Mestizie

Una tristezza cupa e rassegnata chiude la scorsa ed apre la nuova settimana, una fflizione profonda fra notizie pubbliche e private, in Italia o nel resto del pianeta. Fiorentina di nascita ma triestina di carriera, con un curriculum scientifico di portata planetaria, Margherita Hack, l’astrofisica a cui un gruppo di Pistoia ha dedicato un ateroide […]

Una tristezza cupa e rassegnata chiude la scorsa ed apre la nuova settimana, una fflizione profonda fra notizie pubbliche e private, in Italia o nel resto del pianeta.
Fiorentina di nascita ma triestina di carriera, con un curriculum scientifico di portata planetaria, Margherita Hack, l’astrofisica a cui un gruppo di Pistoia ha dedicato un ateroide scoperto nel 2003, ma anche la donna impegnata polticamente in decine di battaglie contro ogni forma di discrimazione, certamente uno dei nomi più apprezzati della divulgazione scientifica, è morta l’altro ieri, poco dopo aver festeggiato, con una torta al ciccolato, i suoi 91 anni, attiva fino alla fine e fino alla fine spigolosamente coerente con le sue idee di scienziata atea ma rispettosa di ogni altro parere, convinta però che scienza e fede devono essere tenuti separati, essendo territori diversi e che speculano fatti differenti.
Unico esempio di parlamentare eletto capace di rinunciare al suo seggio perché, disse, si sentiva più utile nel suo operato professionale, aveva collaborato con la Nasa e con l’Agenzia Spaziale Europea e vinto, nel 1980, il Premio dell’Accademia dei Lincei, contribuendo, in venti anni di direzione, al rilancio internazionale dell’osservatorio astronomico di Trieste.
Nel corso della sua lunga sattività, aveva dato un considerevole contributo alla ricerca per lo studio e la classificazione spettrale di molte categorie di stelle, ma anche, come ha ricordato Giorgio Napolitano nel suo messaggio, profuso il suo impegno sociale, candidata con la sinistra sia alle ultime elezioni politiche che a quelle del 2006 e alle elezioni regionali, nel 2005 in Lombardia e nel 2010 nel Lazio.
Famoso il suo appello, nel 2009, assieme a Dacia Mariaini, rivolto alla first ladies affinchè disertassero il G8 a L’Aquila, “per affermare con forza che la delegittimazione della donna in un paese offende e colpisce le donne di tutti i paesi”, in quanto “come donne impegnate nel mondo dell’università e della cultura, per il modo in cui il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, tratta le donne sulla scena pubblica e privata”.
Sempre con la Mariaini (e con Norberto Bobio), nel 1999 aveva aderito alla protesta degli abitanti dell’ Appio Latino che avevano perso gli spazi dov’ erano abituati ad incontrarsi, dove andavano per leggere e tenersi informati: la bioblioteca in via Gela, chiusa per mancanza di fondi.
E ancora, si era messa a disposizione della Associazione Culturale Teatro di Gioia, fondata nel 2000 da Dacia Maraini e, nel 2009, sostenuto l’idea di indirizzarne energie e priorità verso un attento ascolto del popolo aquilano, nelle sue necessità più vive dopo il sisma.
Come aveva chiesto, sarà sepolta nel cimitero di Trieste senza alcuna funzione né rito, ma con una cerimonia esclusivamente privata e, per rispettare le sue volontà, non saranno resi noti né giorno, né orario della sepoltura.
Profonda commozione produce anche lo stato sociale in Egitto, con già 7 morti e oltre 600 feriti nel bilancio degli scontri tra sostenitori e oppositori del presidente Morsi che, ora, fa sapere di essere disponibili “ad un dialogo ” dialogo nazionale reale e serio”.
Questo ennessimo braccio di ferro tra i sostenitori dell’islamista Morsi e l’opposizione secolare, che lo accusa di aver tradito la rivoluzione del 2011, è iniziato l’a Le manifestazioni, ad un anno esatto dalla elezione di Morsi, rappresenta il culmine di una campagna di opinione che è andata crescendo negli ultimi giorni, con gli organizatori che hanno dichiarato di aver raccolto bel 22 milioni di firme contro il presidente reo di far governare la sola fazione dei “Fratelli Mussulmani”.
