Zombie al cinema e Ustica in tv

La figura dello zombie ha origini antiche: “i morti che tornano sulla Terra”, infatti, sono ricorrenti in molte culture, soprattutto quella che viene dal vodoo haitiano, animistico e cruento e disseminato di pratiche mantiche con forti elementi funerari e negromantici. Il cinema, da sempre creatore di incubi e “porta” verso l’ignoto (basti pensare che all’inizio […]

La figura dello zombie ha origini antiche: “i morti che tornano sulla Terra”, infatti, sono ricorrenti in molte culture, soprattutto quella che viene dal vodoo haitiano, animistico e cruento e disseminato di pratiche mantiche con forti elementi funerari e negromantici.
Il cinema, da sempre creatore di incubi e “porta” verso l’ignoto (basti pensare che all’inizio il cinematografo veniva usato nelle sedute spiritiche), non poteva che appropriarsene per rendere insonni le notti degli spettatori (e non solo): assetati di carne umana, derisi, ritornati, riseppellitti, bucherellati in testa, insaziabili, imbambolati, stupidi o, a volte, molto intelligenti.
Lo ha diretto Marc Forster (autore di “Neverland”, “Quantum of Solace” e “Il Cacciatore di Aquiloni”), tratto dall’omonimo libro di Max Brooks (figlio del celebrte Mell e dell’altrettanto celebre Ann Bancroft, fra gli autori del programma televisivo Saturday Night Live, vincitore, nel 2002 dell’Emmy Awards come miglior autore di testi); ma con numerosi cambi nella sceneggiatura rispetto all’ originale.
Il protagonista è Brad Pitt che ha dichiarato: “Abbiamo voluto prendere il genere zombie per usarlo come cavallo di Troia per affrontare una serie di questioni di sociopolitica, interrogandoci su cosa succederebbe al mondo se tutto quel che conosciamo fosse capovolto”.
In “World War Z” la storia segue un funzionario delle Nazioni Unite, che dopo aver salvato a malapena la propria famiglia da un improvviso quanto colossale attacco di zombie, viene incaricato dal Governo di scoprire dove e come ha avuto origine l’epidemia,  prima che venga decimata definitivamente la popolazione mondiale.
La trasformazione degli esseri umani in Zombie è cinematograficamente nuova e spaventosa, per la violenza e la rabbia che questi , chiamati ‘Zekes’, dimostrano.
Sono feroci e velocissimi, personaggi che sembrano cavallette e la sequenza iniziale, a Philadelphia, pare essere spettacolare e molto inquetante.
Le armi convenzionali sembrano riuscire a fare poco e soltanto il ragionamento può, forse, provare a fermare il morbo che si sta diffondendo in maniera rapida e dolorosissima in tutto il pianeta. Il film è proposto anche in 3D e, senza dubbio, i sentimenti di paura e angoscia comunicati dalle immagini saranno enfatizzati dalla tecnologia promette che World War Z sarà apprezzato come uno degli horror più spettacolari degli ultimi anni.
Dopo “Manuale per sopravvivere agli zombi” (da noi uscito per Einaudi), Max Brooks ha scritto, sempre nel 2006, questa seconda puntata della sua trilogia, che ha il terzo capitolo in “Zombie Story e altri racconti”, pubblicato da Cooper nel 2011.
Il film, che pure è fatto uscire in un periodo quasi morto, intende replicare il successo del recente “Warm Bodies”, doveil giovane Nicholas Hoult ha scoperto i segreti per ottenere consenso e diventare l’ultima ossessione delle teen ager, trasformandosi da ragazzino prodigio di About a boy – Un ragazzo, grazie soprattutto al successo della serie Skins e alla partecipazione in blockbuster come X-Men: l’inizio, in una personaggio zombie più ombroso e bello di Robert Pattinson, impossessandosi delle fantasie adolescenziali di ragazzine smaniose di vivere un amore impossibile.
I produttori di “Twilight” non si sono lasciati scappare la possibilità di raccontare lo scoccare della fatidica scintilla tra una ragazza e uno zombie, scegliendo proprio il britannico Hoult per interpretare un morto stranamente pensante e con un’inusuale attitudine all’autocritica, affidando a Jonathan Levine il compito di dirigerlo in “Warm Bodie”s, uscito lo scorso 7 febbraio in ben 400 copie, tratto dal romanzo omonimo di Isaac Marion e racconto, fra il Fulci di” Zombi 2” e il Burton di “Edward Mani di Forbice”, di come l’amore abbia effetti miracolistici , e si sveli capace di fermare un’apocalisse e di “riesumare” l’umanità intera.
