tiKotv, Le carceri: un delitto italiano

Il racconto che ogni giorno il giornalismo italiano fa delle morti in carcere è simile ai reportage di guerra. I numeri prima delle persone. Sono rimasti loro a testimoniare la carneficina che avviene nelle carceri italiane, e forse inevitabilmente bisogna tornare ai numeri per spiegare quale delitto si compie dentro le celle dello stivale. Secondo […]

Il racconto che ogni giorno il giornalismo italiano fa delle morti in carcere è simile ai reportage di guerra. I numeri prima delle persone. Sono rimasti loro a testimoniare la carneficina che avviene nelle carceri italiane, e forse inevitabilmente bisogna tornare ai numeri per spiegare quale delitto si compie dentro le celle dello stivale.
Secondo il dossier “Morire di carcere” del Centro Studi di Ristretti Orizzonti dal 2000 a quest’anno sono stati 766 i suicidi in carcere, su un totale di 2141 morti di varia natura, spesso sospetta ma su cui non si ha neppure l’opportunità e la volontà di conoscere la verità.
Dall’inizio di quest’anno 15 persone hanno deciso di porre fine alla loro vita nelle carceri italiane, su 54 che sono morte ancora una volta per vari motivi che forse non interessano nemmeno l’opinione pubblica. La vita degli esseri umani di serie B, i detenuti italiani, è solo al centro di rapporti e studi di associazioni, è il grido d’allarme del Partito Radicale verso una società sorda, interessa pochi cittadini italiani che hanno a cuore i diritti umani.
Sovraffollamento, morte, freddo, condizioni igieniche disastrose, maltrattamenti, somministrazione eccessiva di psicofarmaci e assenza di ogni forma di umanità: è questa la ricetta con cui oggi lo Stato italiano “rispetta” l’articolo 27 della Costituzione, che sancisce il principio del finalismo rieducativo della pena. “Le pene (…) devono tendere alla rieducazione del condannato” è scritto nel documento più importante in cui lo Stato Italiano si riconosce.
I detenuti delle carceri italiane non stanno scontando la loro pena, scontano la loro vita dentro a celle piccole, sporche, maleodoranti, troppo calde e troppo fredde, luoghi di ammassamento disumano, luoghi di sottrazione di dignità umana.
Chi finisce davvero in carcere in Italia? Grazie a leggi come la Fini-Giovanardi e la Bossi Fini, sono rinchiusi nelle carceri italiane per i due terzi tossicodipendenti e immigrati.
I primi rappresentano il 38%, contro circa il 15% di Germania e Francia.
Per i tossicodipendenti il carcere è come il manicomio per i matti. Non si punisce il reato ma il disagio, per il quale le persone dovrebbero essere assistite da personale sanitario. Gli immigrati scontano il fatto di esistere, se clandestini o per piccoli reati finiscono dentro per anni. Cresce al 36% la percentuale dei detenuti stranieri (era il 29% nel 2000).
Quali soluzioni di fronte alla più grande crisi umanitaria delle carceri mai viste in Italia? Alcuni pensano che basta costruire nuove strutture e aumentare i reati penali per risolvere problemi esclusivamente socio-sanitari come la tossicodipendenza e sociali come l’immigrazione. Altri invece pensano che non si può più aspettare di fronte alle morti che si ripetono e alla sofferenza dei detenuti e chiedono un’amnistia immediata e la successiva riforma della giustizia, vero cancro della democrazia italiana.
Quale giustizia si può avere oggi dallo Stato Italiano, se va nella direzione contraria alle parole che un lontano Cesare Beccaria scriveva nel 1764 nel suo “Dei delitti e delle pene”.
“Perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi.”

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Lisa D’Ignazio

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