Da medico a medico: un ricordo per Mario Spallone

“La vita reale è soltanto il riverbero dei sogni dei poeti. La vista di tutto ciò che è bello in arte o in natura, richiama con la rapidità del fulmine il ricordo di chi si ama” Henri Beyle Stendhal “Ricordo che un mio saggio amico era solito dire: Ciò che è un affare per tutti, […]

“La vita reale è soltanto il riverbero dei sogni dei poeti. La vista di tutto ciò che è bello in arte o in natura, richiama con la rapidità del fulmine il ricordo di chi si ama”

Henri Beyle Stendhal

“Ricordo che un mio saggio amico era solito dire: Ciò che è un affare per tutti, non è un affare per nessuno”.

Izaak Walton

“Amicizie, amori perduti ma non dimenticati, rinunce, sottili rimorsi, entusiasmi, castigo degli entusiasmi, di nuovo entusiasmi, nostalgie. Racconti così si possono scrivere solo di notte”

Antonio Tabucchi

Ha scritto Mario Specchio in “Morte di un Medico” (Sellliero, 2004), che la vita di uno che cura gli altri si compone di entusiasmi, amarezze, nuovi entusiasmi e nostalgie: una sobria disforia che aleggia sulla sua intera esistenza come una nevicata lieve che culli un paesaggio acquietandolo, soffocando i suoi rumori troppo faticosi, i suoi colori troppo vivaci, le asprezze dei contorni, gli spigoli che fanno male allo sguardo. Ma poi, sotto il leggero strato dl candido mantello sceso ad attutire il pulsare troppo febbrile di ciò che come medici viviamo, si avverte il fuoco sotterraneo dell’esistenza, come una brace testarda che arde e si consuma, aprendo qua e là crepe fumanti, crateri incandescenti che liquefanno l’apparente nevicata pacificatrice.
La musica che si accide alla “morte di un medico” (e forse alla sua intera esistenza), è quella di Chopin, con la luce di una “graziosa” luna (quella dei “Contemplatori” di Caspar David Friedrich), che non è da intendersi con lirica leggiadria, ma piuttosto, leopardianamente (ed etimologicamente), come un diffuso sentimento di grazia e di perdono, per le umane tribolazioni
Un medico deve riternersi felice ser alla fine della vita è ricordato dai suoi pazienti e lui, pensando a loro, può dire di aver lottato ogni giorno, inventandosi, come ha scritto Siddhartha Mukherjee, oncologo americano della Columbia, nelle 700 pagine del suo “L’imperatore del male”, ogni giorno, nuove terapie, perché ogni paziente è diverso dagli altri e richiede una cura specifica.
Ed è morto sereno, dopo 94 anni di vita e 70 di carriera, dopo essere stato assistente di Frugoni e medico di Togliatti e di Nenni, di Pertini e di Moro, ma anche di tanta gente umile e comune, Mario Spallone, marsicano, partigiano ed amico di Naplitano (che ogni anno, per il suo compleanno, gli ha inviato due cravette ed un fraterno abbraccio), ma anche di Letta senior, con qualche ombra (fu accusato nel ’91 di essere stato negli anni ’60 un informatore del Sifar, il servizio segreto delle forze armate, perchè avrebbe fatto avere alla Cia il testo del memoriale di Yalta, il vero e proprio testamento politico di Togliatti e nel ’97 fu chiesta per lui la sospensione per due mesi dalla professione medica e fu indagato per falso e truffa perchè, secondo la Procura di Roma, aveva firmato falsi certificati di malattia per Flavio Carboni, faccendiere coinvolto nell’omicidio Calvi, per consentirgli di non presentarsi ai processi ed anche nella vicenda della fuga di uno dei boss della Banda della Magliana, Maurizio Abbatino, da una delle cliniche di famiglie, Spallone fu accusato di averlo aiutato nell’evasione); ma soprattutto tantissima luce, come terapeuta capace ed umanissimo e sindaco accorto della Sua Lecce dei Marsi e di Avezzano.
Da alcune settimane accusava delle crisi respiratorie, con un quadro improvvisamente peggiorato, tanto che i suoi familiari hanno disposto il trasferimento a Roma, nel reparto di rianimazione della clinica privata diretta dal fratello Dino. Avevano ed hanno molte cliniche private gli Spallone nella capitale, tanto da far gridare allo scadalo molti benpensanti.
Tra queste anche Villa Luana, dove il 4 dicembre 1999 morì Nilde Iotti e Villa Gina,la prima da lui fondata ed initolata alla carissima madre, finita al centro di un’inchiesta per aborti clandestini sfociata nella condanna del fratello Ilio e del nipote Marcello, ma da cui uscì immicalota.
Era titolare di numerose società private (televisive, multimediali immobiliari) e per questo si mormorava che era un comunista di comodo, che dalla politica aveva cavato solo il suo tornaconto e che nel comunismo professato in realtà non credeva. Non è così e a riperrcorrere la sua carriera di medico e politico, ad intervistare chi l’ha conosciuto, non solo fra i grandi, è facile rendersene conto.
