Un urlo di rossa ferocia

“Come una bestia feroce” è il primo romanzo scritto da Edward Bunker, pubblicato nel 1973, il cui valore risiede nello sguardo spietato con il quale si disseziona un universo cupo, aspro, popolato di personaggi che non hanno alcuna speranza o desiderio di redenzione. Divenuto film col titolo di “Vigilato speciale” nel 1978 , su sceneggiatura […]

“Come una bestia feroce” è il primo romanzo scritto da Edward Bunker, pubblicato nel 1973, il cui valore risiede nello sguardo spietato con il quale si disseziona un universo cupo, aspro, popolato di personaggi che non hanno alcuna speranza o desiderio di redenzione.
Divenuto film col titolo di “Vigilato speciale” nel 1978 , su sceneggiatura dello stesso Bunker, diretto da Ulu Grosbard, con Dustin Hoffman, ci racconta di un universo i cui protagonisti non hanno più nulla da perdere, senza nessuna morale, né remora, in cui sei “rispettato” solo se sei privo di scrupoli.
Nel ‘600, Baruch Spinoza, pessimo ebreo, mediocre mercante, buon tagliatore di lenti, immenso filosofo, col suo trattato che fece saltare anche Hobbes e che protestanti e cattolici definirono forgiato nell’inferno, pur affermando che Dio è la Natura, non la Chiesa con i suoi settarismi e le sue interferenze politiche; che la sovranità dello Stato proviene da una delega e pertanto va esercitata in nome del benessere comune; che la filosofia, la ricerca del retto sapere, è parte di quel benessere e che perciò a ogni cittadino deve essere consentito “non solo pensare quello che vuole, ma anche dire quello che pensa”, pure scrisse pagine intere sulla necessità di partire e porre come fondamento la sacralità della vita umana, affermando che e la Bibbia è un’opera umana, da leggere in una prospettiva storico-filologica, per trarne l’insegnamento fondamentale e che essa parte dalla convinzione che di tutti i delitti è l’omicidio quello che più allontana l’uomo dalla sua matrice.
La moralità è un prodotto costituito dalla razionalità e dall’umanità nel senso più elevato del termine i cui valori possono essere formati in base a precise ragioni, discussi, migliorati, e così via, come ci ha insegnato Immanuel Kant, che non sono misteriose proprietàma esistano di per sé e sono inoltre (o dovrebbero essere) oggettivi e non arbitrari o relativi.
Ha scritto Victor Ausel che la moralità, in società sempre più tecnologiche e fredde nei rapporti fra uomini, perde costantemente il suo valore e pertanto il mancato esercizio della sua funzione equilibratrice e garantista delle libertà porta verso un’anarchia di principi che tende ad annullare la linea di demarcazione tra il consentito ed il non consentito.
Per tale motivo la libertà è proporzionale alla forza dell’individuo ed è tanto più evoluta quando consente allo morale di coesistere, colpendo l’uomo nella coscienza e facendone essere capace di interrogarsi sulla correttezza di una certa limitazione o sulla valenza di un certo principio.
Come ebbe modo di scrivere monsignor Elio Sgreggia, non potendo soddisfare il desiderio sul piano del benessere economico, la “qualità della vita” e di conseguenza la morale, hanno assunto oggi un’altra connotazione, una connotazione di carattere personalistico e valoriale, contrassegnata da distinzioni tra bisogno dell’avere, bisogno dell’amare e bisogno dell’essere, dove la qualità di vita è in relazione al soddisfacimento di relazioni interpersonali più intense.
In questo modo, l’offuscamento dell’essere ha prodotto un offuscamento della trascendenza, togliendo respiro alla contemplazione intesa come capacità dello spirito di incontrare l’essere, facendo perdere a tutti, soprattutto ai giovani, il senso della sua grandiosità silente e misteriosa, della sua palpitante vitalità, facendo perdere il senso e la bellezza della verità, che vale per sé stessa, che vale per tutti, traducendosi in macchina mostruosa che produce e consuma, oppure in oggetto che viene consumato nell’inganno del soddisfacimento dei bisogni immediati.
Secondo Giovanni Fornero, autore di “Bioetica cattolica e bioetica laica”, la distinzione si giustifica a partire dai diversi orizzonti globali di senso, determinati da alcune opzioni di fondo: se la vita umana è concepita come creata da Dio è sempre sacra e intangibile, invece se viene negato il rapporto con il Creatore allora ci saranno delle situazioni in cui rimane violabile e soggetta alla volontà altrui.
Nella cosiddetta koiné, laica c’è un generale rifiuto della nozione di legge morale naturale, eppure anche qui, il concetto di persona, porta ad insistere sulla indisponibilità e inviolabilità della vita, sulla presenza di un ordine delle cose, cioè di un progetto sull’uomo e per l’uomo e su una serie di limiti che l’uomo è tenuto a rispettare.
