Uscire dalla tempesta o dall’euro?

Berlusconi chiede entro giugno misure su Imu, Iva e per il lavoro ed afferma di sostenere “con convinzione” il governo Letta, reso più forte dal precipitare del Movimento 5 Stelle. Ma Cicchitto, ad Agorà, stamani, avverte tutti che credere che il problema Grillo sia risolto è un errore. Intanto i dati Istat fissano un nuovo […]

Berlusconi chiede entro giugno misure su Imu, Iva e per il lavoro ed afferma di sostenere “con convinzione” il governo Letta, reso più forte dal precipitare del Movimento 5 Stelle.
Ma Cicchitto, ad Agorà, stamani, avverte tutti che credere che il problema Grillo sia risolto è un errore.
Intanto i dati Istat fissano un nuovo record di disoccupazione, giunta al 12,8%, con il 41,5 per i giovani fra i 14 ed i 24 anni: quasi uno su due.
Era dal 1977 che non avevamo dati così negativi e Napolitano, in un messaggio per il 2 giugno, ricorda che data “la questione sociale che si esprime soprattutto nella dilagante disoccupazione giovanile, bisogna farsi carico ponendola al centro dell’azione pubblica, che deve connotarsi per un impegno sempre più assiduo nella ricerca di soluzioni tempestive ed efficaci alle pressanti istanze dei cittadini”. Ed aggiunge: “La fiducia potrà rinascere – ed essere a sua volta volano di migliori risultati – se le risposte saranno coerenti e mirate in uno sforzo continuo” volto a “a riorientare l’utilizzo delle risorse pubbliche perché possa concretamente avviarsi una nuova fase di sviluppo e di coesione sociale”.
La querstione lavoro è la più urgente, con i dati peggiori degli ultimi 36 anni, il numero di disoccupati che aumenta dello 0,7% in termini congiunturali e si attesta a 3.083.000 persone, con un valore di +13,8% su base annua.
In mezzo a questa bufera il ciclone Ilva potrebbe condurre ad un disastro, dopo l’accusa ‘a per i ‘vecchi’ dell’azienda, Emilio e Adriano Riva, di aver truffato lo Stato facendo sparire nei paradisi fiscali un miliardo e duecento milioni sottratti alla società e finita ed il conseguente maxisequestro di otto miliardi e cento milioni disposto dal Gip di Taranto come equivalente per la mancata effettuazione delle opere per il risanamento ambientale dello stabilimento di Taranto, che ha portato il Cda a dimettersi e posto la società nel caos.
Sono a rischio 40.000 posti di lavoro e 19.000 lo sono per lo spostamento della sede fiscale Fiat a Londra.
“Se si ferma un’azienda di questo tipo possiamo dire addio a tutta l’industria siderurgica e avremmo problemi con l’industria meccanica”, ha dichiarato a Sky Tg 24 il ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato, aggiungendo che Il polo dell’acciaio e l’Ilva in particolare, “deve rimanere italiano, dobbiamo fare di tutto per farlo rimanere italiano. E’ una questione strategica: dalla siderurgica dipende la meccanica, per rimanere competitiva deve avere acciaio prodotto in luoghi abbastanza vicini”. L’Ilva “deve essere risanata. L’alternativa non esiste – ha continuato – Non è che se chiudiamo l’Ilva risolviamo il problema ambientale, ma come è successo a Piombino o a Bagnoli rischiamo un enorme degrado senza aver affrontato il problema produttivi e ambientale. C’é una sola strada, risanare, e continuare a produrre acciaio che è assolutamente necessario per nostra economia”.
Zanonato a chiersto a “tutte le istituzioni” e all’Ilva una “forte assunzione di responsabilità verso il paese”:, affermando che il governo”è impegnato a far sì che i due diritti fondamentali alla salute e al lavoro possano essere ambedue garantiti ai cittadini e ai lavoratori di Taranto e degli altri siti produttivi Ilva”.
Nella questione interviene anche Susanna Camusso, che dichiara: “l’unica cosa che al momento siamo in grado di dire è che deve essere garantita la continuità di direzione degli stabilimenti e la continuità produttiva”.
Parole condivise dalla Fim Cisl che parla di rischio di “sbando totale”, mentre la Uilm chiede al governo di “assumere direttamente la responsabilità della gestione dello stabilimento”.
Scrive “Il Velino” che sono ore frenetiche a Palazzo Chigi, con il premier che i ministri competenti, entrambi espressione del Pd, che sembrano privilegiare una linea di massima prudenza tesa a non innescare un nuovo potenziale conflitto istituzionale con la magistratura, in discontinuità quindi con le scelte del governo Monti concretizzate con il decreto salva Ilva di fine 2012. Ma dalla linea politica discendono anche diversi dilemmi tecnici tuttora da risolvere. Si starebbe ad esempio valutando dal punto di vista normativo come rendere possibile rispettare gli investimenti necessari per l’Aia a fronte degli 8,1 miliardi sequestrati dal Gip di Taranto alla capogruppo Riva Fire. Ogni giorno che passa del resto complica terribilmente la vicenda e le stesse banche, che risultano esposte per quasi 2,5 miliardi, aspettano con una certa apprensione le scelte dell’esecutivo.
A Servizio Pubblico, ieri sera, si è riparlato della necessità, avvertita da molti, di uscire dall’Euro, una linea che anche in altri paesi in crisi è ormai diffusamente sentita.
In Portogallo, il professor João Ferreira do Amaral dell’Instituto Superior de Economia e Gestão, ha appena puibblicato un  pamphlet  dal titolo perentorio:  ”Porque Debemos Sair do Euro”, sostenuto nientemeno che da Luis Antonio Noronha Nascimento, il Chief Justice della Corte Suprema del Portogallo e che fa seguito alla richiesta di un referendum sul tema di Jerónimo de Sousa, il segretario generale del Partito comunista portoghese; libro in cui si fa n pregnante parallelo con la sottomissione del Portogallo da parte di Filippo II di Spagna e con i suoi travagliati trascorsi di provincia colonizzata per 60 anni dall’impero spagnolo.
In parte la pensa così l’ultimo numero di “Limes” (“L’Italia di nessuno”, 200 pagine, 14 euro), che pur sostenendo che dobbiamo, con urgenza, risolvere i nostri problemi, fatti di inefficienze che ci fanno giudicare poco affidabile agli altri paesi; diche anche che l’Europa, e la Germania prima di tutti, devono smettere di pretendere quelle politiche di austerità che hanno prodotto fin qui solo disastri e soprattutto superare una concezione della moneta unica basata soprattutto sugli interessi di un solo paese e ormai inconciliabile con la realtà economica del continente.
La rivista di Lucio Caracciolo avanza una proposta provocatoria: il governo italiano deve usare la possibilità di uscire dall’euro come minaccia per portare la Germania su posizioni più ragionevoli, con l’uscita dalla moneta unica usata come deterrente “nucleare” al tavolo dei negoziati, per trasformare la nostra debolezza in un punto di forza, visto che la fine dell’euro non conviene a nessuno, Germania in testa.
Però un dubbio aleggia su tutto e se ne rende ben conto Limes che sa bene che la fine dell’austerità economica non significherebbe automaticamente la soluzione di tutti i problemi italiani (il potere paralizzante delle burocrazie, le mafie e la corruzione); sicché è interessante ciò che dice un contadino-filosofo tedesco intervistato dal direttore: “Se volete spaventarci davvero, non minacciateci di uscire dall’Euro., ma srivete in costituzione che non ne uscirete mai”.

Carlo Di Stanislao

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