Ieri sono scesi in piazza anche i sostenitori di Morsi, schierati ijn assetto di guerra davanti ad una moschea non lontana dal palazzo presidenziale, con decine di giovani muniti di bastoni, scudi ed elmetti, suddivisi in diversi squadroni a difesa dello stesso palazzo e per rintuzare il rischio di un assalto allo stesso da parte dei domostranti della opposta fazione.
E mestizia combinata ad orrorare viene dal video, diffuso in tre giorni fa, in cui un nugolo di persone, molte delle quali con tratti somatici centroasiatici, sudestasiatici e nordafricani, attorniano tre persone inginocchiate a terra, bendate e con le mani legate dietro la schiena.
In piedi si due loschi figuri: il boia, che indossa un paqul afgano e che parla arabo con un forte accento straniero (c’è chi afferma si tratti di un ceceno), e il “giudice”, un uomo non più tanto giovane e che, per le sembianze, sembra aver appena preso parte, come orco, nell’ultimo film della saga del Signore degli Anelli.
Poi, brutale, la decapitazione o meglio lo sgozzamento dei tre malcapitati di cui il secondo, dice la didascalia, sarebbe il padre francescano François Murad.
Ora si discute sui giornali ed in rete circa il fatto che il francesco sia davbvero rimasto vittima di tale brutale esecuzione (poiché secodo padre Pierbattista Pizzaballa, Custode francescano di Terrasanta, tuti i franceschini della regione sono vivi) e, ancora, se il barbaro assassionio sia da ricondurre ai ribelli antiregiome, poiché l’esecuzione è stata operata dai miliziani del gruppo Nusra, per i quali la rimozione del regime è soltanto il primo passaggio di un percorso assai più impegnativo verso la creazione di un’entità statale dominata dalla loro interpretazione della legge islamica.
Secondo Alberto Savioli, studioso di realtà tribali, è addirittura improbabile che i miliziani appartegono allo stesso Nusra, poiché, come ha dichiarato ad Europa: “Nel filmato non si vedono le loro insegne. Mentre in tutti i loro video le loro bandiere e il loro logo appare sempre”.
Resta l’orrore del fatto e del video, lo sgozzamento e la mutilazione al grido ‘Allahu Akbar’ (Dio è grande) in un campo di tre uomini incappucciati: un agghiacciante documento di nove minuti che ci presenta l’orrore di cui l’uomo riesce a macchiarsi.
E resta il fatto che i cristiani siano ormai sempre più un bersaglio dei ribelli estremisti sunniti nella guerra civile che ha già fatto oltre centomila morti in Siria con, secondo Syria Report, un intero villaggio cristiano della provincia di Homs, che a maggio è stato ridotto in cenere e la totale mancanza di notizie di due vescovi rapiti ad Aleppo all’inizio dell’anno.
Ed angoscia genera la protesta in Turchia che, il 28 maggio, ossia tre giorni prima che esplodesse con la protesta ad Istanbul, il “Guardian” aveva definito un’economia fiorente in una zona pericolosa, basata sui fondamentali macroeconomici piuttosto che bolle o scoperte di risorse.
Se non vi è un pericolo di rivoluzione come in altri Paesi arabi nel corso della storia recente, è ora preocuppantemente evidente che la Tuirchia ha una economia meno solida di quanto si riteneva, con il governo  che sembra aver perso la spinta riformatrice che lo ha caratterizzato nei primi anni di attività, concentrandosi principalmente su provvedimenti di carattere “etico”, come il divieto di consumo di alcool, quello relativo alle effusioni in pubblico, la mano dura sulla stampa e altro.
Il Paese inizia a scricchiolare, con una crescita che rallenta e da cui, come nel caso cinese, è lecito attendersi un passaggio da economia emergente a economia emersa., con molti indicatori statistici che destano preoccupazione.
Non migliore la situazione nel Brassile del boom economico e della Coppa Intercontnentale, con, nella sola notte fra il 14 e 25 scorsi, morte dodici persone, uccise dalla polizia nel grande complesso di favelas della Maré (situato nella periferia nord di Rio de Janeiro), con una serie di proteste che ha portato nelle strade e vicino agli stadi milioni di persone per protestare per un più efficiente stato sociale, in un paese senza servizi di nessun genere inerente scuola, trasporti e sanità.