Il suo rapporto professionale e personale con il gruppo dirigente del Pci era tale da permettergli di installare un ambulatorio al piano terra delle Botteghe Oscure, per le iniezioni e le ricette d’urgenza; di ricevere e smistare molte domande di militanti che volevano farsi operare in Urss; di trasformare una delle sue cliniche romane, Villa Gina, in vera e propria clinica del Pci. Aiutò Togliatti e la Iotti nel periodo in cui la loro relazione era clandestina, ma aiutò sempre, anche tanti sconosciuti ed anche della parte avversa.
Nel suo libro, pubblicato da Bnapoleone nel 1993, “Seguendo Togliatti”, si comprende più che in altri saggi il senso della politica del grande leader dell’arrivo non violento al potere della classe operaia ed anche della trasformazione tutta italina del marxismo, molto più pratico e liberare di quanto teorizzato da Gramsci o da tanti epigoni successivi (ad esempio Alberto Asor Rosa, Rossana Rossanda ed altri ancora).
A leggere una sua lettera al Centro di alcuni anni fa, si comprende con chiarezza che un certo tipo di comunismo che vede come insopportabile e stringente la presa autoritaria di un capitalismo sempre più feroce e sempre più portato alla distruzione della civiltà europea come l’abbiamo conosciuta da cinquanta anni a questa parte e più  i gruppi dirigenti deve essere archiviato e che fa trovata una strada nuova ed un nuovo pensiero per l’Italia e l’Europa che, per citare uno di destra ma intelligente come Giuliano Ferrara, portri la classe dirigente di oggi, fatta di quarantenni precocemente invecchiati come Enrico Letta, ad essere priva di colpi di reni e di inventiva, incapace di creare qualcosa di davvero nuovo, limitandosi ad amministrare l’ordinario di ciò che ha ereditato.
Prima e meglio di tanti altri ,Mario Spalone, poiché come medico conosceva gli uomini e, di conseguenza, la società, aveva compreso che nella fase storica che si è aperta non è più auspicabile la riscoperta integrale del comunismo da Carlo Marx e Federico Engels, a Rosa Luxemburg, a Lenin ed a Stalin, con Lenin che spiega alla perfezione il fallimento e la vacuità dei regimi parlamentari e Stalin che offre il modello sovietico della accumulazione collettiva e della trasformazione di un popolo di 160 milioni di contadini poveri ed analfabeti in un popolo di scienziati, ingegneri, professori, medici, tecnici capaci di vincere Hitler e di competere nella sfida spaziale; perché questi modi creano pericolosi anacronismi narrativi (alla Nichi Vendola) e derive rischiose come il populismo dei Cinque Stelle.
Bisogna riscoprirle figure come quella di Togliatti, Napolitano e Spallone, appunto, che invece avevano capito che la lotta non è di classe o contro il capitale, ma per far sì, nei diversi contesti storici e sociali, che il comunismo è soprattutto una aspirazione al bene, alla giustizia e non solo utopia, ma valore utopico che è stato e sarà sempre presente nell’uomo e che, senza bisogno di quel fondo cristiano e confessonale tipico della Democrazia Cristiana, come accaduto da sempre e fino ad oggi, nonostante l’apparente crollo, possa fornire una alternativa laica e morale non per i solidi, ma per la loro distribuzione.
Nel pensare oggi, con rispetto, a Mario Spallone, occorre guardare con gli occhi e le strutture mentali della sua epoca, perché ogni momento culturale e storico ha una sua autocentralità e una sua autoreferenzialità, in quanto non si può comprendere i crociati medioevali con una sensibilità religiosa moderna, perché, in fondo, è solo la storia che giudica gli avvenimenti, non la moralità degli uomini, che cambia continuamente ed a volte si perde del tutto.
In fondo, sotto il profilo intellettuale, la sua vita mi ricorda quella di Wystan Hugh Audem, l’autore di “Lettere dall’Islanda”, uno degli  intellettuali più in vista della seconda metà del 900:  colto, eccentrico, poliedrico, sotto la cui guida si riunirono tutti i giovani poeti vicini a Marx e Freud, impegnati sia socialmente che politicamente, anticonformisti nella vita così come nella poesia, della quale combatterono il tono aulico sostituendolo con le “memorable speech”, le  parole che si fanno ricordare, se coroborate da consistenti gesti. Pertanto nel ricordo comosso, da medico a medico, di Audren a Mario Spallone dedico questi versi:
“Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono,
fate tacere il cane con un osso succulento,
chiudete i pianoforte, e tra un rullio smorzato
portate fuori il feretro, si accostino i dolenti”

Carlo Di Stanislao

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