Minoranza). Per spezzare questa incredibile paralisi politica che deve finire al più presto. Come debbono assolutamente cessare i suicidi di disoccupati, imprenditori e lavoratori nel Belpaese. Causati non dalla depressione psichica ma dalla peggiore crisi economica del dopoguerra innescata da 20 anni di cattiva politica. Serve un segnale forte e generoso. Alla faccia delle indignazioni, dei tatticismi e degli scetticismi. Si apra una nuova stagione di responsabilità tra avversari leali e determinati. Nel rispetto della Costituzione della Repubblica. Noi Italiani abbiamo davvero bisogno di capire chi governa e chi sta all’opposizione. Chi è la Maggioranza e chi è la Minoranza. Nelle Camere e nel Paese, cioè sul territorio. Perché è impossibile e inammissibile che si vinca tutti e sempre. Abbiamo benedettamente bisogno di capire chi ci governa! Per disgregare il pessimismo e l’inazione, la paralisi economica, sociale, politica e costituzionale. Abbiamo bisogno di un Presidente della Repubblica che rappresenti il nostro Prodotto nazionale, la nostra Impresa nazionale, la nostra Comunità nazionale che lavora e vuol lavorare. Abbiamo bisogno di un capo dello Stato che sia il supremo garante della nostra civile Unità e Coesione nazionali. È il legittimo e sacrosanto interesse di tutti. Un Presidente con il “coraggio di dire la verità al Paese”. Pena, una guerra civile senza precedenti in Italia, quando si saranno prosciugati tutti i risparmi e il potere d’acquisto si sarà ridotto a zero! Siamo in una recessione che fra il 2008 e il 2012 ci ha fatto perdere più di 8 punti di Prodotto Interno Lordo che in soli 5 anni è stato riportato indietro di 13 anni. Al Duemila. Abbiamo circa tre milioni di disoccupati e tre milioni di inattivi che non cercano lavoro, ai quali vanno poi aggiunti i 2,2 milioni della cosiddetta “neet generation”, i giovani che non studiano e non lavorano. Siamo indietro rispetto a tanti degli obiettivi che l’Europa si è prefissata per il 2020. Mentre i partiti hanno riempito le Istituzioni di gente incompetente. È una crisi che sta colpendo duro il sistema produttivo, gli individui, le famiglie. Decine di migliaia di giovani fuggono all’estero per studio e lavoro con la prospettiva di non far più ritorno in Italia. Per tutti sono cresciute le insicurezze che hanno effetti-domino economici devastanti. Le imprese bloccano i piani d’investimento: magari dovrebbero farlo per innovare, ma preferiscono rinviarli. Invece di privatizzare l’esplorazione dell’Universo e di costruire in Italia vere astronavi interstellari con software e hardware perfettamente integrati, pensiamo ancora all’industria manifatturiera del XIX Secolo! È ancora l’immagine del Belpaese sospeso su uno strapiombo, sull’orlo della fine, quella che i mefitici sepolcri imbiancati della vecchia politica vogliono somministrare al Popolo sovrano. Dal blocco della vita politica democratica, con la frammentazione e l’ingovernabilità, deriva una componente psicologica aggiuntiva. Urge rimettersi in moto verso il futuro. Altri Paesi si stanno già attrezzando con una chiarezza di “visione e divisione” della giovane classe politica (Laburisti-Democratici e Repubblicani-Conservatori) che in Italia è del tutto assente. Il nuovo Partito Democratico e il Partito Conservatore in Parlamento potrebbero già fare il miracolo. Anche perché, vista dall’estero, l’Italia resta un grande Mercato dalle infinite potenzialità ancora inespresse. Sono le incertezze del Fisco e della Giustizia, le rigidità dei mercati, legati alle mafie locali, dei prodotti e la bassa efficacia dell’obsoleta Pubblica Amministrazione ad allontanare gli investitori. Serve un Patto politico-fiscale fra Stato, Imprese e Cittadini. Bisogna tagliare la spesa pubblica in modo radicale, abbassando decisamente le tasse alle Imprese piccole (artigiani) e grandi finora giudicate dalla burocrazia il “nemico” dello Stato. Così sarà sconfitta l’evasione fiscale e i proventi delle mafie saranno restituiti ai contribuenti onesti. Bisogna abbassare l’Iva ed abolire decisamente l’Irap. I vecchi partiti