La crisi impazza, le imprese vanno a pezzi, ed il paese collassa

A dispetto delle ottimistiche dichiarazioni del governo la situazione economica del nostro paese appare sempre più negativa, ed il peggio forse deve ancora arrivare Difficile stabilire se gli Italiani ne abbiano completa coscienza ma, a dispetto di una lunga, pressoché ininterrotta serie di dichiarazioni ottimistiche rilasciate dall’attuale governo, quello che per uno stucchevole ricorso alle […]

A dispetto delle ottimistiche dichiarazioni del governo la situazione economica del nostro paese appare sempre più negativa, ed il peggio forse deve ancora arrivare

Difficile stabilire se gli Italiani ne abbiano completa coscienza ma, a dispetto di una lunga, pressoché ininterrotta serie di dichiarazioni ottimistiche rilasciate dall’attuale governo, quello che per uno stucchevole ricorso alle frasi ad effetto ama autodefinirsi “del fare”, la situazione economica del nostro paese appare sempre più difficile, precipitata com’è in un tunnel di risultati negativi confrontarsi con i quali appare francamente imbarazzante, dimostrazione fin troppo evidente di un presente a tinte fosche e di un futuro tutto da elaborare. Salvare il salvabile è oramai l’unico credo di riferimento per sessanta milioni di persone alle prese con una situazione più grande di loro ma Letta ed i suoi prodi non sembrano curarsene più di tanto, impegnati come sono nell’imbolsire con promesse da bar una opinione pubblica frastornata e, secondo la migliore tradizione italiana, poco incline, peggio ancora incapace, a ragionare con la propria testa.
Le chiacchiere dei politici impazzano, i luoghi comuni, su tutti quello dell’Imu e delle tasse in generale, la fanno da padroni, componenti irrinunciabili di una colossale operazione mediatica orchestrata con abile rozzezza proprio da coloro che due anni or sono avevano portato il paese ad un passo dal fallimento e che ora hanno la faccia tosta, non certo la dignità, di interloquire con cittadini stanchi, minati dalla mancanza di soldi, lavoro e prospettive, e storditi da una propaganda, di eminente marca berlusconiana ma non solo, che nel giro di un ventennio ci ha relegati in posizioni di assoluta ed indiscussa retroguardia.
Chi avrà la compiacenza di scorrere queste righe penserà che il sottoscritto sia affetto da una forma incurabile di pessimismo, per contro sono i fatti e solamente i fatti i protagonisti dell’articolo in questione che, assemblati a dovere, delineano un quadro d’insieme che odora sinistramente di fallimento. E non a caso, in una serie di dichiarazioni rilasciate nei primissimi giorni di luglio, il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ed il Ministro Enrico Giovannini, sono stati particolarmente espliciti al riguardo, soffermandosi nello specifico sulla crisi del comparto industriale che assomiglia sempre più ad un tracollo; secondo il primo “ io la luce in fondo al tunnel non la vedo ancora…la produzione industriale a giugno è in calo dell’1,7% su base annua, ci stiamo stabilizzando sul fondo e verso fine anno credo che ricominceremo la risalita”.
Squinzi non specifica le modalità di tale risalita forse perché quest’ultima non avrà luogo, ed infatti secondo il ministro Giovannini quella attuale “è la recessione più dura della storia d’Italia e la disoccupazione è un grande buco nero che crea un danno economico per la collettività: i cosiddetti Neet –i giovani che non studiano e non lavorano- costano all’Italia 24 milardi di euro l’anno, l’1,8% del Pil”; perfettamente allineata a questo andazzo la seconda metà del 2013 si annuncia ricca di licenziamenti, oltre 4000 ma solo per limitarci ai casi di maggior rilievo, ed infatti La Divani & Divani del Gruppo Natuzzi è in procinto di tagliare 1726 dipendenti, l’Indesit 1425, la Bridgestone 950, la TNT 854, la Whirlpool 470, la IBM 355 e la Geox 90.