Secondo la tradizione cattolica, l’etica si fonda sulla metafisica, così come sintetizza Sofia Vanni Rovighi: “Ogni etica è la conseguenza di una determinata concezione dell’uomo, ed ogni concezione dell’uomo è conseguenza di una determinata concezione della realtà, dell’essere e della sua totalità”.
Ma oggi, grazie ad uno sviluppo laico di questa scienza, si è dovuto comprendere che la pluralità delle credenze e degli atteggiamenti etici è sociologica e non andrebbe assunta come mero dato di fatto, ma come problema, perché la questione dell’unità della bioetica ripropone quella più ampia dell’unità di senso e di valore che si tende a dare alla vita.
L’urlo della madre è stato straziante, rotto a metà dal pianto, dal balcone di una casa sconvolta, da cui si è affacciata per guardare e compagni di scuola, che sfilavano per il paese.
Sono testimoni di Geova i Luzzi, la famiglia della bella Fabiana, barbaramente uccisa a soli 16 anni dal fidanzato di un anno più grande, che prima l’ha ferita a coltellate e poi le ha dato fuoco, con una tanica di benzina, mentre era ancora viva e tentata disperatamente di difendersi.
L’orrore si mescola all’orrore nel racconto del diciassettenne che ha indicato ai militari il luogo del dramma ed ha spiegato d’essere andato a prendere Fabiana all’uscita di scuola col suo scooter venerdì mattina, poco dopo le 13.30, per chiarire l’ennesima lite legata a gelosie da adolescenti.
Lei non voleva salire, ma alla fine s’è convinta. Si sono appartati in un luogo vicino ed hanno cominciato a bisticciare, con parole sempre più dure, urlate, dirette ed infine una rabbia sorda e priva di umanità, che ha brandito un coltello prima e poi, dopo un vuoto girovagare di un’ora, si è resa capace di riportarlo in quel luogo, dopo essere tornato a casa a prendere della benzina, per gettarla su Fabiana agonizzante e finirla nel modo più atroce.
Un racconto fatto di parole fredde, che trapela dal riserbo delle indagini, quasi che il protagonista in negativo della vicenda fosse qualcun altro, senza palesare il minimo pentimento o senso di rimorso.
Ora la madre di Fabiana, fra le lacrime infinite di un lutto che potrà cancellarsi, dice che anche lui è una vittima ed abbraccia il vescovo cristiano giunto a darle conforto.
E’ tra la polvere di un viottolo ed un muro di roccia che Fabiana ha trovato la morte, venerdì, una morta orribile ed ingiusta, nel modo più atroce e per mano di colui che diceva di amarla, in un universo in cui odio e amore sono disperatamente mescolati.
“16 anni per sempre…riposa in pace piccolo angelo”, è scritto sullo striscione che apre il corteo dei compagni che la ricordano, ma c’è n’è un altro più toccante, nascosto fra i tanti: “puoi raggiungere solo adesso la tua meta, quel mondo diverso che non trovavi mai”.
La scritta è in rosso, come rossi sono i nastri che gli studenti portano al polso, perché il rosso è il colore dell’amore, ma anche del sangue e della energia vitale, il colore di una generazione inquieta e con pare avere più modelli da imitare.
Il rosso è il colore di Marte, il dio della guerra, dei traumi e delle violenze senza fine, delle ferite che non si chiudono e dei lutti che si perpetuano all’infinito.
Il rosso, col nero, simboleggia il demonio, colui che seduce con la mancanza di morale, l’azione dell’attacco e della conquista ad ogni costo e che supera ogni altra ragione.
Il colore non è un semplice involucro delle cose, ma è il medium attraverso il quale il volto prova a resistere alle pulsioni dell’ interiorità e all’eccedere della mente, affinchè questi non lo conducano al dissolvimento.
Lo sapeva Oscar Wilde che sapeva anche la ferocia dell’uomo, contro cui la morale combatte la sua inutile lotta.
Ed io gelato dalla morte ingiusta, ingiusta per forma ed età, invio a Fabiana i versi di Campana, di quel sublime impeto che si ribella alla morte, che è “Chimera” e che dice:

“Non so se tra roccie il tuo pallido
Viso m’apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda:
o delle primavere
Spente, per i tuoi mitici pallori
O Regina o Regina adolescente:
Ma per il tuo ignoto poema
Di voluttà e di dolore
Musica fanciulla esangue,
Segnato di linea di sangue
Nel cerchio delle labbra sinuose,
Regina de la melodia:
Ma per il vergine capo
Reclino, io poeta notturno
Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,
Io per il tuo dolce mistero
Io per il tuo divenir taciturno.
Non so se la fiamma pallida
Fu dei capelli vivente
Segno del suo pallore,
Non so se fu un dolce vapore,
Dolce sul mio dolore,
Sorriso di un volto notturno:
Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti
E l’immobilità dei firmamenti
E i gonfi rivi che vanno piangenti
E l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti
E ancora per teneri cieli lontane ombre correnti
E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera”.

Carlo Di Stanislao

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