devono fare mille passi indietro. Altrimenti è illusorio “vendere” progetti che non potranno mai essere realizzati, compresi gli interventi più tecnici, magari meno eclatanti, utili soltanto per lanciare il classico messaggio pubblicitario che questo Belpaese un futuro ce l’ha soltanto per i giovani del XXII Secolo. La Politica non può più permettersi i costi di tenere inattivi quei 2,2 milioni di ragazzi che non fanno nulla. Sono miliardi di capitale umano sprecato per sempre! In Francia esiste un servizio non obbligatorio, ma molto orientato alla formazione. In Italia può servire anche a combattere i tassi di abbandono scolastico e universitario che sono molto alti. Quali segnali diamo ai giovani meritevoli se, invece, i fondi statali per il diritto allo studio vengono ridotti da 150 milioni a circa 15 l’anno nel biennio 2013/14? Le imprese lamentano di essere state abbandonate dallo Stato. C’è un dato che colpisce: la mobilità intra-settoriale delle aziende italiane negli anni Duemila è scesa rispetto agli Anni Novanta. È sorprendente ed è avvenuto proprio mentre il mondo accelerava il cambiamento verso il futuro. Sono colpe pesanti della cattiva politica. Peccati mortali più che veniali. Il fatto è che c’è una quota importante di imprese che ancora sopravvive solo grazie all’evasione fiscale o a rapporti opachi con la Pubblica Amministrazione nella quale ancora non si registra quell’aumento dell’efficienza e dei servizi registrato solo in alcune realtà. L’Italia o cambia per davvero grazie a una Maggioranza di Governo o resterà paralizzata dall’ideologia perniciosa del “facciamolo tutti insieme”! Con quale Maggioranza? Conservatrice o Democratica? Lo decidano il nuovo capo dello Stato e i presidenti di Camera e Senato. In attesa di nuove elezioni politiche. Evolvere è possibile. Lo hanno dimostrato quelle piccole imprese che in questi anni hanno puntato sull’export, aumentando le ditte che si orientano di più verso l’estero, consce del fatto che, quando riprenderà anche la domanda interna, ne avranno un beneficio netto nel medio termine. Uno dei pochi campi dove la Politica sembra che stia agendo è sui tagli ai suoi costi di funzionamento. Ma non basta. Con l’innovazione tecnologica servono sempre meno lavoratori per avere la stessa produttività, mentre un maggior numero di individui favorisce, invece, i consumi di prodotti tecnologici molto sofisticati e costosi che andrebbero tassati per finanziare la ricerca sul territorio. Dopo 20 anni di berlusconismo, dove sono i veri Conservatori moderati? La Politica “prototipata” dalla psico-Legislatura numero 17, si aggiorni. Perché a colpi di minoranza, per sfinimento, si finirà per logorare la Democrazia e la Pazienza degli Italiani. Certa politica politicante, esattamente quella delle trattative infinite e fumose su tutto, le contrapposizioni pervicaci e senza soluzione di continuità, stanno facendo suicidare i cittadini. Servono mediatori instancabili, uomini e donne giusti al momento ed al posto giusto. Nei rapporti con l’estero, contano i fatti e non le chiacchiere. Non gli “inciuci”. Non le “cambiali” inevase. Non i finti “eroi”. In definitiva quel che serve per davvero oggi, in un momento come questo per l’Italia dei giaguari, dei leopardi e dei gattopardi, è un grande Presidente della Repubblica, un grande Leader di uno Stato di diritto! Altrimenti, il mutuo collasso implosivo dell’Italia è assicurato, mandando all’aria non soltanto l’assetto bipartitico potenziale ma la pace e la civile convivenza che le espressioni volgari tra concittadini, per i motivi più futili, antesignane di violenze inaudite, già evidenziano in tutta la loro penosa gravità.

© Nicola Facciolini

Una risposta a “Un Conservatore alla Presidenza della Repubblica Italiana”

  1. Walter ha detto:

    Per il bene della Nazione italiana e per il male di un partito che ci a rovinat che vinca Prodi. Smettetela Grillo e Monti che sanno d’essre perdenti con i suoi candidati e che non pensano alla Nazione.Facendo gioco al partito di Berlusconi

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