Prima enciclica di papa Francesco: La fede non un fatto privato, ma un bene per tutti

La fede “non è un rifugio per gente senza coraggio”, così come “non è luce che dissipa tutte le nostre tenebre”, ma possiede “il carattere singolare di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo” e per questo si pone “al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace”. Essa “non allontana dal mondo” e “non risulta estranea […]

La fede “non è un rifugio per gente senza coraggio”, così come “non è luce che dissipa tutte le nostre tenebre”, ma possiede “il carattere singolare di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo” e per questo si pone “al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace”. Essa “non allontana dal mondo” e “non risulta estranea all’impegno concreto”, è in grado “di valorizzare la ricchezza delle relazioni umane” e di “arricchire la vita comune”: è insomma “un bene per tutti”, perché “ci aiuta a edificare le nostre società, in modo che camminino verso un futuro di speranza”.
A quattro mani. La prima enciclica di papa Francesco è scritta a quattro mani: le sue e quelle di Benedetto XVI, il papa emerito che durante il suo pontificato aveva lavorato al testo che nelle intenzioni avrebbe dovuto concludere il ciclo delle tre virtù teologali: la carità (trattata in “Deus Caritas Est”), la speranza (“Spe Salvi”) e appunto la fede. Le dimissioni di papa Ratzinger hanno solo ritardato il processo e le bozze consegnate dal teologo tedesco all’attuale pontefice costituiscono la gran parte del documento reso noto oggi dalla sala stampa vaticana in nove lingue: latino, italiano, francese, inglese, tedesco, spagnolo, portoghese, polacco e arabo. Si intitola “Lumen fidei”, “La luce della fede”: un’introduzione, quattro capitoli, ottanta pagine. “Benedetto XVI – scrive papa Francesco – aveva già quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede. Gliene sono profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi”.
Santi, filosofi e scrittori. Nel testo, in cui – oltre ovviamente ai testi dell’Antico e del Nuovo Testamento – vengono citati i filosofi Nietzsche, Wittgenstein e Buber, ma anche Dostoevskij (con “L’Idiota”), il poeta T. S. Eliot, il teologo Romano Guardini, e numerosi santi (da Agostino a Gregorio Magno, da Cirillo di Gerusalemme a Francesco d’Assisi e Madre Teresa di Calcutta), il papa afferma la necessità di recuperare il carattere di luce proprio della fede, capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo, di aiutarlo a distinguere il bene dal male, in particolare in un’epoca, come quella moderna, in cui il credere si oppone al cercare e la fede è vista come un’illusione, un salto nel vuoto che impedisce la libertà dell’uomo. La Chiesa ha sempre associato la fede alla luce che illumina il cammino ma nei tempi moderni “la fede ha finito per essere associata al buio”. “Si è pensato – si legge nel testo – che una tale luce potesse bastare per le società antiche, ma non servisse per i nuovi tempi, per l’uomo diventato adulto, fiero della sua ragione, desideroso di esplorare in modo nuovo il futuro. In questo senso, la fede appariva come una luce illusoria, che impediva all’uomo di coltivare l’audacia del sapere”. L’enciclica spiega che le cose non stanno così, che la fede non merita in alcun modo di essere associata al buio e all’oscurità. La fede autentica è ben lungi dall’essere oscurantista: è il suo esatto contrario.
Ascolto e impegno. La fede viene spiegata come “ascolto” della Parola di Dio e “chiamata ad uscire dal proprio io isolato”, come “affidamento e disponibilità a lasciarsi trasformare dalla chiamata di Dio”. La fede è una ed è condivisa da tutta la Chiesa, “non è un fatto privato, una concezione individualistica, un’opinione soggettiva, ma nasce da un ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio”, scrive il papa, che affronta il tema del legame fra fede e amore, verità e ragione. Nascendo dall’amore “risulta chiaro che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro: il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti”. Per questo, papa Francesco specifica che essa “non allontana dal mondo e non risulta estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei”, non serve a costruire unicamente l’aldilà ma aiuta a edificare le nostre società.
Una luce ai rapporti sociali: famiglia e natura. La fede illumina tutti i rapporti sociali, dona un nuovo significato alla fraternità universale tra gli uomini, che non è mera uguaglianza, bensì esperienza della paternità di Dio, comprensione della dignità unica della singola persona: “Essa ci insegna a vedere che in ogni uomo c’è una benedizione per me”, è grazie ad essa “che abbiamo capito la dignità unica della singola persona, che non era così evidente nel mondo antico”, specifica l’enciclica. La fede illumina “l’unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio”, che nasce “dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale”,è importante viverla in famiglia, ma diventa poi luce per illuminare tutti i rapporti sociali. La fede “ci fa rispettare maggiormente la natura facendoci riconoscere in essa una dimora a noi affidata perché sia coltivata e custodita” e ancora “ci aiuta a trovare modelli di sviluppo che non si basino solo sull’utilità e sul profitto, ma che considerino il creato come un dono”. Inoltre, la fede “ci insegna a individuare forme giuste di governo, riconoscendo che l’autorità viene da Dio per essere al servizio del bene comune”.
Il mondo della sofferenza. La fede è inoltre una forza consolante nella sofferenza: “Il cristiano sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare atto di amore”. Così pure per le “sofferenze del mondo”: i credenti come san Francesco o Madre Teresa avvicinandosi ai sofferenti – spiega il papa – “non hanno certo cancellato tutte le loro sofferenze, né hanno potuto spiegare ogni male: all’uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna”. La fede, dunque, “non è rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita”, e con la speranza e la carità “dona nuovo slancio e nuova forza al vivere quotidiano”.
“Non facciamoci rubare la speranza”, conclude il papa. “Non permettiamo che sia vanificata con soluzioni e proposte immediate che ci bloccano nel cammino, che “frammentano” il tempo, trasformandolo in spazio. Il tempo è sempre superiore allo spazio. Lo spazio cristallizza i processi, il tempo proietta invece verso il futuro e spinge a camminare con speranza”. (Stefano Caredda -RS)

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