Ieri è morto a New York a 86 anni, Richard Matheson, (se ne è parlato poco, ma certo più della repentina morte, a Roma, dopo una lauta cena a base di pesce e fegato d’oca, di James Gandolfini, il Tony Soprano televisivo, stroncato da un infarto per ricchezza di cibo e libagioni); maestro della fantascienza trhiller ed autore dei racconti da cui sono stati tratti “Duell” e “Io sono leggenda”.
Da quest’ultimo George Romero trasse ispirazione per “La notte dei morti viventi”, anche se I vampiri di Matheson sono, per tantissime ragioni, all’opposto degli zombi di Romero.
La prima è che, rispetto a Dracula, Matheson aveva avuto l’idea di invertire completamente il rapporto immaginato da Bram Stoker: non più un vampiro in un mondo popolato di uomini, ma un unico uomo rimasto in un mondo di vampiri, un’inversione così netta da rendere però il suo punto di partenza molto più vicino al senso di alienazione dell’umano, e per natura votato a un immaginario cinematografico. Non chiamatela fantascienza, come non lo fareste con Bradbury, o con Stephen King, due suoi grandi estimatori.
La seconda è che in Matherson i vampiri non sono né belli né sdeduttivi, ma restano sempre creature mostruose e disgustose e descritti in modo abbietto e senza la componente di rivolta razziale e anticapitalista di Romero.
Brooks assomiglia di più a Matherson e soprattutto al Matherson descritto dal suo editore italiano Sergio Fanucci (che ha da poco pubblicato in quattro volumi “Tutti i racconti”). Un uomo che ha conservato fino uin fondo una cultura borghese, fatta di gentilezza ed anche di paura contro tutto ciò che è estraneo e diverso.
Tornando al successo recente dei film su zombie e vampiri, scrive su Lettera 43 Alessandro Butitta che la figura del morto vivente inquieta perché rappresenta la perdita delle funzioni intellettive a favore di quelle fisiche. Nello zombie prevale l’istinto, non c’è raziocinio, facendo perdere l’individualità con tutte le caratteristiche umane. Se questa è la lettura di tipo psicologica e antropologica, la rappresentazione televisiva o letteraria non si soffermano tanto sullo zombie, quanto sulle reazioni degli uomini allo zombie.
E l’epidemia non riguarda solo il cinema, ma ancje la letturatura (anche parodistica, come nel caso di “Orgoglio e pregiudizio e zombie”), videogiochi (“Resident evil”); graphic novel (“The Walking Dead”, “Marvel Zombie”,” I Zombie”), documentari lanciati da History channel, approfondimenti televisivi (su RaiQuattro due puntate di “Wonderland” sono state dedicate al tema) e tante serie tivù, come “The Walking Dead”, successo in America su Amc e in Italia su Fox, “Death Valley” su Mtv, in Inghilterra “Dead set”,  con protagonisti dei concorrenti del Grande fratello che devono vedersela con gli zombie e, ancora in Italia, la sderie web di successo “Skypocalipse”.
E mentre si prepara “Zummi”, film  che ambienta un’invasione di morti viventi nella Palermo d’oggi, con toni che mescolano satira sociale ed horror, del tutto orrifica è la cronaca recente, con l’uomo che ha divorato il viso di un barbone a Miami, lo studente del Maryland che ha ucciso il suo compagno di stanza e ne ha divorato cervello e cuore e Luka Rocco Magnotta, aspirante porno-attore canadese, arrestato il 4 giugno a Berlino con l’accusa di essere un cannibale e di aver spedito via posta i resti della sua vittima, con un rituale fra il Conte e Hannibal Lecter.