Il lettore noterà come le aziende citate occupino un ruolo marcatamente strategico nel nostro sistema produttivo, rappresentando alcune di esse (Natuzzi ed Indesit su tutte) degli autentici colossi nel loro settore, tuttavia la crisi non fa sconti a nessuno e la delocalizzazione neppure, se è vero che la Indesit sposterà a breve il grosso della sua attività in due grandi stabilimenti in Polonia e Turchia, trasferendo dunque all’estero, e per sempre, un enorme patrimonio di risorse, esperienze e posti di lavoro. La situazione è indubbiamente drammatica ma molti politici non sembrano rendersene conto, ed infatti ai primi di luglio l’ex premier Silvio Berlusconi è apparso nella sua reggia di Arcore, circondato dall’affetto di uno sparuto manipolo di aficionados e dalla performances canore di due artisti del calibro di Iva Zanicchi e Mariano Apicella, una rimpatriata idilliaco-casereccia all’insegna delle risate e dell’ottimismo ad oltranza ma, disgraziatamente per loro (e per gli Italiani), non condivisa dal Centro Studi di Confindustria; giusta i dati forniti da quest’ultimo risulta infatti che tra il 2009 ed il 2012 è andato perduto il 15% della produttività industriale e 55.000 aziende sono state letteralmente cancellate, per una media di circa quaranta al giorno, mentre tra il 2008 ed il 2012 nel solo settore manifatturiero, tradizionale punto di forza della nostra economia, sono andati perduti 540.000 posti di lavoro, dato di per sé provvisorio se solo si pensa che la crisi è tutt’altro che finita e che perfino le aziende sane mostrano evidenti segnali di difficoltà.
La produzione industriale nel primo trimestre del 2013 ha subito una drastica riduzione del 25% rispetto ai dati del 2008, il Prodotto interno lordo nello stesso lasso di tempo si è ridotto di quasi il 9% e, dulcis in fundo, la disoccupazione ha raggiunto il livello record, dal 1977, del 12%, equivalente a tre milioni di persone senza lavoro, con una percentuale superiore al 38% per quel che concerne i più giovani.
Certo l’ottimismo è l’ultimo a morire, ed in effetti i membri dell’attuale esecutivo, un curioso miscuglio tra Partito Democratico e Popolo Delle Libertà, si dichiarano fiduciosi per il futuro di questo sfortunato paese che proprio loro negli ultimi vent’anni hanno contribuito ad affossare, relegandolo quel che è peggio in una posizione di mortificante isolamento anche in ambito internazionale; le scintille tra gli attuali governanti non mancano, le proposte comico-demagogiche neppure, a latitare, e di brutto, sono invece le idee e le soluzioni concrete che ne dovrebbero conseguire.
Secondo il vice-premier Angelino Alfano, a chiacchiere uno dei più battaglieri, per rilanciare il nostro disastrato sistema sarebbe sufficiente l’abolizione dell’Imu sulla prima casa, misura effettivamente auspicabile ma che, qualora andasse in porto, non inciderebbe di una virgola sulla situazione economica nel suo complesso, ed infatti alla sospensione della rata di giugno ha risposto in automatico un ulteriore calo dei consumi che ha coinvolto pure il settore dei generi alimentari; e per rimanere nell’argomento l’Istat ci ricorda che nel 2012 i consumi complessivi delle famiglie hanno subito una sforbiciata superiore al 4% mentre la spesa mensile familiare è stata di 2419 euro, con un calo del 2,8% rispetto all’anno precedente, dati inequivocabili ma che i nostri governanti dimostrano beatamente di ignorare.
Certo, se gli Italiani trovassero il coraggio di cambiare e la dignità di mandare a casa una volta per sempre una classe politica incapace e corrotta, la peggiore dell’intero arco repubblicano, si potrebbe raccontare tutta un’altra storia, ma questa, almeno per il momento, è solo utopia.

Giuseppe di Braccio

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