Dalla Turchia al Brasile all’Iran, la classe media globale si sta svegliando, ha scritto a fine giugno Atlantic , con un disegno confuso, però, che appare come il dispiegarsi del caos. Come scrive su Europa Mattia Tacconi, Ssa il Brasile che la Turchia hanno vissuto in questo periodo congiunture espansive notevoli. E il caso vuole che in entrambi i contesti la cavalcata sia iniziata nel 2002. In quell’anno nel paese sudamericano salì al potere Lula e in Turchia l’Akp, il partito di Recep Tayyip Erdogan, vinse le elezioni. Da allora è stata una marcia trionfale. Il Brasile è cresciuto a un tasso medio del 3% e il 52% dei suoi cittadini, secondo l’Ocse, può ormai vantarsi di essere parte della classe media. Impressionante anche il dato turco: dal 2002 il Pil pro capite è triplicato, liberando dalla povertà vasti strati di popolazione e offrendo una gamma di opportunità straordinaria, rispetto al passato.
E le recenti prorteste stanno ad indicare che, a prescindere da progressisti e i conservatori, i liberi professionisti e gli impiegati pubblici, i laureati e quelli che si sono fatti da soli, la classe media (come in Turchia ma anche in Russia), chiede al governo di fare, a livello sociale e politico, quello che è stato fatto in campo economico, pretendono riforme, aperture e liberalizzazioni.
Lo scorso anno il Brasile ha superato il Regno Unito come sesta economia del mondo, rispondendo molto meglio alla crisi economica e finanziaria mondiale che ha colpito duramente molti paesi d’Europa, ed è considerato da diversi anni una “superpotenza delle risorse naturali”, come lo ha definito Bloomberg, grazie alle sue grandi riserve di minerali di ferro, potenziale idroelettrico, petrolio in acque profonde e alluminio. L’espansione economica, aiutata anche da diversi piani governativi di incentivi al consumo, ha fatto sì che nell’ultimo decennio circa 40 milioni di brasiliani passassero da una condizione di relativa povertà a far parte della cosiddetta “classe media”, aumentando le proprie aspettative economiche e di qualità di vita. Il merito di questo successo viene attribuito soprattutto a Luiz Inácio da Silva, politico socialista ed ex sindacalista che è stato presidente del Brasile dal 2002 al 2010. A Lula è succeduta Dilma Rousseff, economista e sua compagna di partito, ma, con lei, è rallentata e, dal 2012, diversi analisti hanno cominciato a parlare di una perdita di competitività internazionale.
Grazie al modelo da Silva, molti brasiliani appartenenti alle fasce più deboli hanno potuto comprare macchine, televisioni e altri prodotti che prima non si potevano permettere, migliorando la loro qualità di vita ma raggiungendo livelli di debito non più sostenibile, nonostante siano stati tagliati dal governo i tassi d’interesse.
Ed ha questo è motivo di profondo malassere e disagio sociale. E c’è infine il problema corruzione, con, nel corso degli anni, i brasiliani che hanno imparato ad accettare come un costo inevitabile, almeno in parte, gli illeciti dell’amministrazione pubblica e, secondo la Federazione delle Industrie di São Paulo, il governo che Bperde più di 47 miliardi di dollari ogni anno per l’evasione fiscale, per la cattiva gestione del denaro pubblico e per la diffusa corruzione nel settore pubblico.
Ma ora, che la crescita è minore, non si è disposti a chiudere un occhio nei confronti del fatto che, nonostante il tentativo di moralizazione, i soldi pubblici che dovevano servire per i trasporti e la sistemazione degli spazi urbani, sono arrivati in ritardo o sono stati cancellati e l’inflazione è aumentata enormente, con un aumento sino al 6,6% soprattutto nel settore alimentare, con il caso, ad aprile, aprile fu dei pomodori i costosissimi: 5 euro al chilo, che provocò diverse proteste e varie interrogazioni parlamentari.

Carlo Di Stanislao

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