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Seguo La Settimana Enigmistica con una certa regolarità, non la compro tutte le settimane per evitare di diventare gioco-dipendente, per evitare che l’enigmistica diventi un’ ossessione, un bisogno primario. Mi piace mettere in ordine le parole, giocare con i significati, indovinare incroci difficili. Ma non avevo mai pensato, per esempio, che il nome della città […]

Seguo La Settimana Enigmistica con una certa regolarità, non la compro tutte le settimane per evitare di diventare gioco-dipendente, per evitare che l’enigmistica diventi un’ ossessione, un bisogno primario. Mi piace mettere in ordine le parole, giocare con i significati, indovinare incroci difficili. Ma non avevo mai pensato, per esempio, che il nome della città dove vivo fosse un palindromo sillabico, ovvero che le sue sillabe formano la stessa parola ed il senso non muta se lette sia da sinistra verso destra che al contrario, da destra verso sinistra. E’ semplice da capire, evidentemente la mia mente non è abituata al gioco di parole in maniera attiva, segue quelli prodotti da altri, ma non è in grado di produrne in proprio. Insomma non ho l’intelligenza enigmista.

Bello è stato scoprirne una, quella di Stefano Bartezzaghi, nel corso di un incontro tenuto al MUSPAQ, attualmente ubicato nella sede provvisoria di Piazzale delle Arti, la sua sede propria in pieno centro storico, ancora disastrata.

Introdotto dal giornalista aquilano Angelo De Nicola, Stefano Bartezzaghi ha presentato il suo ultimo libro, Dando buca a Godot, edito da Einaudi: un brillante fuoco di artificio di giochi di parole, di riscrittura di fatti noti in chiavi particolari, più o meno geniali, sempre divertenti. E’ un caso che fa pensare. Angelo Di Nicola ha definito l’autore “il Nurejev della parola”, e la lettura del testo presentato una esperienza “che fa venire il mal di mare”, spiazzante. Ha tentato poi un parallelo tra questa produzione e alcuni aspetti dell’aquilanità, quella che “dice il male” citando la produzione di Mario Lolli, e leggendo la versione in dialetto aquilano della storiella dell’uccelletto che entrò in una chiesa, ben nota anche in dialetto romanesco.

Per Stefano Bartezzaghi il suo particolare, spiazzante modo di esprimersi è un linguaggio di famiglia, acquisito fra le pareti domestiche, a nove anni infatti pubblicò il suo primo rebus. In risposta all’introduzione di Angelo di Nicola cerca di trovare una origine ed un senso al suo linguaggio. Certamente popolare l’origine, anche dialettale del suo linguaggio che ha un humus fatto di ingegno, arguzia e tecnica di manipolazione della lingua. Da esso traggono linfa quelli che arrivano ad usarlo a livello letterario.

Come esempi della sua produzione ha letto la serie di laboriosi palindromi ispirata dalla famosa nevicata di Roma del febbraio 2012, e dal sindaco Alemanno, ed il geniale anagramma del nome Enrico Letta trasformato in “centro e lati”. Testi in cui il gioco con le parole sfiora i confini della satira politica. Ha letto anche il laborioso e lunghissimo tautogramma della favola di Biancaneve riscritta con parole che iniziano solo con la lettera c. Testi che mostrano una intelligenza singolare, che frantuma e ricostruisce il linguaggio con arguzia, passione e tecnica, molta tecnica, insomma un’arte.

Un bel pomeriggio, trascorso nel ritrovarci, noi aquilani dispersi in periferie spesso ignote per molti, ritrovarci per ricostruirci dopo la catastrofe, senza disperdere le radici, ma cercando di prolungarle nel futuro.   

Emanuela Medoro

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