Tornando al cinema, restano per me insuperati capolavori i quattro film di Romero, leggivbili su molti diversi piani, a partire da quello della pura e semplice avventura; per pasare a quello dell’’orrore in sé in cui gli effetti speciali e sanguinolenti hanno una loro connotazione, un loro significato e un loro pubblico; al terzo, sulle dinamiche psicologiche e psicosociali che vengono a intessere inevitabilmente gli intrecci; all’ultimo, che vede nella rappresentazione simbolica che gli zombie e i singoli personaggi con le loro azioni offrono, nell’ottica del regista, una metafora critica del mondo reale. In questa prospettiva, i film della saga sono una sorta di metaforica testimonianza del mutare nel tempo della società americana. Una sorta di periodica rappresentazione dei segni dei tempi, naturalmente pur sempre filtrati attraverso la cinepresa di Romero, le sue convinzioni politiche e il mascheramento degli zombie.
E mi piace ancora il molto più antico (del 1943) “Ho camminato con una zombie”, di Jacques Tourner, in cui la creazione del “mistero” e della “tensione” sono lasciati allo spettatore e alla sua immaginazione, con gli zombie non se ne vedono se non persi tra le ombre mentre è forte è il “presentimento” della loro presenza (il regista ha usato la stessa “tecnica” con “Il bacio della pantera”) fa ancora venire i brividi.
Brividi che provo, assieme ad una inesauribile meraviglia, ogni volta che rileggo il “Dracula” di Bram T. Stoker: una magia che giunge fino alle soglie dell’incubo, dove colui che non muore, il morto vivente, rappresenta l’eterna vicenda della lotta tra il Bene e il Male, sullo sfondo di una storia che scaturisce direttamente dall’inconscio e, come tale, parla in termini che si impongono immediatamente alla fantasia di ciascuno, per entrare nei nostri sogni più spaventosidove non bastano gli esorcismi razionalistici a toglierle l’irresistibile suggestione, la possente ossessività che li pervade.
Ma forse, al solito, la realtà supera in brividi ed ossiessioni l’arte, anche quando questa è sincretica e mista e affastellata, come il cinema.
Berlusconi che “patteggia” con Napolitano per il sostegno a Letta, il governo che “tira a campare” con la goccia di 1,5 miliardi nel seserto smisurato della disoccupazione giovanile, le previsioni di Confindustria che rivedono in basso le stime sul Pil, indicando un calo dell’1,9%, sono più angoscianti di qualsiasi film o libro.
Nel giorno del 33esimo anniversario della strage di Ustica, Napolitano ha detto che: “La memoria di quella tragica notte e delle innocenti vittime richiama il dovere di tutte le istituzioni di sostenere le indagini tuttora in corso per accertare responsabilità – nazionali ed internazionali – rimaste coperte da inquietanti opacità e ombre”.
Ed io ho pensato che 81 zombie (tanti quanto le vittime di quella tragedia senza soluzione), aleggiano sulle coscienze di noi tutti, perché ci siamo accontentati con fantasiose storie di battaglie aeree e tradimenti dei militari italiani e governi alleati, mentre non si ma voluto davvero scoprire cosa davverò provocò l’esplosione dell’aereo, con una auna sentenza della Cassazione penale, passata in giudicato, che ridicolizzava l’ipotesi del missile, successivamente contraddetta da una sentenza di Cassazione civile di cui l’Avvocatura di Stato che chiede ola revoca “per errore di fatto”, che si è scoperto avere come origine una decisione di primo grado assunta da un avvocato, giudice onorario aggiunto.
Ha ragione Daria Bonfietti, Presidente dei famigliari delle vittime: la vicenda è un obrobrio generato da una totale mancanza di sensibilità da parte di tutto il Paese.
Penso allora a “Zombie”, la canzone pubblicata come primo singolo del secondo album dei “Cranberries”, composta da Dolores O’Riordan nel1993, in memoria di due ragazzi, Jonathan Ball e Tim Parry, rimasti uccisi in un attentato dell’IRA a Warrington in Inghilterra, che dice: “Quando la violenza causa silenzio dobbiamo esserci sbagliati”.
Torna stasera, alle 21, 30, in esclusiva per La 7, dopo undici anni, il “Racconto per Ustica”, di Marco Paolini, con la regia di Davide Ferrario e una nuova introduzione dello stesso Paolini, un racconto che mette in luce una delle fragilità del sistema Italia: l’incuria, in un tempo di odissee non scelte ed in cui non si ha più nulla da perdere né in cui sperare.

Carlo Di Stanislao

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